Conservatorio, voglia di fare per continuare a offrire cultura alla città
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Conservatorio, voglia di fare per continuare a offrire cultura alla città

Un'importante istutuzione cittadina con oltre 800 studenti come sta vivendo quasto delicato momento in cui la cultura è tra i settori più bistrattati? Abbiamo intervistato la direttrice Angela Colombo per conoscere meglio questa realtà

Un'importante istutuzione cittadina con oltre 800 studenti come sta vivendo quasto delicato momento in cui la cultura è tra i settori più bistrattati? Abbiamo intervistato la direttrice Angela Colombo per conoscere meglio questa realtà

ALESSANDRIA – La cultura non si mangia. Ma non si vive nemmeno di soli tagli. Ci sono bisogni per una comunità che pur non avendo a che fare con la sussistenza sono altrettanto importanti. Elementi che possono apparire corollari in momenti di difficoltà come quello che stiamo attraversando. Eppure un Paese, una città, una persona senza quel più sembrano morire. Perdono un valore che pur non dando un riscontro immediato sul piano economico arricchisce molto.
In Alessandria la chiusura del Teatro Comunale ha lasciato un vuoto enorme nella vita culturale cittadina. C’è però ancora un’istituzione che pur nelle difficoltà e nella riduzione di fondi resiste e continua a produrre un valore aggiunto significativo. Il Conservatorio Antonio Vivaldi, una realtà giornaliera per i circa 800 studenti che vi sono impegnati, compresi quelli che vanno dal progetto propedeutica fino alla scuola di musica per adulti. Un luogo apprezzato e vissuto anche dal tanto pubblico che affolla i suoi concerti e le sue produzioni.
Per conoscere più a fondo questa realtà cittadina abbiamo parlato con Angela Colombo, direttrice da pochi mesi dell’istituto ma da molti anni professoressa al Vivaldi.

Buongiorno direttrice, innanzitutto come formazione per gli studenti il Conservatorio funziona?
Questa scuola presuppone una passione forte che sostenga tutta la fatica che si fa. Ci vuole una grande voglia di studiare, pure. Questo giustifica il fatto che sono molti ad iniziare e poi si perdono per strada durante il percorso. Però è un bel posto. Dove si lavora molto insieme, si condivide molto e si fanno delle cose belle perché ci si prepara per suonare e offrire musica.

Sono tanti i ragazzi usciti dal Conservatorio che riescono a fare della musica la loro carriera?
Non è facile. Quando c’era più opportunità di insegnare è chiaro che l’insegnamento era uno sbocco importante e interessante. Con soddisfazione quest’anno ho avuto modo di presentare molti allievi che stanno lavorando con la musica. Sono belle speranze, belle occasioni per mettere in pratica il lavoro di tanti anni. Poi i più intraprendenti sanno trovare quelli che sono i lavori legati alla musica che non sono quelli meramente esecutivi perché la carriera concertistica è sempre stata difficile.

Che peso ha secondo lei nel tessuto culturale cittadino e provinciale il Conservatorio?
In Alessandria noi abbiamo l’impressione di essere molto presenti, sentiti e attivi. Purtroppo la chiusura del Teatro Comunale è una grossa perdita per dare un’istituzione che produce cultura.
Ho ricevuto molte proposte di collaborazione dalla provincia e anche fuori. Abbiamo mandato molti nostri allievi a suonare per pro loco e comuni. Stiamo cercando di allargarci molto. Abbiamo ricevuto studenti dalla Georgia e dalla Francia. Ci ramifichiamo il più possibile. È anche un conservatorio di pendolari il nostro, io per prima sono di Torino ma insegno qui dal 1980 e ho studiato qui. Questo fa girare un po’ la voce e le occasioni di attività per i nostri allievi e docenti.
Poi organizziamo stagioni che il pubblico dimostra di apprezzare. “Entriamo nella casa della musica” i concerti che facciamo per le primarie, è alla ventiduesima edizione. Registriamo il tutto esaurito con una lista di attesa più lunga dei posti che abbiamo a disposizione. C’è grande richiesta e voglia di avvicinarsi in modo consapevole più preciso all’ascolto della musica. Per “Scatola Sonora” siamo alla 16^ edizione. I concerti del mercoledi proseguono da 21 anni ormai.

