‘Cannabis Light? Sentenza che crea altra confusione, noi continuiamo a venderla’
ALESSANDRIA – A circa due anni e mezzo dall’esordio sul mercato della tanto discussa cannabis light, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione giovedì scorso hanno emesso una sentenza destinata a sollevare polemiche e ulteriore confusione. Su tutti i quotidiani e su ogni mezzo d’informazione la notizia è stata da subito più o meno la stessa: “La Cassazione: vendere cannabis light è reato”, oppure “le infiorescenze di canapa sono illegali”. A leggere attentamente la sentenza, però, ci si rende conto che non è esattamente così. Le Sezioni Unite, infatti, hanno stabilito che “la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa (…)” e che “le condotte di cessione dei prodotti derivati dalla cannabis sativa L integrano il reato di cui all’art. 73 (…), salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Ricapitolando, una legge che regoli la vendita dei prodotti derivati della canapa sativa L ancora non esiste ma, se tali prodotti non hanno effetti psicotropi possono in realtà essere soggetti alla vendita.
“Sarebbe bastato omettere l’ultima frase che fa riferimento agli effetti droganti e quantomeno avremmo avuto una certa chiarezza rispetto all’ulteriore gran confusione creata da questa astrusa sentenza” ci spiega Loris, proprietario del grow shop di via Tortona New BioGroup. “Per tutti, o almeno per coloro che non conoscono l’argomento, ora noi rivenditori siamo considerati alla stregua di spacciatori”. Una situazione quasi kafkiana, che sta gettando molti operatori del settore nello sconforto e nel panico. “Nei nostri confronti si sta creando un pericoloso clima di terrorismo mediatico e istituzionale. Tra gli operatori del settore serpeggia la paura. So che già tanti ‘colleghi’ hanno deciso di chiudere momentaneamente l’attività o di ritirare tutti i prodotti a base di canapa”. Ma Loris non ci sta. “Per quel che mi riguarda una decisione sbagliatissima. Aprire uno grow shop o un canapa shop di questi tempi non può essere solo una scelta commerciale, io la ritengo prima di tutto una presa di posizione ideologica. Se non si è in grado di reggere certe pressioni è meglio cambiare mestiere. Per carità, posso capire le paure e l’incertezza, perché nessuno ha voglia di vedersi notificata una denuncia di spaccio, ma mollare così, senza neanche provare a far valere i propri diritti equivale a dare ragione a Salvini o a chi ci considera dei fuorilegge”.
Loris e il suo socio Thomas, ad ogni modo, non hanno alcuna intenzione di chiudere o ritirare i propri prodotti. “La legge ce lo permette, perché i prodotti che vendiamo non hanno effetti droganti, quindi andiamo avanti”. Dal 2016 ad oggi il ‘business’ della cannabis light ha creato nuovi posti di lavoro e, soltanto nel 2018, prodotto un giro d’affari che secondo Coldiretti avrebbe superato i 150 milioni di euro. Le tanto discusse infiorescenze, tra l’altro, sono ormai in vendita in moltissimi tabaccai di mezza Italia, autogrill ed esercizi commerciali di vario genere, “perché allora tutto questo astio nei unicamente nei confronti dei grow e dei canapa shop?”. Anche tra i coltivatori c’è preoccupazione, “a chi in questi giorni ci ha fatto visita in negozio abbiamo detto di tenere duro e non mollare”. Loris, però, sa che le forze dell’ordine potrebbero fargli visita in ogni momento, “anche domani mattina, pazienza. Non ho nulla da nascondere”.