Le filande a Valenza
VALENZA – La Lavorazione dei filati è stata ampiamente esercitata nel nostro territorio sin dall’età rinascimentale. Qui e altrove, la dimensione dell’azienda era la piccola bottega familiare, che appaltava il lavoro avvalendosi di tessitori a domicilio, ma c’erano anche alcune piccole filande e una sviluppata rudimentale industria dei fustagni.
Con il passare degli anni anche a Valenza si riduce l’attività domestica dei filatori a mano e sorgono dei veri e propri opifici di fustagni (un tessuto misto di lino e cotone) a manodopera femminile.
Poi, nell’Ottocento, si afferma dalle nostre parti la lavorazione della seta in tutte le sue fasi: dalla coltura del baco da seta nelle abitazioni delle famiglie contadine, sino alla lavorazione del filo nei locali delle filande.
L’allevamento è curato nelle case campestri generalmente nella stanza dove si vive. I bachi sono adagiati su graticci o intelaiature di legno con sottofondo in canne o tela, accatastati per guadagnare spazio. I “bigat”, nati dalle uova, vengono messi sulle stuoie e alimentati con foglia fresca sino a che diventano bossoli per la filanda. Nella fabbrica, la prima fase di lavorazione è l’essiccatura per rendere più asciutta la seta e per far morire i “bigat” all’interno del bozzolo.
Le prime notizie documentate, relative all’attività delle filande di seta a Valenza, risalgono al periodo napoleonico, quando ad Alessandria esiste già un’avviata produzione con 3 fabbriche e circa 200 operai occupati. Nel 1822 risultano attive a Valenza 6 filature di bozzoli: Menada Pietro, Figarolo Gropello, Cavalli Pietro, Zambruno Giacomo Antonio. Ma quella più importante è quella di Ceriana Giuseppe che conta 30 fornelletti e filatrici, seguita da quella di Menada Giacomo con 28 fornelletti e filatrici. In questa società sostanzialmente rurale sussiste uno smisurato numero di persone che non riesce ad ottenere lavoro, una vera e propria riserva di forza lavoro a cui i primi industriali possono attingere per l’avvio degli impianti.
Nel 1836 ci sono 3 filature che trattano annualmente diversi quintali di bozzoli (Kg 2.830 di seta cruda) e che occupano 90 donne e 78 ragazze e un filatoio di seta con e 60 donne e 9 uomini. A far da cornice a tutto ciò ci sono i telai casalinghi che trattano lino e canapa: sono più di 200 e occupano circa 500 persone. Il numero delle aziende-filande scende a 3 con 78 fornelletti nel 1839, mentre in città si mantiene molto attiva la lavorazione dei fustagni. Si commerciano annualmente anche 15 quintali di canapa e altrettanto di lino.
Negli anni seguenti, segnati da importanti eventi patriottici, a causa dello sviluppo di epidemie e morbi vari come il colera (nel 1864), vengono emanate diverse norme igieniche su questa attività produttiva che risulta essere ora la principale della città. Tra queste disposizioni c’è l’obbligo di trasferire a più di 600 metri dall’abitato, in botti chiuse, le acque utilizzate per la macerazione e la bollitura dei bozzoli che deve essere eseguita solo di notte. Nell’anno 1861 risultano attive solo le filature dei Fratelli Ceriana e dei Fratelli Menada che hanno conglobato le altre. La prima, con 191 lavoratori adulti (di cui 183 donne), lavora annualmente 3.500 Kg di merce; la seconda con circa cento lavoratrici di cui 12 fanciulle ne lavora 2.000 Kg. I Ceriana estendono la propria attività dalla filatura al commercio della seta costituendo a Torino, nel 1850, una società, allargata anche ad operazioni bancarie, la quale parteciperà poi a diverse altre iniziative industriali e commerciali.
Il salario giornaliero delle filandere o filandaie oscilla tra lire 0,50 e 0,90, per gli uomini sulle 2 lire (pari a circa una decina di euro attuali). Molte le ragazze di età inferiore ai 14 anni (ben 120 nella Ceriana) il cui salario giornaliero è inferiore a 0,50 lire. Particolarmente faticoso il lavoro che è di almeno 12 ore al giorno, dalle 4 alle 12 e dalle 13,30 alle 18. La vasta disponibilità di manodopera e la quasi totale mancanza di controlli favoriscono uno sfruttamento indiscriminato.
