L’utopia di Natale: “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”
Produzione Netflix, tratto da una storia vera, adattata "sopra le righe" per lo stile del film
CINEMA – Sidney Sibilia, il giovane regista (classe 1981) de “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” – film uscito su Netflix lo scorso 9 dicembre – già autore con la propria casa di produzione Groenlandia della trilogia di “Smetto quando voglio”, ammette di essere stato avvantaggiato in fase di lavorazione dalla presenza di un partner così autorevole come la celebre piattaforma di distribuzione: «Il film nasceva già con ambizioni internazionali, come Original Netflix da subito, il primo della nuova divisione di produzioni ad alto budget non in inglese di storie locali e insieme globali».
Aggiunge anche – nel corso di una recente intervista per il settimanale “Film Tv” – che l’idea primigenia del film è arrivata un po’ per caso, dalla consultazione di Wikipedia: «Con Francesca Manieri stavamo scrivendo i sequel di “Smetto quando voglio”, che erano pieni di riferimenti scientifici e umanistici e allora consultavamo spesso il sito. In home page c’era una finestra tipo “Lo sapevate che”, con la foto della piattaforma, dove si leggeva “Isola delle rose. Micronazione”. Incuriosito, cliccai e mi si aprì un mondo. Era una storia da farci un film, pensai, e poi mi sono ricordato che io faccio film…».
La storia vera da cui il regista ha attinto per la finzione cinematografica è autenticamente sopra le righe (un po’ come l’andamento e lo stile della pellicola): l’eccentrico e creativo ingegnere bolognese Giorgio Rosa, efficace sintesi del desiderio di libertà e di autonomia creativa incarnato dal movimento sessantottesco, concepì proprio nel 1968 una piattaforma galleggiante in mezzo all’Adriatico – 500 metri fuori delle acque territoriali italiane – che si autoproclamò stato indipendente il primo maggio dello stesso anno. La “Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose” (ribattezzata in questo modo perché vi si parlava l’esperanto) iniziò ad essere abitata e frequentata da una comunità di giovani, mentre Giorgio Rosa tentava inutilmente, interpellando sia il governo italiano dell’epoca (il Presidente del Consiglio Giovanni Leone e il Ministro degli Interni Franco Restivo, nel film interpretati rispettivamente da Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio), sia il Consiglio d’Europa a Strasburgo, per ottenerne il riconoscimento.
L’Isola delle Rose venne distrutta e progressivamente smantellata tra il febbraio e l’aprile 1969, dopo aver incarnato l’insorgere di un caso politico e mediatico di un certo rilievo ma caduto repentinamente nell’oblio, sino ad anni recenti.
Sibilia restituisce tono e umori della (stra)ordinaria vicenda, decidendo, tuttavia, di abdicare a una restituzione da ‘docu-fiction’ per sostituirla con l’andamento più lieve e svagato della commedia grottesca, con punte di acida comicità e macchiettismo di alcuni personaggi (vedi, almeno parzialmente, lo stesso Giorgio Rosa, interpretato con gigionesca e arguta svagatezza da un Elio Germano con inflessioni bolognesi; così come i già citati Leone e Restivo).
L’atmosfera ricorda – nella prima parte – quella ruspante di alcune pellicole di Pupi Avati, dove predominano la goliardia e la familiarità della provincia, espresse a livello visivo tramite le luci calde e ambrate degli interni: l’incipit, invece, è – per ammissione dello stesso Sibilia – un neppure molto velato omaggio alla ‘spy-story’ classica americana: «Ci piaceva, in un film idealmente estivo ambientato a Rimini, prendere in contropiede lo spettatore, con un inizio poi da film classico americano, quasi come se fosse “Il ponte delle spie”. In quella cornice, girata ad Aosta, c’è un’altra coppia molto buffa, i due funzionari del Consiglio d’Europa, interpretati da François Cluzet e Fabrizio Rongione».
La seconda parte del film riproduce (anche con l’uso di droni e della tecnologia digitale) il clima vacanziero di certe opere di genere degli anni Sessanta, tra cui “L’ombrellone” di Dino Risi, che il regista cita espressamente come modello di riferimento («Gli anni 60 li conosciamo soprattutto attraverso il cinema»); mentre l’Isola delle Rose è stata ricostruita a grandezza naturale in uno studio di Malta.
Il risultato finale è buono, nel raggiunto compromesso tra intento cronachistico e desiderio di evasione leggera, con una strizzata d’occhio e un omaggio alla commedia di costume. Interessa, senza dubbio alcuno, la riproposizione all’attenzione degli spettatori di una vicenda singolare e cancellata dalla memoria dei più, ma stupisce e preoccupa, in parallelo, l’affidarsi dell’autore a una memoria indiretta, seppur efficace: quella sedimentata nell’immaginario cinematografico da un vasto repertorio di film di genere, reinterpretati, rielaborati, forse persino svuotati di senso, come spesso accade nell’infinita catena delle citazioni e dei rimandi.
Infine, ci domandiamo: siamo proprio certi che la stramba, abbastanza inquietante e in alcuni aspetti piuttosto misteriosa storia dell’Isola delle Rose andasse raccontata mediante la ‘mise en abyme’ della farsa? Ai posteri…
L’incredibile storia dell’Isola delle Rose
Regia: Sydney Sibilia
Origine: Italia, 2020, 117’
Sceneggiatura: Francesca Manieri, Sydney Sibilia
Fotografia: Valerio Azzali
Montaggio: Gianni Vezzosi
Musica: Michele Braga
Cast: Elio Germano, Fabrizio Bentivoglio, François Cluzet, Leonardo Lidi, Luca Zingaretti, Matilda De Angelis, Tom Wlaschiha
Produzione: Groenlandia
Distribuzione: Netflix