Intervistando la storia: Baudolino, l’eremita “alessandrino”
Al giorno doggi è difficile immaginare il territorio dove sorgono città come Alessandria, Ovada e Novi Ligure come una foresta pressoché disabitata, riserva di caccia dei re longobardi: eppure è così che apparve agli occhi di un eremita più di mille anni fa: Baudolino, divenuto Santo Patrono di Alessandria
Al giorno d?oggi è difficile immaginare il territorio dove sorgono città come Alessandria, Ovada e Novi Ligure come una foresta pressoché disabitata, riserva di caccia dei re longobardi: eppure è così che apparve agli occhi di un eremita più di mille anni fa: Baudolino, divenuto Santo Patrono di Alessandria
Per due motivi. Il primo, perché è lontano dalle paludi che si erano formate alla confluenza della Bormida nel Tanaro. Il secondo, perché, pur essendo disabitata, si trova su una strada romana che raggiunge Tortona, la città più importante, assieme ad Acqui, sopravvissuta in zona alle invasioni.
Un eremita lungo una via di comunicazione?
Certo. Già in Oriente, agli albori della storia della Chiesa, abbiamo avuto esempi di persone che, pur avendo fatto una scelta di vita da eremiti, non hanno rifiutato di incontrare e confortare le persone che ricorrevano a loro.
E tra queste, voi avete conosciuto un re.
È vero. Liutprando, re dei Longobardi, mi mandò a chiamare per risanare suo nipote Anfuso, ferito durante una partita di caccia nella Silva Urba, ma quando arrivarono i messaggeri, io dissi loro non poter far più nulla, perché Anfuso era già morto. Il re, colpito dal fatto di aver saputo dell’avvenuta morte pur trovandomi a miglia di distanza, volle incontrarmi, e diventammo amici: ed è così che il mio nome è entrato nei libri di storia.
Amico solo dei re? Non credo…
No, è solo che i poveri non hanno storici di corte, come Paolo Diacono, ma si tramandano tutto a voce, talvolta esagerando. Una volta mi chiamarono perché le oche, che popolavano le paludi tra Bormida e Tanaro, andavano a mangiare i semi appena sparsi dai contadini sui campi. I contadini, temendo una carestia, mi chiesero aiuto per allontanarle. Io pregai, ed il Signore volle ascoltarmi: è quello che è tramandato, esagerando, come ‘il miracolo delle oche’, dopo il quale addirittura, esagerando di nuovo, i contadini cercarono di fare vescovo me, un povero eremita!
Dopo la sua morte, portarono via dall’eremo di Villa del Foro la sua tomba, e la trasferirono in Alessandria, una grande città: una sorte un po’ strana per un eremita?
Sì, ma ormai le paludi erano state bonificate, e gli abitanti della zona, costruendo Alessandria, vi portarono ciò che avevano di più prezioso: come dice il Vangelo, ‘Dov’è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore’. Se gli Alessandrini hanno legato, per mezzo mio, il loro cuore al Signore, ed hanno trovato in Lui un tesoro, tutto questo per me val bene un trasloco.