La Comunità Benzi apre le porte alla disabilità
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La Comunità Benzi apre le porte alla disabilità

Lo storico orfanotrofio di piazza Bini, attualmente usata come comunità residenziale minori, sarà (ri)convertita a residenza per persone con disabilità grave. Parola d'ordine "vivere", non sopravvivere

Lo storico orfanotrofio di piazza Bini, attualmente usata come comunità residenziale minori, sarà (ri)convertita a residenza per persone con disabilità grave. Parola d'ordine "vivere", non sopravvivere

ALESSANDRIA – “Entro fine anno, la Comunità Rosanna Benzi tornerà alla sua destinazione originale” a dirlo sono Paolo Berta, presidente dell’associazione Idea e consigliere comunale, e Corrado Parise, presidente della cooperativa Il Gabbiano. 
La struttura che si trova in piazza Bini e che tuttora ospita alcuni minori provenienti da contesti difficili, entro fine anno diventerà una Comunità Socio Assistenziale per persone con disabilità grave: lesioni midollari, traumi cranici, gravi cerebrolesioni.

“L’obiettivo – spiega Paolo Berta – è quello di arrivare ad ospitare, entro fine anno, otto persone che svolgano qui una vita assistita ma il più possibile autonoma. Insegnare alle persone che vivranno qui ad utilizzare i metodi informatici e le nuove tecnologie, acquisire competenze per permettere loro di rientrare nel mondo del lavoro, fonte di soddisfazione ma anche di reddito, sarà prioritario. Qui, infatti, così come in qualunque altra struttura, anche in quelle non adatte, le persone ospitate pagheranno una retta che equivale ai quattro quinti della propria pensione (il resto sarà integrato dal Cissaca, ndr) e con un quinto della pensione non è che si possa fare gran chè”.

Disponibile anche un letto “d’emergenza” per le persone con disabilità che solitamente vengono seguite dai familiari qualora quest’ultimi si trovassero impossibilitati a farlo per un breve periodo.
“Immaginiamo un familiare che si occupa del proprio marito, della propria moglie, della propria figlia, che non si può permettere di andare in ferie, di subire un intervento chirurgico, di ammalarsi. Questa camera, nasce proprio con questa finalità: consentire alla persona con disabilità di non essere seguita dai propri famigliari, o da chi se ne occupa abitualmente, per un breve periodo di tempo. Immagino – ha aggunto Berta – che questa camera sarà occupata undici mesi all’anno”.

“Sarà una struttura unica nel suo genere – spiega Corrado Parise – Una struttura in centro città il cui progetto prevede che la vita al suo interno sia il più vicino possibile a quella di una casa. Con i ritmi, con le modalità con il clima che c’è in un’abitazione in cui si trascorre gran parte della propria vita. E’ questo che la differenzia da tutte le altre strutture che sono più assistenziali”.

Qualora la struttura iniziasse a lavorare a pieno regime, saranno circa quindici le professionalità necessarie. Una decina gli assistenti, formati dal dottor Salvatore Petrozzino, Direttore del Dipartimento Riabilitativo Borsalino, che si è dato disponibile ad affrontare un percorso appositamente studiato per approfondire le criticità che assistere persone con disabilità grave comporta, a cui si aggiungeranno circa cinque professionalità che per il funzionamento della struttura non possono mancare: fisioterapisti, consulenti, cuochi, addetti alle pulizie.

“Una struttura sperimentale – ha aggiunto Laura Mussano, direttrice del Cissaca, ente che ha partecipato all’niziativa – per realizzare quel progetto di vita che altrove non è possibile. Proprio per questo la Comunità si trova in città, con la possibilità di avere i trasporti, la vicinanza con i servizi. L’investimento fatto per la ristrutturazione dalla Regione, dalla Cooperativa (per la buona parte) e anche dal Comune di Alessandria (che aveva stanziato per l’avvio della gestione 200mila euro), non deve andare sprecato”.

L’augurio, infatti, è che non avvenga quello già accaduto dopo l’inaugurazione della struttura nel 2007.
“L’asl – ha spiegato Corrado Parise – negli anni che sono andati dal 2007 al 2010 non ha creduto in questo tipo di struttura privilegiando altre tipologie di resistenze improntate sull’assistenza tradizionale. Allora, non potendo sostenre i costi della struttura a fronte di una carenza di richieste, abbiamo dovuto chiudere perchè le perdite erano diventate ingenti (più di un milione di euro le spese per la ristrutturazione a cui si sono aggiunte quelle di gestione dello stabile e del personale). Nel 2010 abbiamo chiesto alla Regione, di poter utilizzare la comunità per l’accoglienza dei minori, fino a quando non fosse stato possibile gestirla come residenza per persone con disabilità. Adesso sembra che da parte degli enti ci sia maggiore attenzione verso questo tipo di attività che costituiscono un vero e proprio salto culturale. E in questo momento anche l’Azienda Sanitaria Locale sembra più comprensiva, più attenta a cosa stiamo facendo e ai bisogni del territorio. Il bisogno di strutture di strutture di vita e non di sopravvivenza c’è, ed è molto grande.”

La speranza è che si possa andare nella direzione di un servizio funzionante anche perchè la riconversione della struttura da comunità minori a disabili comporterà il trasloco dei ragazzi che attualmente sono ospitati qui, in una nuova residenza che si trova a Solero.

“Se il rinnovato progetto non riuscisse ad avere successo . ha sottolineato Laura Mussano – si tratterebbe di un lutto, non solo economico, ma anche morale”.

 

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