Grande di Spagna, ma sepolto ad Alessandria: “el Caballero” Julian Romero
Cercare in una chiesa alessandrina la tomba di un condottiero spagnolo così famoso, allepoca, da essere stato ritratto dal celebre pittore el Greco? Si può! Un grazie a Roberto Livraghi (Società di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e Asti), che lha fatta conoscere.
Cercare in una chiesa alessandrina la tomba di un condottiero spagnolo così famoso, all?epoca, da essere stato ritratto dal celebre pittore el Greco? Si può! Un grazie a Roberto Livraghi (Società di Storia Arte e Archeologia per le Province di Alessandria e Asti), che l?ha fatta conoscere.
Da soldato semplice a Grande di Spagna: complimenti!
In verità ho cominciato da tamburino, ruolo ancora più rischioso. Dato che i tamburi servivano per dare ordini alle truppe in battaglia, i ragazzi appena arruolati erano in prima fila, totalmente indifesi di fronte al fuoco nemico perché suonando il tamburo con entrambe le mani non potevano impugnare armi per difendersi.
Quando arrivò al suo primo comando?
Al servizio dell’Inghilterra nella guerra contro la Scozia, conclusasi con la vittoria di Pinkie Cleugh (10 settembre 1547), un “Black Saturady” che gli Scozzesi ricordano ancora oggi. Come ricompensa per il mio valore in quella battaglia, ottenni il diritto di usare in battaglia una mia propria bandiera, come i nobili più illustri: per me, nato come figlio illegittimo, fu una vera rivalsa.
Un castigliano come voi che combatte per il re d’Inghilterra?
Sembra strano vedere un cattolico combattere per un re protestante, ma era – ed è ancora ai vostri tempi – la politica: a Carlo V servivano alleati contro la Francia, e l’Inghilterra era disponibile. E poi, come dite ai vostri tempi, un’esperienza all’estero “fa curriculum”.
E dopo lo “stage” in Inghilterra?
Finita la guerra tornai sul continente a combattere contro i Francesi fino alla Battaglia di San Quintino (1 agosto 1557) durante la quale fui ferito da un colpo di moschetto ad una gamba, che mi fu amputata. L’anno dopo, ristabilitomi, ricevetti da Carlo V l’ordine cavalleresco di Santiago, dedicato a San Giacomo che, secondo una leggenda, durante la battaglia di Clavijo, apparve armato come un cavaliere per soccorrere l’esercito cristiano sul punto di essere travolto dai Mori, capovolgendo le sorti della battaglia.
Una carriera, verrebbe da dire, “costata un occhio della testa”, anche se voi avete perduto una gamba.
Guardi, ho perso pure quello: nel 1572 durante la conquista di Haarlem nelle Fiandre; lo stesso anno, durante l’assedio di Mons, fui pure ferito ad un braccio, che mi fu amputato. Venni poi “accantonato” a Cremona, come semplice castellano: ma durò poco. Don Giovanni d’Austria, vincitore della Battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), mi chiamò per l’ennesima campagna nelle Fiandre contro i protestanti: giunto però a Felizzano, sulla strada che portava le nostre truppe dal porto di Finale in Liguria ad Alessandria, Milano e poi, attraverso le Alpi, in Germania, le mie ferite si riacutizzarono e, il 13 ottobre 1577, io morii da comandante in armi, come avevo sempre desiderato.
Ecco perché siete stato sepolto qui, ad Alessandria.
Sì, ma non nella chiesa del Carmine, luogo di usuale sepoltura spagnoli di rango morti ad Alessandria, le cui tombe vennero poi distrutte. Io, “Caballero de Santiago”, chiesi di essere sepolto nella chiesa di San Giacomo, nella quale, quarant’anni dopo, Don Pedro Alvarez de Toledo y Colonna, figlio di Don Garcia e della poetessa italiana Vittoria Colonna, Governatore dello Stato di Milano, fece collocare la lapide tuttora esistente. In questo modo lui, di nobilissima famiglia ma con esperienza militare ben inferiore alla mia, pubblicizzò se stesso sfruttando la fama – pienamente meritata – di uno come me, che nacque bastardo ma morì da cavaliere.