Donne: le violenze diminuiscono, ma sono più efferate
Presentati nel corso del convegno organizzato da Me.dea e Donne Futuro i dati Istat nazionali e quelli provinciali, raccolti dai centri antiviolenza, sulle violenze di genere. Sono oltre sei milioni le donne che sono state vittime di violenza, anche se si intravedono i primi cambiamenti
Presentati nel corso del convegno organizzato da Me.dea e Donne Futuro i dati Istat nazionali e quelli provinciali, raccolti dai centri antiviolenza, sulle violenze di genere. Sono oltre sei milioni le donne che sono state vittime di violenza, anche se si intravedono i primi cambiamenti
PROVINCIA – La violenza sulle donne è cambiata: a dirlo sono i dati nazionali Istat e quelli raccolti grazie al lavoro della Rete Antiviolenza, presentati nel corso del Convegno realizzato da Me.dea e Donne Futuro, con il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia e del Comune di Alessandria e con il sostegno della Chiesa Valdese. I numeri fanno ancora paura – 6 milioni e 788 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita – ma si è riscontrato, nel corso degli ultimi sei anni, ad un cambiamento sociale e culturale che ha portato ad una diminuzione del numero di violenze (dal 13,3% all’11,3%). Le violenze che resistono, però, sono più gravi: aumentano quelle che hanno causato ferite (dal 26,3% al 40,2% da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8% del 2006 al 34,5% del 2014).
“L’attenzione di tutti, dalle istituzioni alle parti sociali, deve essere molto forte – commenta l’assessore alle politiche di genere Maria Teresa Gotta – e proprio nel dialogo e nella collaborazione tra le diverse parti in gioco è possibile trovare la chiave di volta del percorso contro la violenza di genere. Molto è stato fatto, molto resta da fare: lo testimoniano i dati, che ci danno una misura di quanto questo problema sia in evoluzione, eppure presente“. Insiste sull’importanza del lavoro di squadra anche l’assessore regionale alle pari opportunità, Monica Cerutti, che spiega come “sia ormai questione di poco tempo perché il lavoro realizzato da luglio dia i suoi frutti: contiamo infatti, a inizio 2016, di approvare la legge di quadro regionale contro la violenza di genere, che unirà le due leggi esistenti, aggiungendo elementi suggeriti dalle diverse realtà coinvolte nella lotta alla violenza di genere. Ci sarà così spazio per la prevenzione, per gli interventi nelle scuole, per aiutare le vittime di violenza assistita, per l’ambito sanitario, con il codice rosa, per la formazione e per la tutela degli uomini vittime di violenza. Tutto questo – conclude l’assessore Cerutti – con una spesa di oltre 700mila euro, destinati ai centri antiviolenza per la sensibilizzazione e al fondo di solidarietà per le donne vittime di violenza”. Dati alla mano, a livello nazionale qualcosa è cambiato, soprattutto dal punto di vista culturale e di informazione: mentre aumentano, così, le donne che considerano la violenza un reato, cambiano alcune variabili che testimoniano come, nel corso dell’ultimo decennio, l’attività di dialogo e prevenzione abbia iniziato a dare i frutti tanto attesi. 
Il quadro provinciale rispecchia l’andamento nazionale. La presidente di Me.dea, Sarah Sclauzero, ha infatti spiegato come il centro antiviolenza abbia lavorato, nel corso del 2014, su 747 casi di violenza: si tratta per il 66% di donne italiane, tra i ventisei ed i quarantacinque anni, che faticano ad ammettere l’autore della violenza – anche se spesso si tratta del partner – e che si rivolgono in più di un’occasione allo sportello (13.4% di pluriaccessi, per il 40% esteso a più di un’istituzione). “Questo dato – commenta Sarah Sclauzero – da un lato dimostra che non si tratta di accessi random, bensì molto ben strutturati con una direzione consigliata alla donna vittima, già dal primo accesso, dunque premia gli sforzi compiuti dalla Rete per condividere procedure e modalità omogenee di accoglienza. Dall’altro evidenzia l’importanza degli invii spontanei ai servizi, azioni che mettono la donna nella condizione di conoscere i luoghi e gli operatori in grado di aiutarla, lasciandola libera di decidere come agire, in piena consapevolezza e autodeterminazione, due principi irrinunciabili per l’attività dei Centri Antiviolenza”.