Alessandria e le frontiere della microbiologia
E' vero che gli antibiotici rischiano di essere sempre meno efficaci per combattere alcuni microorganismi? Come funzionano le analisi che svolgiamo in laboratorio? A che punto è la ricerca? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Rocchetti, responsabile della struttura di Microbiologia dell'Ospedale alessandrino
E' vero che gli antibiotici rischiano di essere sempre meno efficaci per combattere alcuni microorganismi? Come funzionano le analisi che svolgiamo in laboratorio? A che punto è la ricerca? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Rocchetti, responsabile della struttura di Microbiologia dell'Ospedale alessandrino
ALESSANDRIA – Andrea Rocchetti, direttore della struttura di Microbiologia dell’Ospedale Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo, risponde alle domande di AlessandriaNews.it sul funzionamento di questo delicato settore all’interno dell’Ospedale, sulle frontiere della ricerca, sui pericoli per l’umanità legati alle resistenze antibiotiche e sulle buone pratiche da condurre nella vita quotidiana. Dottor Rocchetti, com’è organizzato il servizio di microbiologia all’interno dell’Ospedale?
Qual è il vostro compito all’interno dell’Ospedale?
Il nostro servizio si occupa di individuare e combattere i virus, i batteri, i parassiti e altri microorganismi pericolosi, come quelli responsabili della turbecolosi. Il lavoro parte dalla diagnosi, che aiuta il personale clinico e i cittadini a scoprire la causa delle malattie infettive. Negli ultimi anni fra i nostri compiti c’è anche quello, delicatissimo, di sorvegliare i batteri che sviluppano resistenza agli antibiotici. Per contribuire al monitoraggio siamo direttamente agganciati alle banche dati a livello regionale ed europeo, grazie all’Earss network, gestito dal centro malattie infettive europeo.

Noi dobbiamo fare le indagini bene, presto e nell’interesse del paziente: per farle bene abbiamo lavorato all’ottenimento dell’appositiva certificazione di qualità Iso specifica per i laboratori, che ci è stata riconosciuta dal 2003. Per essere veloci ci avvaliamo di una strumentazione d’avanguardia che, grazie a un’automazione sempre maggiore, snellisce i processi di studio e li rende più precisi. E poi ci siamo organizzati per concentrarci sui punti più critici come le sepsi, infezioni gravi dei pazienti sostenute da batteri.
Quali sono concretamente le tecniche utilizzate?
Il laboratorio si divide in settori: le tecnologie di biologia molecolare sfruttano le potenzialità delle nuove tecnologie per trovare tracce di dna dei batteri, come nel caso dell’epatite e dell’HIV, ma un discorso analogo vale per tutti i virus importanti nei casi di pazienti trapiantati e immunodepressi, nei quali gli elementi virali potrebbero riattivarsi quando gli anticorpi vengono indeboliti.
Poi abbiamo il settore della sierologia: in questo caso invece del dna, la ricerca si concentra sugli anticorpi: guardiamo se vi è una risposta immunitaria da parte dell’organismo nei confronti di un determinato virus. Il principio è semplice: se il corpo ha sviluppato determinati anticorpi vuol dire che è presente anche il virus che li ha fatti sviluppare. Questa seconda strategia è pertanto di tipo indiretto, ma non per questo ne esiste una migliore o una peggiore, dipende semplicemente da quali obiettivi vogliamo perseguire. Usiamo le prime per individuare tempestivamente la presenza di alcune tipologie di virus, ottenendo riscontri prima ancora che il corpo reagisca producendo anticorpi, mentre la seconda è utile per esempio quando si deve verificare se una terapia sta funzionando, perché in quel caso il numero di anticorpi dovrebbe calare all’affievolirsi delle presenza del virus.
Il terzo ambito di intervento delle nostre tecniche riguarda l’analisi dei materiali biologici, come sangue, urine, feci e altre secrezioni, che confluiscono al nostro servizio dai diversi reparti dell’Ospedale, in aggiunta ai prelievi e ai tamboni che eseguiamo direttamente ai centro Gardella. In questo caso vengono eseguite vere e proprie colture dei batteri presenti. Paradossalmente l’obiettivo diventa quello di tenere in vita i batteri e di farli proliferare, ovviamente non all’interno del corpo del paziente ma su un apposito “terreno” ricreato in laboratorio. Quando i batteri si sviluppano è più facile individuare con precisione a quale ceppo appartengono, e sperimentare in laboratorio su di essi i diversi tipi di antibiotici, così da somministrare poi al paziente direttamente quello che è risultato più efficace. Questo referto si chiama antibiogramma e in sostanza misura le diverse resistenze dei virus agli antibiotici.
In ultimo, utilizziamo tecniche d’avanguardia per la diagnosi e il controllo di malattie tubercolari. La tubercolosi infatti è ancora presente sul nostro territorio e anzi alcuni ceppi sono piuttosto resistenti. Per fortuna l’incidenza è bassa ma va tenuta sotto controllo. Solitamente il corpo la controlla bene, e gli anticorpi riescono a mantenerla quiescente anche per tutta la vita. Quando però si deve intervenire con provvedimenti immunodepressivi, per esempio in caso di chemioterapie, ecco che il batterio può tornare a svilupparsi. Dall’anno scorso ad Alessandria eseguiamo l’innovativo test “Quantiferon” per prevenire questo tipo di rischi.

