Cecilia Mangini: documentare il reale
Ha sempre cercato di praticare un ?cinema militante?, come lei stessa definiva quell?instancabile impegno nel documentare il reale «che oggi sembra quasi una parolaccia»
CINEMA – Cecilia Mangini, regista, sceneggiatrice e fotografa, la prima donna ad occuparsi di cinema documentario in Italia, è scomparsa lo scorso 21 gennaio a Roma, all’età di 93 anni.
Di madre toscana e padre pugliese – la Mangini nasce a Mola di Bari il 31 luglio 1927 – e dopo essersi trasferita a Firenze a soli sei anni d’età, a causa di un tracollo economico dell’attività paterna, inizia sin da adolescente ad appassionarsi di fotografia e cinema, dapprima frequentando i CineGuf (cineforum legati ai Gruppi universitari fascisti).
Alla fine della seconda guerra mondiale la giovane Cecilia viene ospitata per un certo lasso di tempo da un collegio svizzero, in modo da sfuggire alle durezze della ricostruzione: qui rimane letteralmente folgorata dal cinema di Jean Renoir e, in particolare, da “La grande illusione” (1937), mentre al ritorno a Firenze, con l’inizio della frequentazione dei cineclub democratici, viene conquistata dal nascente movimento neorealista, che le offre spunti per un inedito sguardo sulla realtà.
Nel 1952, a venticinque anni, Cecilia si trasferisce a Roma per onorare l’incarico di organizzatrice della Federazione Italiana dei Circoli Cinematografici, ambiente in cui conosce il critico cinematografico e documentarista Lino Del Fra, che diverrà suo marito e con il quale nel corso degli anni instaurerà anche un prolifico e stimolante rapporto di lavoro. La coppia documenterà con grande lucidità e rigore la complessa trasformazione del volto dell’Italia del dopoguerra.
Intanto, la Mangini anima il cineclub “Controcampo”, e parallelamente scrive per “Cinema Nuovo” e “Cinema Sessanta”, realizzando reportage per la rivista “Rotosei”.
Gli anni Cinquanta la vedono animata, oltre che dall’impegno politico (con l’iscrizione al Partito Comunista), anche dalla volontà di raccontare la realtà delle borgate e delle periferie romane, insieme alla loro scabra atmosfera: ne nascono, in collaborazione con Pier Paolo Pasolini, i documentari “Ignoti alla città” (1958), ispirato al romanzo dello scrittore friulano “Ragazzi di vita”, “Stendalì-Suonano ancora” (1960) e “La canta delle marane” (1962).
Il filo conduttore di queste opere è la denuncia delle misere condizioni di vita degli emarginati, oltre che la morte della civiltà contadina, soffocata da un’industrializzazione selvaggia: temi già cari a Pasolini, che li mette anche al centro della propria cinematografia, da “Accattone” (1961) a Mamma Roma” (1962).
Nel corso degli anni Sessanta la regista compie un’indagine nel mondo della fabbrica, realizzando “Essere donne” (1965), un cortometraggio commissionatole dalla Rai, che tuttavia non soddisfa appieno le aspettative delle aziende coinvolte, che le avevano concesso l’intervista alle loro operaie: per questo motivo il film viene escluso dalla programmazione su decisione della Commissione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
Per tutti gli anni Sessanta e Settanta, comunque, la Mangini continuerà a occuparsi della condizione operaia, anche femminile, con opere quali “Brindisi ‘65” (1966) e “Tommaso” (1967).
Il 1961 è, per la coppia Mangini-Del Fra, l’anno della conquista del Leone d’Oro a Venezia con il cortometraggio di undici minuti “Fata Morgana”, sul viaggio degli emigranti dal Sud al Nord Italia. Nel 1962 la Mangini e il marito firmano la regia del documentario “All’armi siam fascisti!”, prima e incisiva riflessione per immagini – condotta con l’ausilio di rari materiali di repertorio e l’intenso commento di Franco Fortini – sul Ventennio.
Segue – nel 1963 – “La statua di Stalin”: la pellicola finisce al centro di un conflitto tra il produttore Fulvio Lucisano (che ne modifica e taglia alcune parti) e gli stessi autori, che decidono di ritirare la loro firma.
Nel 1977 Mangini e Del Fra vengono premiati con il Pardo d’Oro al Festival di Locarno per “Antonio Gramsci – I giorni del carcere”, di cui la regista cura il soggetto e la sceneggiatura, mentre nel 1982 realizzano, sulla scia di Pasolini, l’inchiesta in tre puntate “Comizi d’amore ’80”, ancora sui temi dell’amore e della sessualità.
L’ultimo lavoro di Cecilia Mangini, dopo un lungo periodo di inattività, è stato “In viaggio con Cecilia” (2013, co-diretto dall’allieva Mariangela Barbanente), sulla catastrofe ecologica provocata dagli stabilimenti industriali di Brindisi e Taranto.
«Sono stata per tutta la vita una documentarista», ricordava la Mangini. «Anche quando ho fatto la fotografa, sono andata in cerca di qualcosa di molto più profondo della verità, qualcosa di assolutamente nascosto che solo le immagini possono rivelare».