Per mancanza di alternative, queste giovani vessate e rassegnate sono costrette a lavorare in un ambiente afoso, a circa 50 gradi di temperatura. L’aria è sempre carica di un vapore nauseabondo, che tende a tramutare il locale in una sorta di caldaia permanente. Oltretutto, per mantenere un’umidità costante e necessaria a filare la seta e per evitare che l’aria rimuova il filo di seta negli aspi, le finestre restano chiuse. L’ambiente risulta quindi continuamente immerso in una nebbia calda, chiaramente non salutare per le lavoratrici. Certamente queste condizioni di lavoro, quasi disumane e senza possibilità di ribellione, non sono bei ricordi, pur se di vastità globale.
L’odore prodotto da questa lavorazione si sparge anche sulla città che è per questo coperta da una nube allarmante. Sono dettagli, ma non di poco conto; infatti, nel 1872 viene emanato dall’autorità pubblica un divieto a insediare altre filande nell’abitato cittadino.
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Negli anni Ottanta l’industria tessile valenzana si estende ulteriormente; accanto alle filande Ceriana e Menada spuntano altri opifici: Gibert, Marchese, Terraggio, Abbiati e Negri (in quest’ultimo lavorano 14 donne e 8 bambini). In qualche misura i proprietari di queste fabbriche non sono cittadini comuni ma pura élite locale. Adesso nelle filande Negri e Ceriana si utilizzano nuove perfezionate macchine a vapore; tuttavia, a fine secolo a Valenza, sono ancora attivi circa 160 telai domestici per la produzione di tessuti.
In questi anni il contesto produttivo locale del filato presenta però segnali di decadenza non solo a causa della concorrenza estera, ma soprattutto per i nuovi movimenti popolari e le loro rivendicazioni democratiche. Nei primi anni del secolo, s’inaspriscono a Valenza le agitazioni operaie con molti scioperi di diverse categorie (fornaciai, bottai, carrettieri, ecc.). Nel frattempo, si moltiplicano le iniziative sindacali che investono anche le filandaie.
Anche con l’energia elettrica questo tipo di lavoro continua ad essere molto faticoso e insalubre, a causa dei vapori delle vasche, delle mani tenute nell’acqua calda (80 gradi), della polvere, con salari da fame. Visto oggi pare il regno dell’arbitrio sui lavoratori.
Nell’impresa dei Ceriana (possiede altre di queste fabbriche ad Alessandria, Mede e Varesina) dal 1906 si sciopera per ottenere la diminuzione di mezz’ora sull’orario di lavoro giornaliero (è di 11 ore e 30) e l’aumento di 10 centesimi del salario giornaliero (che varia da 1,10 a 1,25 lire al giorno). Ma le lavoratrici della seta sono disorganizzate e non ancora abituate alle più evolute rivendicazioni sul lavoro. Infatti, nonostante gli sforzi dei politicizzati, solo una parte di loro aderisce alle astensioni dal lavoro e i risultati ottenuti sono piuttosto blandi.
La potente Camera del Lavoro di Valenza nel 1910 ha più di 800 iscritti alle varie leghe (nel 1904 ne aveva solo 265) di cui poche filandaie che non vogliono costantemente chinare la testa.
Nel 1911 l’unica filanda di Valenza dei Fratelli Ceriana (quella di Negri è stata chiusa l’anno prima), situata ora in via Cavallotti (prima del 1903 era situata in via della Ferrovia) ha 215 operai così suddivisi: 5 maschi, 139 femmine sopra i 21 anni, 40 femmine dai 15 ai 21 anni, 31 femmine sotto i 15 anni. Durante la guerra un operaio di filanda guadagna lire 1,70 al giorno (un ingresso al Teatro costa lire da 0,40 a 1).
Negli anni seguenti l’attività e la produzione di bozzoli cominciano a declinare; cala anche una fonte di guadagno stagionale del contadino (sfogliatura dei gelsi e allevamento del baco da seta) che, insieme alla produzione vitivinicola, ha sostenuto per lungo tempo l’occupazione agricola locale. Si sta però affermando sempre più l’industria orafa con quella calzaturiera (tomaie giunte) ed è difficile trovare manodopera locale disponibile per questo lavoro.
Nel 1925 il numero delle filandaie scende a circa 130; si tenta una riorganizzazione aziendale con poco successo così, al tramonto della sua lunga stagione e in segno di resa, nel 1930 la filanda di Valenza cessa la sua attività. Le smunte fanciulle, dalla perenne fragranza svenevole e dagli occhi infossati resteranno solo un imbarazzante e triste ricordo.