C’è davvero la “mafia” dietro i roghi alla discarica?
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Marco Madonia - marco.madonia@alessandrianews.it  
5 Settembre 2018
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C’è davvero la “mafia” dietro i roghi alla discarica?

In Commissione consiliare si è tornati a parlare degli incendi alla discarica di Castelceriolo, ben 3 nell'arco di un solo mese, con la minoranza che si concentra sulle parole del sindaco, che aveva mandato un messaggio deciso "non ci faremo intimidire e non faremo fallire l'azienda". Aral fa gola a molti, come l'inchiesta di Brescia testimonia

In Commissione consiliare si è tornati a parlare degli incendi alla discarica di Castelceriolo, ben 3 nell'arco di un solo mese, con la minoranza che si concentra sulle parole del sindaco, che aveva mandato un messaggio deciso "non ci faremo intimidire e non faremo fallire l'azienda". Aral fa gola a molti, come l'inchiesta di Brescia testimonia

ALESSANDRIA –  In principio ci fu l’inchiesta del tribunale di Brescia, non ancora giunta a conclusione, sul traffico di rifiuti che dal sud arrivò sotto traccia alla discarica di Castelceriolo, senza che nessuno ancora oggi sia in grado di spiegare con precisione alla cittadinanza cosa sia stato conferito in quel periodo in discarica.

Poi, questo agosto, sono arrivati danneggiamenti e tentativi di furto sospetti a ben 3 pale meccaniche utilizzate all’interno dello stabilimento, rese inutilizzabili, tanto che non si sono potute impiegare neanche per tentare un salvataggio straordinario dei rifiuti che hanno preso fuoco, a più riprese, nell’arco di un solo mese. 

A indagare su questi furti e incendi sospetti dovrà essere la magistratura, ma per ora gli elementi che lasciano perplessi sono diversi, come emerso durante la Commissione Consiliare tenutasi a Palazzo Rosso, alla presenza dei vertici dell’azienda Aral (l’ex prefetto e oggi presidente Giacchetti e l’ingegner Biolatti), l’assessore all’ambiente Borasio e Maffiotti, direttore di Arpa. 


Il sindaco nelle ore immediatamente successive al secondo incendio, quello più esteso, che ha reso inutilizzabile l’impianto di triturazione dell’azienda, aveva parlato di “intimidazione mafiosa”, sottolineando la volontà di tenere duro e non cedere all’idea di far fallire l’azienda. Gli elementi per ora noti sono il fatto che è molto difficile che gli incendi si siano sviluppati per autocombustione, specialmente in un luogo aperto, come ha sottolineato Maffiotti, e che i cumuli di rifiuti (lì presenti in qualità superiore a quella consentita, per l’accumulo di conferimenti da Genova che, in attesa della nuova vasca per il conferimento, non si sapeva come smaltire) hanno bruciato tutti insieme, facendo supporre un vero e proprio innesco in più punti, quindi un’origine dolosa.

Peraltro, come sottolineato dal direttore di Arpa, esistono metodi d’innesco che possono attivarsi anche dopo ore o giorni, rendendo così difficilissimo risalire alle cause, specie se poi l’incendio si diffonde finendo per distruggere eventuali prove (e il fatto che gli stessi rifiuti si siano riaccesi più volte può far propendere per questa ipotesi). 


Al centro dell’inchiesta ci potrebbero essere anche i collegamenti fra il conferimento illegale di rifiuti su cui indaga il tribunale di Brescia e quanto sta accadendo oggi. Come sottolineato da più parti durante la Commissione sono evidenti gli interessi intorno all’eventuale fallimento di Aral, ancor più probabile dopo i danni economici che gli incendi hanno prodotto (per i macchinari distrutti, ma soprattutto per i costi di smaltimento più che raddoppiati visto che ciò che è bruciato andrà trattato come rifiuto speciale e i soldi che saranno necessari per bonificare l’area). Se l’azienda dovesse fallire (per ora si trova in regime di concordato), la possibilità per qualche privato di acquistarla a buon mercato sarebbe alta, e una discarica può far gola a molti, visto il business che il traffico di rifiuti porta con sé. 
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