La Provvidenza per compagna
Suor Adele è entrata per la prima volta all'asilo Monserrato nel 1951, quando era poco più che una ragazza. C'è rimasta per sessant'anni, testimone del tempo e deii tempi che cambiano. Tra alti e bassi, momenti difficili e disavventure, con una compagna fedele ed incrollabile. "La Provvidenza - racconta - ci ha sempre aiutato"
Suor Adele è entrata per la prima volta all'asilo Monserrato nel 1951, quando era poco più che una ragazza. C'è rimasta per sessant'anni, testimone del tempo e deii tempi che cambiano. Tra alti e bassi, momenti difficili e disavventure, con una compagna fedele ed incrollabile. "La Provvidenza - racconta - ci ha sempre aiutato"
SOCIETA’ – Nella storia dell’asilo Monserrato, simbolo e pietra miliare della vita della città, c’è sempre stato un personaggio speciale. Silenzioso – eppure presente – insospettabile – eppure così importante: la Provvidenza. Lo sa bene suor Adele, che ha per la prima volta varcato la soglia dell’asilo nel 1951 per ritornarvi, regolarmente, fino allo scorso anno. Ed è proprio lei a raccontarci di quanto il Monserrato sia cambiato, decennio dopo decennio, tra momenti difficili e nuove sfide. La sua storia all’asilo Monserrato inizia molti anni fa…
Sì, nel 1951. Sono arrivata qui dal Trentino e mi hanno inviato per tre anni al Monserrato, per una sorta di tirocinio. All’epoca eravamo tante giovani suore, ci si alternava nelle mansioni e nei compiti. Sia chiaro: non era facile. Avevamo soltanto un salone che serviva per accogliere i bambini all’entrata, per dar loro il pranzo, per la ricreazione: i sacrifici erano tanti e l’impegno era immenso. I bimbi, poi, erano molto numerosi: cento, almeno, e molti, dopo la guerra, avevano poco o niente. In questo senso, l’asilo ha fatto tanta carità, nonostante fosse davvero povero. Ad aiutarci, per fortuna, c’è sempre stata la Provvidenza…
I primi anni, dopo la guerra, sono stati molto difficili.
Decisamente, anche se quando sono arrivata al Monserrato c’erano molte vocazioni. Le suore giovani erano molte e c’era, per così dire, un ricambio di personale religioso. Ai miei tempi eravamo in sei, anche se nel corso degli anni ci siamo ritrovate, lentamente, in tre, sempre più anziane. Ci si arrangiava con quel che si aveva, però, senza sprecare nulla. Tenevamo da conto anche le briciole, letteralmente: una suora di Lu aveva ottenuto il permesso di tenere delle galline, che vivevano in solaio, e davamo loro quel che avanzava del pranzo dei bambini. Durante l’inverno, però, la vita era più dura: prima della ristrutturazione, ad esempio, avevamo i bagni all’esterno, oltre il porticato, e bisognava accompagnare i bambini, tre alla volta, sfidando il clima e le intemperie. Non c’era il riscaldamento, del resto, e dipendevamo dalla stufa, da caricare quotidianamente, anche in estate: noi giovani aiutavamo suor Giovanna, la cuoca e custode, perché bisognava spostare secchi pesanti, carichi di carbone. La vita, in fin dei conti, era molto diversa da oggi, sotto tanti punti di vista. Non c’erano i giocattoli, ad esempio, eppure ci divertivamo ugualmente con girotondo, rialzo, campana. Ora, invece, pare ci sia tutto, eppure i bambini sembrano annoiarsi subito, per ogni cosa.

Esatto. La nostra direttrice aveva deciso di aiutare i ragazzi e le ragazze del quartiere. Era un periodo in cui i giovani, spesso, venivano un po’ lasciati a se stessi, ed il rischio che si incamminassero su brutte strade non era così lontano. Avevamo deciso di portare il nostro contributo, insegnando loro un mestiere. C’era in città un maglificio fallito, dal quale abbiamo rilevato le macchine, mentre alcuni benefattori ci fornivano la lana. La scuola di maglieria è nata così ed è andata avanti per molti anni, insegnando tante cose a tantissime giovani della città.