Il Conservatorio non è solo un’istituzione quindi ma una realtà in grado di produrre cultura…
Noi insegniamo musica ma non la facciamo solo per noi. La musica si fa per condividerla con gli altri. Noi oltretutto non dobbiamo solo formare musicisti che facciano concerti ma anche un pubblico. Per noi è un successo se i bambini che vengono con le scuole da grandi diventeranno un pubblico che viene ai concerti.
Abbiamo una rete per la formazione musicale di base che raccoglie 18 istituti, enti associazioni tra Piemonte e Liguria con i quali lavoriamo in parte per condividere dei percorsi di studio per gli studenti che lavorano in queste scuole che porteranno, per chi lo vorrà, al Conservatorio per conseguire la laurea e un po’ per avere degli scambi e fare musica in giro.

In un periodo di crisi come questo in cui la cultura è tra i primi settori su cui cadono i tagli, cosa è cambiato per il Conservatorio?
Noi abbiamo avuto una netta riduzione dei trasferimenti dei fondi ministeriali. Poi abbiamo avuto anche un calo verticale delle sponsorizzazione esterne. Uno dei miei primi interventi è stato fare una revisione e una razionalizzazione dell’offerta a disposizione. Ritoccare dove era ritoccabile per non trovarci poi nei guai.

Avete idee per reperire i fondi da altre fonti?
Ci stiamo muovendo chiedendo aiuto a fondazioni e chi voglia supportare un progetto culturale importante.
Sto cercando di poter ripetere il concorso Benzi, l’unico concorso di contrabbasso in Italia, che abbiamo problemi a far ripartire perché ci mancano i fondi. Stiamo cercando di non perdere delle occasioni. Di non perdere qualità pur nelle ristrettezze. Magari diamo qualche ospite in meno ma manteniamo comunque una qualche cosa che ci dia una connotazione di un livello culturale importante.
Ci sono poi le normali attività del conservatorio: i concerti di fine anno che sono delle tappe per gli allievi fondamentali, momenti di mettersi a confronto, una palestra. L’unico modo per imparare a suonare davanti al pubblico è suonare davanti a un pubblico.

Ora che il Comune è in dissesto, la Provincia in difficoltà, ci sono ancora aiuti da parte loro?
In questo periodo di difficoltà si acuisce l’ingegno. Sto lavorando molto bene con i contatti che ho. Sto trovando anche molta disponibilità pratica. I soldi non ci sono però ad esempio il Comune ci mette a disposizione le sale del museo e noi gli diamo gli allievi. Una bella collaborazione. Diciamo che c’è una serie di collegamenti che stanno continuando e ampliandosi che sono il segno anche della volontà di lavorare assieme per tenere alta la tensione culturale della città. Noi abbiamo la fortuna di essere in tanti e di fare musica per tutti i gusti. Di avere anche la possibilità di mettere a disposizione dei nostri allievi che così fanno esperienza didattica. Noi siamo qui, usateci.
La cosa importante adesso è non rinunciare, se si perde anche la cultura si muore. Non si vive di solo risparmio.

Immagino il Conservatorio sia un’esperienza di vita…
Il conservatorio è un’esperienza completa. È rapportarsi con vari insegnati, essere in una scuola di formazione ma anche di produzione che ti insegna un mestiere e ti mette su un palco a farlo. Non solo, ma abbiamo anche la possibilità di far lavorare per 150 ore gli allievi maggiorenni: chi si occupa di fotografia, chi delle luci, chi dell’accoglienza.

Il Conservatorio da qualcosa di diverso a un ragazzo rispetto agli altri tipi di scuola?
Il Conservatorio insegna un modo diverso di stare insieme, lavorare insieme, insegna a organizzarsi in una altro modo, ad avere delle tappe e delle scadenze precise. Fa stare insieme per fare una cosa bella che è offrire e ascoltare la musica. Ci sono anche tensioni, problemi, se pensiamo che spesso il rapporto alunni-insegnanti è uno a uno. Ci sono i problemi umani delle persone però dà la possibilità di fare esperienze che si possono fare solo qui.

Un primo bilancio a pochi mesi dall’investitura di direttore?
Io sento un buon clima. È chiaro che un cambio dopo 22 anni di gestione non è cosa da poco. Io ho avuto la fortuna per diversi anni di essere vice direttore. In ogni caso non è facile. Sono contenta perché quello che a me interessa e fare un lavoro di staff. Per gestire una istituzione come questa, che ha anche 82 insegnanti e una ventina di personale, e una tale mole di lavoro, l’aspetto produttivo, o si delega o si lavora per gruppi di lavoro altrimenti è impensabili di fare da soli tutto. Ho formato dei gruppi di lavoro ai quali ho dato degli incarichi e vedo che questo sta funzionando. C’è voglia di fare, di lavorare insieme per fare qualcosa di buono. Senza una buona didattica non possiamo fare una buona attività di produzione e senza una buona attività di produzione non vengono le persone a vederci, e qui il cerchio si chiude.

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