La microbiologia vive oggi un vero e proprio momento di euforia per la quantità di nuove tecnologie che hanno già applicazione in grossi centri o che la ricerca ci dice saranno disponibili a breve. Riorganizzazione i servizi consentirà di utilizzarle presto su grandi numeri. L’obiettivo è l’Implementazione della biologia molecolare in maniera sempre più automatizzata. Un esempio su tutti è l’utilizzo dello strumento Maldi Tof, in grado di portarci all’indentificazione di un microorganismo nel giro di pochissimi minuti: in pratica il batterio viene posto in campo magnetico e disintegrato. Le proteine al suo interno compiono così traiettorie diverse a seconda del batterio, consentendoci di individuarlo quasi istantaneamente. Si tratta davvero della frontiera per la diagnostica e speriamo presto di riuscire ad acquisire la strumentazione per utilizzare questo metodo ad Alessandria.
Per concludere, veniamo a un tema particolarmente delicato: è vero che ci sono microorganismi sempre più resistenti ai nostri antibiotici? Come si ovviare al problema? Si tratta di un pericolo reale per l’umanità?
L’antibiotico resistenza è un fenomeno reale, globale, che interessa tutto il mondo e non solo il campo medico, ma anche quello dell’agricoltura e dell’allevamento. Per esempio pensiamo agli allevamenti intensivi di polli, salmoni, bovini, ma anche fitofarmaci utilizzati sulle piante. Noi facciamo sì con i nostri comportamenti che i batteri facciano una continua selezione antibiotica, diventando sempre più forti. I microorganismo hanno veri e proprio strumenti per smontare quasi meccanicamente il nostro antibiotico. Esistono batteri il cui antibiogramma è totalmente resistente: in pratica non esiste un antibiotico in grado di fermarli. In questi casi siamo costretti a ricorrere a un mix di essi, ma è una catena che rischia di portare a organismi sempre più sviluppati. In tutto il mondo la comunità scientifica ragiona ormai da tempo su come utilizzare meglio gli antibiotici.

Questo è almeno parzialmente vero. Molto è ancora lasciato al paziente, che spesso sbagliando decide di assumere in autonomia un antibiotico invece di ricorrere al medico. Solo chi è esperto sa indicare quale antibiotico prendere a seconda delle situazioni, anche alla luce dell’età, delle condizioni del paziente, del tipo di malattia e delle controindicazioni e possibili interazioni che ogni farmaco possiede. In più, è il medico che sa quando l’antibiotico va sospeso, perché spesso facendo da soli tendiamo a prenderlo troppo a lungo. E non si tratta ormai solo più di una scelta personale, ma ha conseguenze collettive. Senza antibiotici efficaci all’umanità verrebbe meno un’arma potentissima. Sono strumenti fondamentali, da utilizzare solo per le vere emergenze, così da garantirne la piena potenza. La comunicazione al cittadino è fondamentale e infatti ormai ci si sta interrogando a livello globale su come impostarla al meglio. Per esempio resta fondamentale lavarsi bene le mani, e spesso è una pratica sottovalutata. Il lavaggio delle mani è una vera e propria barriera per i batteri, non solo perché evita a noi di infettarci, ma anche di portarli in giro e di diffonderli altrove. In ogni caso, non dimentichiamoci che non tutti i microorganismi sono nocivi: pensiamo per esempio ai batteri della flora intestinale, fondamentali per il nostro benessere.