La maglieria era avviata da poco, quando siete incappate in una brutta avventura: i ladri.
Sì, ricordo ancora tutto di quel periodo. Sarà stato il 1958, più o meno, quando un ladro è passato a trovarci e ci siamo trovate senza più un soldo. In quegli anni, la maglieria era stata spostata dove oggi c’è l’Ostello, in piazza Santa Maria di Castello: in questo edificio, che si chiamava “Orfani di Guerra”, erano stati spostati gli attrezzi, mentre l’asilo era rimasto al Monserrato. Era un periodo difficile, e anche noi suore cercavamo di guadagnare qualche soldo in più, spesso lavorando a maglia nel nostro tempo libero, così da poter contare su qualche entrata più sostanziosa. Ci hanno derubate un mattino, durante l’orario di lezione: il ladro è entrato, s’è fatto strada fino alla stanza della Superiora e lì ha portato via tutto, compreso il denaro che stavo faticosamente risparmiando per ripagare la macchina per lavorare a maglia. Non lo abbiamo visto, se non di sfuggita. Ecco, in quel momento mi son chiesta se valesse la pena lavorare perché un ladro portasse via tutto. Ancora una volta però, te l’ho detto, è arrivata la Provvidenza: il meccanico che ci aveva venduto la macchina per fare a maglia ha deciso di considerare nullo il nostro debito, mentre il quartiere si è mobilitato per aiutarci a comprare almeno il pane e qualcosa da mangiare. Siamo state molto povere, è vero: eppure eravamo ricche, in un certo qual senso.
Una vita passata tra i bambini, al servizio dei bambini. Quanto sono cambiati, loro, in sessant’anni?
Tanto, tantissimo. All’inizio c’erano i bambini del quartiere, quelli che avevano visto la guerra. Poi sono iniziate le migrazioni dal sud dell’Italia e poi, piano piano, è toccato agli stranieri. Marocchini, bielorussi, rumeni, polacchi, sudamericani: si può direi che siamo state testimoni del tempo e dei tempi, riuscendo però a capire una cosa sensazionale. Nonostante le diversità di lingua e di cultura, i problemi di comunicazione, tra loro, sono davvero pochi. Litigano per un gioco, a volte, ma poi ricominciano in un attino ad andare d’accordo. Ecco, questo è il bello dei bambini. Capirsi, in fin dei conti, è facile.

Lavorare coi bambini significa, inevitabilmente, affezionarsi a loro, conoscerli. Per questo ogni tanto venivamo spostate altrove, per fare in modo che non ci fossero preferenze. Alcuni bimbi, inutile dirlo, si ricordano in modo particolare: a volte torna in mente la loro storia, altre volte ancora qualche comportamento particolare, buffo o toccante. Ricordo un bimbo, ad esempio, che durante il riposino pomeridiano aveva deciso di sedersi accanto a me, piagnucolando e lamentandosi. Io, esasperata, m’ero lasciata sfuggire un “Signore, pietà”. Lui, immediatamente, s’era fatto serio, smettendo di piangere. Mi aveva scrutato un po’ e poi aveva chiesto, visibilmente preoccupato, “perché, suor Adele, hai detto così?”. Non me lo sono mai dimenticata.
Una storia affascinante, suor Adele.
(Sorride) Ho sempre considerato il Monserrato come una casa, nonostante negli anni abbia servito numerose altre realtà. Qui, però, c’è sempre una parte del mio cuore: ne abbiamo viste tante, vissute tantissime. A raccontarle tutte, quasi non sembra vero. Eppure, ve lo garantisco, lo è stato. Il Monserrato, del resto, resta impresso nella memoria di chi l’ha visto e l’ha vissuto. Io, ad esempio, me lo ricorderò per sempre.