Cronaca
Processo polo chimico, la sentenza prima dell’estate
Riprendono, dopo quattro mesi, le udienze al processo contro otto ex dirigenti e amministratori di Montedison e Solvay. Le dichiarazioni spontanee degli imputati Cogliati, Tommasi e Boncoraglio: "Accuse incomprensibili". L'ultima replica del Pm Ghio: "ci fu una falsificazione dolosa dei dati relativi allo stato dell'inquinamento". La sentenza potrebbe arrivare prima dell'estate
Riprendono, dopo quattro mesi, le udienze al processo contro otto ex dirigenti e amministratori di Montedison e Solvay. Le dichiarazioni spontanee degli imputati Cogliati, Tommasi e Boncoraglio: "Accuse incomprensibili". L'ultima replica del Pm Ghio: "ci fu una falsificazione dolosa dei dati relativi allo stato dell'inquinamento". La sentenza potrebbe arrivare prima dell'estate
ALESSANDRIA – “Accuse incomprensibili” o anche un “processo che è fonte di profondo turbamento”, o ancora “ho appreso che esistesse un ‘metodo Boncoraglio’ solo dopo il processo”.
Respingono le accuse, mosse dal pubblico ministero Riccardo Ghio, gli imputati Carlo Cogliati, presidente a amministratore prima Ausimont fino al 2002, poi Solvay; Giulio Tommasi, responsabile della funzione ambiente Ausimont; Francesco Boncoraglio, responsabile funzione ambiente Ausimont e Solvay che ieri, davanti alla Corte di Assise di Alessandria, hanno reso le loro “dichiarazioni spontanee”.
E’ alle ultime battute il processo contro otto tra ex dirigenti e amministratori che si sono succeduti nella gestione dello stabilimento del Polo Chimico di Spinetta Marengo. In aula, davanti alla Corte, dopo le dichiarazioni di tre degli imputati che hanno voluto “metterci la faccia” (è quanto hanno detto) la parola è tornata al pubblico ministero Riccardo Ghio.
Un procedimento complesso e lungo, dove “si è prodotta molta carta”, ha ammesso Ghio, in cui “ci sono una pluralità di tesi difensive, in alcuni case romanzate”. Nel corso del processo, durato quasi quattro anni, se si tiene conto anche della fase preliminare, si è assistito a dure accuse reciproche, non solo tra accusa e difesa, ma anche tra gli stessi imputati.
“Difficile replicare”, dice il pubblico ministero. Ma non si sottrae dal farlo, cogliendo l’ultima opportunità di puntualizzare e motivare i capi di imputazione: avvelenamento doloso delle acque e omessa bonifica.
Ghio ribadisce alcuni concetti che ritiene fondamentali: l’avvelenamento ci fu, e fu doloso; ci fu “dolo nella falsificazione dei dati trasmessi agli enti” o “nel loro occultamento”; ci fu “un atteggiamento psicologico volontario” nel non voler mettere in atto “i comportamenti atti a porre rimedio alla situazione di inquinamento”; ci fu la volontà di mettere in atto una strategia per “non spaventare chi non sa”.
Per rientrare nella fattispecie dell’inquinamento, “non è necessario che ci fosse la volontà di fare del male”, dice. “Nessuno degli imputati è scemo o malvagio”, ma ci fu la volontà di “nascondere” perchè si “voleva salvaguardare la prosecuzione dell’attività dello stabilimento”. E, ancora, non è necessario, per parlare di inquinamento, che le acque fossero destinate all’uso potabile”. E’ sufficiente “che vi sia un pericolo concreto” e che l’acqua si “potenzialmente o concretamente destinata all’uso umano”. E quella di falda, lo è.
