Eliso Rivera e Urbano Cairo: da Abazia di Masio al mondo
Sabato alle 18, a Palazzo Monferrato, la presentazione del libro di Claudio Gregori. In esclusiva, l'intervista del presidente di Rcs
Sabato, alle 18, a Palazzo Monferrato, la presentazione del libro “Eliso Rivera. Il romanzo della vita del fondatore e direttore della Gazzetta dello Sport”, scritto da Claudio Gregori. A distanza di 120 anni presidente e amministratore delegato di Rcs è Urbano Cairo, anche lui con origini ad Abazia di Masio. Che ha risposto ad alcune domande su Rivera, i collegamenti tra lui e Rivera, l’editoria di un secolo fa, di oggi e del futuro.
Abazia di Masio: paese di uomini di sport e di comunicazione. Da Eliso Rivera a Urbano Cairo: quale legame?
“Devo dire che in comune abbiamo molte cose. Al di là dell’orgoglio per le nostre origini, direi la passione per il ciclismo, che nel suo caso lo portò a fondare assieme ad Eugenio Camillo Costamagna “La Gazzetta dello Sport” che oggi è uno dei fiori all’occhiello della Rizzoli Corriere della Sera di cui io sono presidente e amministratore delegato. Ci accomuna il fatto di avere fondato molti giornali: Eliso anche in Argentina, mentre io, sempre con Rcs, lavoro in Spagna, ma è in Italia che ho sviluppato la mia maggior attività imprenditoriale. L’occasione mi è gradita, tuttavia, per ricordare assolute eccellenze espresse dal nostro territorio. Penso a Giuseppe Faà di Bruno, sacerdote, missionario, fondatore del Collegio delle Missioni Estere di Abazia. E per estensione, coinvolgendo Masio, impossibile non citare un famoso personaggio con cui ho in comune il nome, Urbano. Il primo ministro Urbano Rattazzi, noto statista nell’Italia del Risorgimento. E pure Giovanni Poggio, eroe risorgimentale, l’unico soldato semplice ad aver ricevuto la medaglia d’oro al valor militare. Non solo storia: visto che parliamo di uomini di comunicazione grazie a un valente critico enogastronomico, qual è Paolo Massobrio, i nostri vini e la nostra cucina vengono puntualmente esaltati sulle più importanti emittenti televisive e sulle riviste di settore”.
Un editore lungimirante, Rivera, anche oltre oceano. Oggi cosa serve per essere editore? Quali cambiamenti rispetto al secolo scorso?
“Molti sostengono che oggi, per essere editori, ci voglia tanto coraggio. Io credo piuttosto che servano competenza e fiducia in ciò che si fa. Mi ispiro da sempre a un motto di Napoleone, quel suo modo di dire: ci si impegna, poi si vede. Quelle parole significano che se c’è una cosa che voglio fare, mi ci butto dentro, poi strada facendo troverò le soluzioni per raggiungere l’obiettivo, anche quando sembra difficilmente raggiungibile. Circa i cambiamenti rispetto al secolo scorso, non ci sono paragoni perché è cambiato il mondo, mica solo l’editoria. Che peraltro sta attraversando continue mutazioni: noi siamo in mezzo al guado di una trasformazione irreversibile, dunque prima ancora che attenti occorre essere veloci nel comprendere e quindi appagare le moderne esigenze di un lettore”.
Il legame con il paese di origine: Rivera si firmava Eliseo delle Roncaglie e fondò anche la Casa del Popolo. Anche lei è molto legato al paese di origine della sua famiglia?
“Assolutamente sì, sono orgoglioso delle mie origini piemontesi. Alessandrine. E ancor più precisamente, di Abazia di Masio. A cui mi legano i ricordi della giovinezza, delle vacanze estive, delle giornate piene di tante cose belle con i nonni. Ora accade lo stesso con i miei figli, perché ad Abazia si possono coccolare mio papà, il loro nonno. Correre a perdifiato per i prati, giocare a calcio, altra passione di famiglia. Mio papà da giovane giocava nelle giovanili dell’Alessandria. Ad Abazia riposa mia mamma, che ci ha lasciati nel 2012, per la quale con la mia famiglia abbiamo voluto organizzare un importante torneo calcistico, il Trofeo Memorial Mamma Cairo, riservato ai giovani che lei tanto amava e nei luoghi che sempre ha apprezzato. Ad Abazia sono legatissimo, lì ci sono le mie radici. Molti, sbagliando, attribuiscono a Masio il mio luogo di nascita. In realtà io sono nato a Milano, ma a quel errore non ho mai dato particolare importanza”.
Scrivere di sport oggi nell’era dei new media: cambia per i giornalisti, ma anche per gli editori?
“Certamente, ma non potrebbe essere diversamente. È uno stimolo per l’editoria verso una sempre maggior rapidità nell’emettere informazione. Ai tempi del selfie oggi siamo tutti fotoreporter; con il telefonino e con i social siamo tutti inviati speciali. Dunque la comunicazione deve essere veloce ed esaustiva. Anche sui giornali: le chiamano snack news. Da qualche mese sulla Gazzetta dello Sport indichiamo anche il tempo di lettura di un articolo. In media è di due minuti e mezzo per il pezzo cosiddetto di apertura, quello che sviscera meglio un determinato argomento, e raddoppia per le interviste esclusive, quelle che magari occupano due pagine di giornale. È il segno dei tempi: oggi è così, domani si vedrà”.