“Nancy”: una, nessuna e centomila
Un thriller psicologico molto ben orchestrato dalla sua autrice, sulla deriva della vita di una giovane donna, che non sa avvilupparsi intorno a nessun centro o nucleo, e per questo non fa che disperdersi, rovinosamente, nell’indeterminato
CINEMA – «Mi si fissò invece il pensiero ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere». Così scriveva Pirandello nel lontano 1925, attraverso le amare riflessioni del protagonista del suo Uno, nessuno e centomila sull’ubiquità dell’esistenza, che conduce ogni individuo alla consapevolezza di non poter mai realmente aspirare a un’identità precisa, che lo definisca e, in qualche modo, lo salvi.
Nella medesima, scomoda condizione si trova Nancy Freeman (la bravissima attrice Andrea Riseborough, già vista nel fantascientifico Oblivion, 2013, accanto a Tom Cruise, oltre che – l’anno successivo – in Birdman di Alejandro González Iñárritu e, nel 2016, in Animali notturni diretto da Tom Ford; qui riveste anche il ruolo di produttrice), nella pellicola d’esordio della regista e sceneggiatrice americana di origine asiatica Christina Choe, i cui cortometraggi d’esordio, appartenenti al genere documentario, sono stati apprezzati in diversi festival internazionali.
Nancy, presentato nel 2018 al Sundance Film Festival di Robert Redford, è un thriller psicologico molto ben orchestrato dalla sua autrice, sulla deriva della vita di una giovane donna, che non sa avvilupparsi intorno a nessun centro o nucleo, e per questo non fa che disperdersi, rovinosamente, nell’indeterminato.
Chi è davvero Nancy? – ci si domanda – trentenne sospesa e divisa tra la sua vita pubblica (il lavoro come assistente di un dentista) e il suo privato (ma qual è il confine tra i due ambiti, nella società digitale governata dai social media?) fatto di assistenza penosa e indefessa alla madre, inabile a causa di un ictus, e di epidermico sfogo e riappropriazione di sé mediante la scrittura di un blog che fornisce assistenza a chi non riesce (come lei) a superare il dolore della perdita di un figlio mai nato.
Il conflitto pressoché insanabile tra la Nancy bambina – che continua a porsi domande sulle proprie origini, tanto da riconoscersi figlia di altri genitori, frutto di una diversa storia – e quella adulta – impegnata nella perenne e camaleontica costruzione di personalità fittizie, il più delle volte brillanti e di successo – è doloroso nella sua evidenza, nel rendere conto con brutale immediatezza di una personalità fragile e disturbata.
«In Nancy, nel bene e nel male c’è molta umanità ed è l’elemento che mi ha convinto a interpretarla», ha spiegato Andrea Riseborough nel corso del Sundance Festival. «Nei film le donne in genere vengono ipersessualizzate o presentate desessualizzate. Si rappresentano sempre gli stessi tre o quattro tipi femminili. È una visione molto limitata di come possano essere le donne ed è molto dannosa soprattutto per le ragazze. Hanno bisogno di vedere donne che vivano serenamente la propria sessualità, e donne con dei difetti o che commettono errori. Non cresciamo e non impariamo senza averne fatti».
Il risvolto thriller, giocato sul filo dell’emozione e sulla sospensione del giudizio di fronte agli scenari aperti dall’incontro di Nancy con i due presunti genitori naturali (incarnati da due magnifici interpreti, J. Smith-Cameron, già nel cast della serie americana True Blood, e Steve Buscemi, autentica maschera tragicomica da Le iene di Tarantino a Fargo e Il grande Lebowski dei Coen, qui in stato di grazia) non compromette il dipanarsi dei temi alla base della narrazione, la proliferazione psicotica delle identità, il doppio, la confusione dell’uomo contemporaneo di fronte alla promessa di un’esistenza virtuale che arriva, inevitabilmente, a lambire i confini di quella reale, scompaginandoli.
Un film che sa mantenere alta la tensione spettacolare, senza rinunciare ad interrogarsi, a cercare il senso che non c’è nel disordine (post-moderno?) delle nostre vite.
«Sono sempre stata affascinata dalle zone grigie del nostro cervello in cui realtà e fantasia si sovrappongono e da come siamo soliti distorcere e allungare le verità per creare avvincenti narrazioni personali», ha raccontato al Sundance Christina Choe. «Nancy esamina quanto possa essere veramente potente la cosiddetta “verità emotiva”. La storia è parzialmente ispirata a una mia vera esperienza personale, al mio incontro con un impostore. Al college, il mio insegnante preferito era quello di scrittura: un uomo carismatico e sentimentale che veneravo quasi. […] Quando si è scoperto che era un impostore e che si era costruito un’identità non sua, siamo tutti rimasti disorientati e scioccati. Tante sono le domande che sono nate allora in me. […] Cominciando a raccontare storie con i miei documentari mi sono resa conto di come la verità possa essere rimodellata, messa in scena e resa popolare. […] Le ragioni per cui Nancy, la protagonista del film, mente sono complesse. Lo fa per sentire qualcosa di reale e autentico. Desidera con tutta se stessa legarsi a qualcuno e amare. […] Nancy non è diversa da tutti noi, soprattutto ora che in piena epoca social la nostra immagine è diventata la nostra carta d’identità. Siamo programmati per desiderare “mi piace” in quantità e di conseguenza modelliamo la nostra immagine e il nostro comportamento per ottenerli. Nancy è un prodotto dei tempi moderni: esplora ciò che la verità significa per ognuno di noi in un mondo in cui la narrazione, le opinioni e le emozioni stanno diventando più potenti dei fatti e della ragione».
Nancy
Regista: Christina Choe
Origine: Usa, 2018; 87’
Cast: Andrea Riseborough, Steve Buscemi, Ann Dowd, John Leguizamo, J. Smith-Cameron
Sceneggiatura: Christina Choe
Fotografia: Zoe White
Montaggio: David Gutnik
Musiche: Peter Raeburn
Produzione: Mental Pictures, Eon Productions
Distribuzione: Mariposa Cinematografica, 30 Holding