Rinunciano a replicare le parti civile, ad eccezione dell’avvocato Mara, per Medicina Democratica e singole parti civili. Rimanda alla sua memoria, depositata nel luglio del 2014; sottoscrive quanto detto dal pubblico ministero, ribatte alcuni punti dei periti di difesa, in particolare sulla pericolosità e sulla “dose minima di assunzione” di sostanze nocive, come il cromo: secondo i dati contenuti in una relazione Ispra, i lavoratori del polo chimico, secondo l’avvocato, “hanno assunto dosi superiori fino a 78 volte il limite”.
La prossima udienza è fissata per l’11 maggio. La parola spetterà ancora una volta alle difese. Poi si andrà a sentenza, “speriamo prima dell’estate”, auspica il presidente della corte Sandra Casacci.
Respingono le accuse, mosse dal pubblico ministero Riccardo Ghio, gli imputati Carlo Cogliati, presidente a amministratore prima Ausimont fino al 2002, poi Solvay; Giulio Tommasi, responsabile della funzione ambiente Ausimont; Francesco Boncoraglio, responsabile funzione ambiente Ausimont e Solvay che ieri, davanti alla Corte di Assise di Alessandria, hanno reso le loro “dichiarazioni spontanee”.
E’ alle ultime battute il processo contro otto tra ex dirigenti e amministratori che si sono succeduti nella gestione dello stabilimento del Polo Chimico di Spinetta Marengo. In aula, davanti alla Corte, dopo le dichiarazioni di tre degli imputati che hanno voluto “metterci la faccia” (è quanto hanno detto) la parola è tornata al pubblico ministero Riccardo Ghio.
Un procedimento complesso e lungo, dove “si è prodotta molta carta”, ha ammesso Ghio, in cui “ci sono una pluralità di tesi difensive, in alcuni case romanzate”. Nel corso del processo, durato quasi quattro anni, se si tiene conto anche della fase preliminare, si è assistito a dure accuse reciproche, non solo tra accusa e difesa, ma anche tra gli stessi imputati.
“Difficile replicare”, dice il pubblico ministero. Ma non si sottrae dal farlo, cogliendo l’ultima opportunità di puntualizzare e motivare i capi di imputazione: avvelenamento doloso delle acque e omessa bonifica.
Ghio ribadisce alcuni concetti che ritiene fondamentali: l’avvelenamento ci fu, e fu doloso; ci fu “dolo nella falsificazione dei dati trasmessi agli enti” o “nel loro occultamento”; ci fu “un atteggiamento psicologico volontario” nel non voler mettere in atto “i comportamenti atti a porre rimedio alla situazione di inquinamento”; ci fu la volontà di mettere in atto una strategia per “non spaventare chi non sa”.
Per rientrare nella fattispecie dell’inquinamento, “non è necessario che ci fosse la volontà di fare del male”, dice. “Nessuno degli imputati è scemo o malvagio”, ma ci fu la volontà di “nascondere” perchè si “voleva salvaguardare la prosecuzione dell’attività dello stabilimento”. E, ancora, non è necessario, per parlare di inquinamento, che le acque fossero destinate all’uso potabile”. E’ sufficiente “che vi sia un pericolo concreto” e che l’acqua si “potenzialmente o concretamente destinata all’uso umano”. E quella di falda, lo è.
Rinunciano a replicare le parti civile, ad eccezione dell’avvocato Mara, per Medicina Democratica e singole parti civili. Rimanda alla sua memoria, depositata nel luglio del 2014; sottoscrive quanto detto dal pubblico ministero, ribatte alcuni punti dei periti di difesa, in particolare sulla pericolosità e sulla “dose minima di assunzione” di sostanze nocive, come il cromo: secondo i dati contenuti in una relazione Ispra, i lavoratori del polo chimico, secondo l’avvocato, “hanno assunto dosi superiori fino a 78 volte il limite”.
La prossima udienza è fissata per l’11 maggio. La parola spetterà ancora una volta alle difese. Poi si andrà a sentenza, “speriamo prima dell’estate”, auspica il presidente della corte Sandra Casacci.