“Ad Astra”: l’avventura dell’uomo verso l’infinito
Un film giustamente definito dalla maggior parte della critica internazionale “umanista”
CINEMA – Il titolo dell’ultimo film del regista americano James Gray (dopo il bellissimo Civiltà perduta, del 2016, in cui già venivano messi in risalto i temi dell’esplorazione e del viaggio, della sfida ai propri limiti, della frantumazione dei rapporti umani) è una citazione del famoso motto latino “Per aspera ad astra”, che letteralmente significa “Attraverso le difficoltà, sino alle stelle”.
Nel corso della conferenza stampa di presentazione della pellicola con protagonista Brad Pitt, in anteprima mondiale alla 76esima Mostra Internazionale del cinema di Venezia, Gray ha raccontato di aver tratto ispirazione per questo lavoro da alcune letture sul fisico premio Nobel Enrico Fermi, il quale era convinto ci fosse il novanta per cento di probabilità di una distruzione degli Stati Uniti in seguito ai primissimi esperimenti di fissione nucleare: «All’epoca non si sapeva se la reazione a catena sarebbe continuata; erano molto allarmati e ho immaginato una situazione in cui c’è una persona da sola nello spazio che non ha nulla da perdere: non c’è fine agli esperimenti che potrebbe compiere o a cui sottoporsi. Sfortunatamente, la storia delle imprese umane mostra sempre l’incapacità della nostra specie di superare le controversie ideologiche. Perciò anche nella Luna ci sono i pirati, il cui interesse risiede nelle preziose risorse naturali presenti sul luogo e nella possibilità di catturare ostaggi utili a ottenere riscatti. Il futuro illustrato nel film è colmo sia di promesse che di problemi. Sono stato ispirato anche dal romanzo Cuore di Tenebra di Joseph Conrad – ha aggiunto il regista – e dal film Apocalypse Now. L’idea del film è a metà strada fra Cuore di Tenebra e le missioni spaziali Apollo e Mercury».
Un film giustamente definito dalla maggior parte della critica internazionale “umanista”, questo Ad Astra, espressione di una fantascienza che rifugge gli effetti digitali, la resa spettacolare (se non in qualche raro momento), l’action estrema, per porre in essere gli interrogativi filosofici che – dall’inizio dell’evoluzione del pensiero – hanno arrovellato l’umanità: non solo i fatidici “da dove vengo, dove vado, quanto mi resta ancora” evocati dal cult di Ridley Scott Blade Runner (1982), ma anche e soprattutto le domande sul qui e ora, sulla finitezza delle risorse necessarie per la sopravvivenza, sul sofferto rapporto con l’ambiente e i propri simili.
Più Tarkovskij (quello di Solaris, 1972) e Nolan (Interstellar, 2014), insomma – con l’accentuazione del dilemma relativo alla dimensione privata, alle relazioni familiari, al ruolo della memoria, temi peraltro molto frequentati quest’anno nelle pellicole veneziane – che il Kubrick di 2001. Odissea nello spazio, con la sua visione sessantottesca e beffarda delle “magnifiche sorti e progressive”.
La storia di Ad Astra è anche quella di un figlio, l’astronauta Roy McBride (Brad Pitt), separato per oltre un ventennio dal proprio padre, Clifford McBride (Tommy Lee Jones), capo del Progetto Lime incaricato della ricerca di forme di vita extraterrestre ai confini del sistema solare, scomparso misteriosamente nei dintorni di Nettuno.
Un figlio alla ricerca del padre perduto, ma anche di risposte e certezze sul senso della vita, su viaggio e destinazione, le stesse che si poneva l’omerico Ulisse, assetato di conoscenza. Oltre Marte, e ancora più lontano, verso l’infinito, non solo per capire i problemi dell’oggi (le cui radici affondano sempre, com’è noto, nel passato), ma anche per confrontarsi con se stessi, i timori, le ansie, tutto ciò che di irrisolto sta nella mente e nel cuore. E a cui, forse, lo spazio profondo, con il suo vuoto pneumatico, non è in grado di offrire una qualche forma di pacificazione.
«Il genere fantascientifico ha creato tanti bei film, ma quanti di questi sono in grado di toccare la nostra anima?», ha concluso James Gray durante la conferenza stampa. «Volevo realizzare qualcosa di diverso partendo da una domanda: e se non ci fosse nulla? Se ci fosse solo un vuoto di cui non riusciamo neanche a capacitarci? Volevo esplorare l’idea che gli esseri umani non sono nati per ritrovarsi nello spazio e fluttuare a 400 chilometri dall’atmosfera terrestre. Non lo saranno mai. E se vogliono farlo, devono essere pronti a pagarne il prezzo. C’è una frase di Arthur C. Clarke (l’autore di 2001: Odissea nello spazio) che dice: “Potremmo essere soli nell’universo o potremmo non esserlo: ma entrambe le prospettive sono ugualmente terrificanti”. Riflettendoci, non avevo mai visto un film che racconta la solitudine degli esseri umani in questo senso. Ho pensato di unire questa idea alla storia di una persona che compie esperimenti ad alto rischio nello spazio, e la mia storia ha iniziato a prendere forma».
Ad Astra
Regia: James Gray
Produzione: Usa, 2019, 124′
Sceneggiatura: James Gray, Ethan Gross
Fotografia: Hoyte Van Hoytema
Montaggio: John Axelrad, Ace and Lee Haugen
Musica: Max Richter
Cast: Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler, Donald Sutherland, Brad Pitt
Produzione: MadRiver Pictures, Keep Your Head Productions, Bona Film Group, New Regency Productions, Plan B, RT Features
Distribuzione: 20th Century Fox