“Heimat”: le molte patrie e i destini d’Europa
CINEMA – Preceduta dall’iniziativa del “Corriere della Sera”, che ne rende disponibile gratuitamente ai propri abbonati per un mese il primo episodio, torna in versione restaurata – dal 20 novembre sulla piattaforma Chili e, a dicembre, in Dvd per l’home video – “Heimat. Una cronaca in undici episodi” (1984), ‘l’opera-fiume’ del regista tedesco Edgar Reitz.
«Sono nato in un piccolo paese in Germania con duemila abitanti, nella mia famiglia non c’è nessuno che si sia mai occupato di arte o cose artistiche. Tutti i miei parenti sono contadini o artigiani. E penso che le mie radici siano lì, dove sono stato bambino». (Edgar Reitz)
La Germania ‘pallida madre’, come la definì Bertolt Brecht in una famosa lirica composta nel 1933, alla presa di potere del nazismo; ma anche le molte Germanie, ciascuna con la propria identità e fisionomia, dal paesino immaginario di Schabbach nell’Hunsrück, regione della Renania-Palatinato che nel 1932 ha dato i natali a Edgar Reitz (uno dei massimi registi tedeschi mondiali ed esponente di punta del Nuovo Cinema Tedesco degli anni Sessanta), alla tentacolare e attraente Monaco di Baviera, culla novecentesca dell’arte in tutte le sue possibili declinazioni. E poi l’Europa del ‘secolo breve’, restituita in una sterminata narrazione, romanzo familiare dal respiro epico dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi.
Tutto questo, tradotto in immagini cinematografiche di stupefacente bellezza (esaltate dallo spendido lavoro del direttore della fotografia Gernot Roll, scomparso proprio in questi giorni), racconta il cinema da record incarnato dalla trilogia di “Heimat”, con le sue 25 ore e 32 minuti di durata: l’esordio televisivo della prima parte della saga (in undici episodi), andata in onda in Germania, in prima serata, tra il 16 settembre e il 14 novembre 1984, fece registrare un’audience di 10 milioni di spettatori.
“Heimat. Una cronaca in undici episodi” (spesso citata con il titolo “Una cronaca tedesca”) nasce da una grave e profondissima crisi creativa di Edgar Reitz, che inizia con lo scarso successo delle opere girate negli anni Settanta e trova il suo culmine nella totale débâcle, anche economica, legata al troppo ambizioso film in costrume “Il sarto di Ulm”.
Reitz stesso ricorda come, braccato dai creditori, si fosse rifugiato un intero inverno a casa di amici, sull’isola di Sylt, nel Mare del Nord. Era il giorno di Natale, il regista si trovava bloccato in casa per una bufera di neve. Per reazione alla crisi e mettendo una seria ipoteca sulla sua possibilità di proseguire con il mestiere di regista, si mise a scrivere la storia della propria famiglia, un centinaio di pagine che portò con sé un paio di mesi più tardi, a febbraio, quando finalmente la neve si sciolse e uscì di casa per andare al festival di Berlino: lì, un amico giornalista e produttore televisivo prese in considerazione il manoscritto, contribuendo alla nascita di un’opera monumentale, che avrebbe impegnato Reitz e i suoi collaboratori per oltre trent’anni.
Entro una dimensione di isolamento domestico, dunque, il regista di Morbach concepisce una debordante – sia a livello di scansione temporale che di contenuti narrativi – saga familiare per la durata complessiva di 16 ore, in cui vengono condensati sessantatré anni di storia della Germania, dal 1919 (anno del ritorno a Schabbach come reduce di guerra di Paul Simon, al 1982, anno della morte di Maria, moglie di Paul e simbolo della ‘Heimat’).
Il cast viene formato scritturando sia attori professionisti, specie di esperienza teatrale (come Marita Breuer, l’interprete di Maria Simon, figura cardine del ciclo), sia amatoriali e, addirittura, non professionisti.
L’ambientazione è quella dell’immaginario villaggio di Schabbach, ricostruito ma simile a quelli autentici che popolavano l’Hunsrück nelle epoche che fanno da sfondo alla storia.
In realtà la parola ‘Heimat’ – in uso in Germania sin dal XV secolo – assume, anche nel film, una duplice sfumatura di significato, che fa riferimento a una patria non soltanto originaria, di nascita, ma anche elettiva, ideale.
“Heimat” è, comunque, una storia che conquista immediatamente il favore del pubblico internazionale, dunque anche al di fuori del contesto culturale tedesco: nonostante sia ambientata principalmente in un piccolo villaggio dell’Hunsrück, nella Germania occidentale, e racconti l’evoluzione di un gruppo familiare sullo sfondo delle vicende storiche intercorse fra il 1919 e il 1982, risulta allo stesso tempo una narrazione archetipica. Il suo fascino deriva, come nella maggior parte dei racconti di questo genere, dalla possibilità di immedesimazione e coinvolgimento che è in grado di fornire a ciascun spettatore, al di là delle categorie spazio-temporali di riferimento.
La trilogia di “Heimat” è, infatti, uno splendido ibrido, a metà strada tra la grande tradizione del romanzo europeo ottocentesco e la serialità televisiva contemporanea.
È anche vero che si tratta di un’opera abbastanza complessa sul piano narrativo, sia a livelli di contenuti che di stile: proprio di questa complessità si nutre in massima parte il suo fascino al di là del tempo.