In ricordo di Kim Ki-duk: Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera
Una morte inaspettata, repentina, ha gettato un velo di mistero sul regista che stava per girare il suo 24mo film
CINEMA – È stato un poeta della settima arte, controverso, disperato, a tratti feroce: Kim Ki-duk, maestro di fama internazionale – nato in Sud-Corea il 20 dicembre 1960 – se ne è andato in solitudine, a quasi sessant’anni, in un ospedale di Riga, la capitale della Lettonia, dove era approdato in cerca di una casa dove risiedere durante le riprese di quello che sarebbe stato il suo ventiquattresimo film.
Una morte – avvenuta, per quanto è trapelato, a causa di complicanze da Covid-19 – inaspettata, repentina, persino misteriosa, che lascia l’amaro in bocca a chi ha conosciuto Kim Ki-duk e a chi l’ha amato per lo stile e i contenuti del suo cinema, intriso di lirismo e furore.
La prima giovinezza di Kim non è facile e piuttosto precaria: a soli diciassette anni è costretto dalle scarse possibilità economiche della famiglia a cercare in fretta un lavoro: passa, quindi, dall’esperienza in fabbrica a quella in marina, arrivando, poi – alla soglia dei trent’anni – ad emigrare a Parigi, dipingendo per mantenersi.
È proprio il clima artistico e culturale europeo a stimolare in lui la passione per il cinema: nel 1993 Kim Ki-duk esordisce con una sceneggiatura, filmando – una volta tornato in patria – “Crocodile”, il suo primo lungometraggio, nel 1996.
Il 2000 è l’anno della svolta a livello autoriale, con “L’isola”, che viene presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e pur suscitando reazioni contrastanti a causa della sua crudezza, qualifica il regista anche in occidente.
Poi arriveranno “Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera”, autentico vertice poetico (2003), “La samaritana” e “Ferro 3-La casa vuota” (2004), che viene presentato in concorso a Venezia. Il 2012, invece, sarà l’anno di “Pietà”, che si aggiudicherà il Leone d’oro a dispetto del suo essere intriso di dolore, violenza e sofferta passione. Fra i titoli più significativi degli ultimi anni, “Moebius” (2013) e Il prigioniero coreano” (2016), tramite i quali Kim Ki-duk continua angosciosamente a interrogarsi su amore, morte, destino, scelta e umano senso del vivere.
Noi lo ricordiamo qui, riproponendo una lettura critica di una delle sue pellicole più conosciute e apprezzate, la prima uscita nelle sale italiane: “Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera”.
«Ho voluto tracciare un ritratto delle gioie, delle rabbie, dei dolori e dei piaceri che segnano le nostre vite, attraverso quattro stagioni e attraverso la vita di un monaco che vive in un tempio nel lago di Jusan, circondato soltanto dalla natura». Così, con grande essenzialità, il regista sud-coreano Kim Ki-duk raccontava – nel 2003 – il suo nono film, suddiviso in cinque parti corrispondenti ciascuna a una stagione dell’anno e dell’esistenza umana.
Un’opera originale alla luce della poetica dello stesso autore, che aveva abituato il suo pubblico – come uno fra gli esponenti di spicco della nuova generazione cinematografica sud-coreana – a pellicole incentrate sulla rappresentazione di una violenza estrema e cieca, nell’impossibilità da parte dell’uomo di rintracciare un senso nel proprio destino (vedi, ad esempio, “L’isola”, 2000, ma anche “Bad Guy”, 2001, e il successivo “The Coast Guard”, 2002; una tendenza che ha contraddistinto lo stile di Kim Ki-duk anche in anni più recenti, come testimonia “Pietà”, 2012).
Non che l’aggressività, la crudeltà, il predominio dell’uomo sull’uomo siano del tutto assenti da “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”: in realtà rimangono soltanto abilmente celati sotto una patina esteriore di soffuso lirismo, grazie alla poeticità degli scenari naturali intorno all’eremo ricostruito e fatto galleggiare sul lago artificiale di Jusan, nella Provincia Nord Kyungsang in Corea (smantellato alla fine delle riprese: nell’area, all’interno di un parco nazionale, non era tollerata la presenza di edifici).
La parabola esistenziale del monaco buddista (interpretato dallo stesso Kim Ki-duk nella fase adulta, e da Kim Jong-ho, Seo Yae-kyung, Kim Young-min negli altri periodi, dall’infanzia alla piena maturità) risente, nell’esposizione, dei silenzi, delle pause narrative, dell’attenzione ai dettagli minimi che il regista eredita dalla grande tradizione del cinema orientale classico, ma – nello stesso tempo – anche dell’ossessione per il manifestarsi di quella violenza che è alla radice dell’intera civiltà, senza distinzione tra oriente e occidente.
Nonostante gli insegnamenti del Maestro, tendenti al superamento delle passioni e della collera, il monaco bambino compie esercizio di crudeltà su dei piccoli animali, da giovane si macchia di una grave colpa e in età adulta provoca senza volerlo un incidente che opprimerà le sue spalle di un pesantissimo fardello.
Se la vita è un conflitto di opposti, dove la superficialità affianca ciò che è profondo, se l’amore sta al passo dell’odio, la vita della morte, è anche vero che il ciclo delle trasformazioni, non solo stagionali, si rinnova in perpetuo, offrendo anche all’uomo la possibilità di cominciare da capo per fare propri gli insegnamenti che prima ha rifiutato di apprendere.
Con il ritorno di una nuova primavera, le vecchie generazioni lasceranno, gradualmente, tempo e spazio a quelle più giovani, attraverso l’esempio e la cura.
Così fluiscono i giorni degli uomini secondo Kim Ki-duk, un movimento analogo a quello descritto dal filosofo greco Eraclito con l’espressione “Panta rei” (“Tutto scorre”).
«È un film un po’ differente dai precedenti, anche l’atmosfera che si respira è più tranquilla, apparentemente con meno drammi», spiegava il regista, intervistato al Festival di Karlovy Vary, vicino Praga, nel luglio 2015. «Ma l’unica parte che mi sento di considerare poetica è quella legata alla Primavera. È bello, comunque, che ci siano persone che studino i miei film e cerchino di trovare chiavi di lettura. In questo caso possono avere ragione».
“Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera” è fruibile in streaming gratuito dalla piattaforma di YouTube.
Primavera, estate, autunno, inverno e…ancora primavera
(Bom Yeoreum Gaeul Gyeoul Geurigo Bom)
Regia: Kim Ki-duk
Origine: Corea del Sud/Germania, 2003, 103’
Interpreti: Oh Young-su, Kim Ki-duk, Kim Young-min, Seo Jae-kyung, Ha Yeo-jin, Kim Jong-ho, Kim Jung-young, Ji Dae-han, Choi Min, Park Ji-A, Song Min-yiung
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Baek Dong-hyeon; Montaggio: Kim Ki-duk; Musiche: Bark Jee-Woong; Scenografia: Oh Sang-man, Stefan Schonberg; Costumi: Kim Min-hee; Produzione: Karl Baumgartner, Lee Seung-Jae per Korea Pictures/LJ Films/Pandora Filmprodroduktion/Cineclick Asia; Distribuzione: Mikado