Jihaidismo ed espansionismo dell’Isis, incontro con Domenico Quirico
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Alessandro Francini  
6 Dicembre 2015
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Jihaidismo ed espansionismo dell’Isis, incontro con Domenico Quirico

L'inviato di guerra de "La Stampa", tornato da poco da un viaggio in Siria, insieme al prof. Valter Coralluzzo è stato ospite dell'associazione Cultura e Sviluppo per ragionare sul micidiale intreccio fra guerra e terrorismo che dal Medio Oriente sta investendo le società europee

L'inviato di guerra de "La Stampa", tornato da poco da un viaggio in Siria, insieme al prof. Valter Coralluzzo è stato ospite dell'associazione Cultura e Sviluppo per ragionare sul micidiale intreccio fra guerra e terrorismo che dal Medio Oriente sta investendo le società europee

ALESSANDRIA – Chi, meglio di Domenico Quirico – nel 2013 ostaggio degli jihaidisti in Siria per ben 5 mesi – , può descrivere il profilo di un combattente dell’Isis? Anzi, di Daesh (adattamento di DAIISH, cioè l’acronimo tratto direttamente dall’arabo “Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham, n.d.r.) , termine che lo stesso Quirico preferisce usare. Insieme a Valter Coralluzzo, professore di discipline storico-politologiche all’Università di Torino, il giornalista e inviato di guerra de “La Stampa”, da pochi giorni rientrato da un viaggio in Siria, venerdì 4 è stato ospite dell’associazione Cultura e Sviluppo. Un’intensa e molto partecipata occasione per riflettere su temi mai come in questo ultimo periodo di stingente attualità, quali la sanguinosa guerra civile in Siria e la preoccupante espansione dello Stato Islamico, che con gli ultimi terribili attentati sta seminando terrore in tutto il mondo.

Sgombrare il campo dalla retorica, spazzare via i luoghi comuni, anche questo serve per comprendere meglio il fondamentalismo islamico del califfato. “Quello in corso non è un conflitto tra civiltà e barbarie – sostiente Coralluzzo – Il terrorismo è un frutto, se pur ibrido, della modernità. Basti pensare al grande utilizzo fatto di internet e delle moderne tecnologie per promuovere la propaganda dell’Isis. Senza poi dimenticare i forti legami che legano lo Stato Islamico all’economia globale”. Un disegno politico con mire espansionistiche, che manifesta la chiara volontà di amministrare territori e popolazioni, è questa la grande differenza che c’è tra l’Isis di oggi e l’Al-Qaeda di ieri. “Bin Laden non sognava nemmeno di riuscire a costruire uno Stato islamico, – afferma Quirico – gli bastava seminare il terrore nel mondo. Al Qaeda era un problema di polizia, di intelligence. Un problema che è stato praticamente risolto”. Il califfato, invece, è un “progetto territoriale. La sua attività non si esaurisce nel terrorismo. La novità è la conquista del territorio con metodi tradizionali, come l’abbattimento delle frontiere di due ex Stati, Siria e Iraq” sostiene Quirico.

Ma chi sono i combattenti di Daesh? E possibile delineare un profilo che possa in qualche modo accomunarli? “Sono principalmente due gli elementi che mi hanno impressionato degli jihaidisti: il primo è la totale assenza della paura della morte, sia essa inflitta o subita. Il secondo è la mancanza di un passato, tutto ciò che era prima dell’adesione alla causa dello Stato Islamico è stato completamente spazzato via”. Giovani poco più che ventenni senza un’identità, che non sia quella acquisita nel momento in cui hanno deciso di diventare jihaidisti e votarsi al martirio. Lo jihaidismo come “fenomeno generazionale”, ragazzi dai 15 ai 25 anni che non hanno alcun timore di fronte alla morte, ed anzi, “che vedono nell’estremo sacrificio un’aspirazione di vita”.

Lo scoppio nel 2011 della guerra civile in Siria è stata la scintilla dalla quale si è generato il califfato di Abu-Bakr Al-Baghdadi, “senza la guerra in Siria lo Stato Islamico probabilmente non sarebbe mai nato. Il regime siriano è stato eliminato e di conseguenza si è creato un vuoto dal quale tutto ha avuto inizio”. A partire dal 2012, infatti, lo Stato Islamico dell’Iraq, fondato da Al-Zarqawi durante l’occupazione americana successiva alla caduta del regime di Saddam Hussein, è intervenuto in Siria contro il regime di Assad, riuscendo poi ad occupare Raqqa e trasformandola nella capitale dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.

Ma sarebbero anche le debolezze dell’Occidente ad avere favorito l’affermazione dello Stato Islamico del califfato. Su questo punto sia Coralluzzo che Quirico sono molto chiari, “in Occidente lo Stato-nazione è in forte crisi. I jihadisti sanno bene che in Europa, così come negli Stati Uniti, non c’è nessun leader politico in grado di prendere decisioni importanti, come quella di dichiarare guerra all’Isis. – spiega Quirico – Obama, ad esempio, non può farlo perché ha promesso ai suoi elettori che avrebbe adottato una politica estera opposta a quella di Bush”. Un mondo che, senza lo storico decisionismo americano, rischierebbe di trovarsi definitivamente sotto scacco dell’Isis. “Possibile che nessuno riesca a prendere l’iniziativa senza che debbano farlo ogni volta per primi gli Stati Uniti? – si domanda Coralluzzo – Credo che al declino della governabilità dell’America corrisponda necessariamente un caos globale, ovvero l’ingovernabilità del mondo”.

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