Le donne nei lager nazisti “come rane d’inverno”
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Alessandro Francini  
27 Gennaio 2015
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Le donne nei lager nazisti “come rane d’inverno”

La deportazione femminile nei lager nazisti per tanti anni è stato un argomento poco o per nulla affrontato. La scrittrice e saggista Daniela Padoan è stata invitata ad intervenire dall'associazione Cultura e Sviluppo per parlare delle donne della Shoah. Durante la serata è stata inoltre proiettata la video intervista a Ida De Sandré, prigioniera a Ravensbruck

La deportazione femminile nei lager nazisti per tanti anni è stato un argomento poco o per nulla affrontato. La scrittrice e saggista Daniela Padoan è stata invitata ad intervenire dall'associazione Cultura e Sviluppo per parlare delle donne della Shoah. Durante la serata è stata inoltre proiettata la video intervista a Ida De Sandré, prigioniera a Ravensbruck

ALESSANDRIA – “In una ricorrenza come il “Giorno della Memoria” il rischio è quello di perdere gradualmente contenuti e finalità. Iniziative come quella di questa sera costituiscono motivo di riflessione e di impegno, perché fare memoria di quanto avvenuto possa essere esperienza che ci aiuti ad orientarci oggi”; Gian Piero Armano ha definito così il senso della serata organizzata nella sede dell’associazione Cultura e Sviluppo ed intitolata “Come una rana d’inverno – La deportazione femminile e il lager di Ravensbruck”. Armano è l’autore della video intervista a Ida De Sandré, ultima deportata italiana nel lager di Ravensbruck ancora vivente, proiettata nel corso della serata.

Prima della proiezione del documento video è intervenuta la saggista, scrittrice e documentarista Daniela Padoan, che ha parlato della specificità del dramma delle donne deportate nei campi di sterminio nazisti, un tema per troppo tempo taciuto e rimasto ai margini dei dibattiti legati alla tragedia dell’Olocausto.

Ogni deportato supersite vittima dell’abominio perpetuato nei campi di concentramento ha conservato dentro di sé le cicatrici di un’esperienza devastante, ma le donne in particolare hanno subito un abuso molto intimo: l’annientamento della propria corporeità e delle proprie peculiarità femminili in quanto soluzione utile all’estinzione della razza. “Per tanto tempo non è stato chiaro che la questione dello sterminio nazista metteva al centro la differenza tra uomini e donne già nel modo in cui veniva concepita la deportazione” spiega Daniela Padoan “ciò che si voleva perseguire era l’estinzione della razza considerata subumana, di conseguenza la donna doveva necessariamente smettere di partorire”.

Per ciò che riguarda la prigionia femminile esistono una quantità di aspetti che soltanto se considerati nella giusta maniera possono dare la possibilità di comprendere cosa ha significato per una donna la deportazionezione nazista. Come afferma la Padoan “quando si parla dell’esperienza nei campi di concentramento vige una sorta di neutro linguistico che appiattisce sul maschile e che fa sì che l’esperienza delle donne sia inglobata dentro quella maschile”. La specificità femminile, invece, è stata una componente di primo piano nello sterminio nazista. A Birkenau, sotto campo di Auschwitz destinato soprattutto alle donne, avvenivano esperimenti sull’apparato riproduttivo, veniva indotta sterilità alle donne ebree e venivano eseguiti esperimenti poi utilizzati nella ricerca scientifica ariana. “Le donne che giungevano al campo in gravidanza”, aggiunge la Padoan,“molto spesso venivano fatte abortire o mandate direttamente alle camere a gas. Le mamme che arrivavano con un bambino piccolo se ne separavano subito o allo stesso modo venivano gassate insieme al figlio o alla figlia”.
Una volta a casa il dolore e il tormento difficilmente trovavano sollievo; se gli uomini sopravvissuti venivano considerati degli eroi e dei testimoni preziosi, le donne dovevano in sostanza riadattarsi a quello che era stato il loro ruolo prima della deportazione, dovendo fare i conti con l’enorme senso di isolamento e la difficoltà nel trovare qualcuno disposto ad ascoltare.

Nella video intervista realizzata da Gian Piero Armano, Ida De Sandré, deportata a Ravensbruck nell’ottobre del 1944, rievoca le umiliazioni fisiche e morali subite. Quasi a confermare le parole della Padoan, la De Sandré ricorda le tante donne costrette ad abortire non appena entrate nel campo, le degradanti ispezioni in ogni parte del corpo durante le visite mediche, le punture per far cessare le mestruazioni. Come dichiara lda De Sandré nel documentario “parlare della donna deportata è molto difficile, perché l’umiliazione femminile diventava molto più intima rispetto a quella dell’uomo”. Il racconto è un crescendo di disperazione, che culmina con l’arrivo a Bergen-Belsen due mesi prima della fine della guerra. Nel maggio del 1945 gli inglesi entreranno a Bergen e dopo quasi cinque mesi di cure riabilitative la De Sandré farà ritorno a casa nel settembre del ’45.

 

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