Ostetricia e Ginecologia: il “cerchio della vita” in un solo reparto
Enrico Rovetta, direttore di Ostetricia e Ginecologia ad Alessandria, ci guida alla scoperta di una delle realtà più delicate e all'avanguardia dellospedale del capoluogo. La sfida? Supplire alla chiusura dei punti nascita di Acqui Terme e Tortona
Enrico Rovetta, direttore di Ostetricia e Ginecologia ad Alessandria, ci guida alla scoperta di una delle realtà più delicate e all'avanguardia dell?ospedale del capoluogo. La sfida? Supplire alla chiusura dei punti nascita di Acqui Terme e Tortona
ALESSANDRIA – Dei tanti reparti in cui si articola l’Ospedale Santi Antonio e Biagio, quello di Ostetricia e Ginecologia è sicuramente “speciale”: fra le sue mura vengono alla luce circa 1400 bambini ogni anno, ma l’obiettivo è quello di prendersi cura della salute dell’apparato riproduttivo della donna a 360 gradi, con diverse eccellenze in ambito nazionale e non solo. Abbiamo incontrato il direttore del reparto, il dottor Enrico Rovetta (nella foto), per farci raccontare questa importante realtà del nostro territorio.
Dottor Rovetta, com’è organizzato il reparto?
Il punto nascita di Alessandria è, come tutto l’ospedale del capoluogo, un riferimento nell’ambito del processo di riorganizzazione regionale della Sanità, e lo sarà sempre di più dovendo accogliere in prospettiva anche le persone che finora si sono rivolte agli ospedali di Acqui Terme e Tortona, (peraltro senza che questo corrisponda immediatamente a un incremento del personale e degli spazi a disposizione ndr). Il nostro compito è dare risposte seguendo la donna in tutto il ciclo della gravidanza, ma anche affrontare tutte le patologie fetali e gli altri problemi di tipo ginecologico che non riguardano la fase di gestazione. Ci interessiamo delle patologie tumorali dell’apparato genitale femminile: nel nostro ambulatorio oncologico e ginecologico in questo momento stiamo seguendo circa 450 pazienti. Ovviamente è un compito che non svolgiamo da soli, ma in stretta relazione con gli specialisti di altre discipline: oncologi, radioterapisti, nefrologi e chirurghi. Abbiamo 31 posti letto più 3 destinati ai day hospital, ma il ricambio di pazienti è molto alto.
Quali sono le attività più importanti che siete chiamati a svolgere?
Siamo un’eccellenza in molti settori, anche se non starebbe a noi dirlo (ammette schermendosi ndr). Nell’ambito chirurgico siamo davvero all’avanguardia, specie per le tecniche laparoscopiche e mini invasive. Negli ultimi anni uno dei nostri fiori all’occhiello è stato il trattamento dell’endometriosi profonda, una patologia che purtroppo crea problemi seri a giovani pazienti: colpisce il 7-10% delle donne e il 30-40% dell’infertilità è proprio legato a questa patologia. Per fortuna se trattata adeguatamente può dare buoni risultati. Lo stesso potremmo dire per i nostri interventi sul prolasso uterino e altre casistiche specifiche, fino all’incontinenza urinaria e all’assistenza per le gravidanze di donne diabetiche. Non ci occupiamo solo di problemi e tumori in fase avanzata, ma un aspetto importante è quello dedicato alla prevenzione e alla diagnosi di malattie, anche gravi, in fase iniziale. Per questo l’impegno è grande anche sul piano ambulatoriale e degli esami (oltre 5000 ecografie all’anno ndr). In un periodo di crisi generalizzata mi piace poi ricordare che restiamo un centro dove è possibile partorire con assistenza 24 ore su 24, in diverse posizioni alternative, anche in acqua, cercando di rendere il tutto il più naturale possibile e dove l’epidurale, scelta dal 50% delle gestanti, è ancora gratuita.

E’ un ambiente davvero stimolante e non mancano le emozioni forti e contrastanti. Non a caso i punti nascita sono presi in esame per testare la qualità delle strutture ospedaliere: il parto è la prima ragione di ricovero per le donne. Comunque il buon lavoro paga e viene riconosciuto, tanto è vero che dal 2008 otteniamo 3 bollini rosa in tema di valutazione: il massimo. Si tratta di prestare attenzione a tutti gli aspetti della gestione ospedaliera: da quelli più clinici a quelli più alberghieri. Non è sempre facile e speriamo di riuscire a mantenere questi standard anche per i prossimi anni. Alessandria è stata scelta nel 2012 per ospitare un importante congresso nazionale e da noi vengono a formarsi ginecologi da tutta Italia. Per quanto ci si impegni però non tutto va sempre bene: nonostante i miglioramenti degli ultimi decenni c’è ancora una quota di mortalità perinatale (cioè immediatamente precedente o successiva al parto) difficile da abbattere. Stiamo parlando di una percentuale intorno al 3 per 1000, ma questo vuol dire che anche da noi ogni anno abbiamo alcuni casi nei quali la donna si presenta in ospedale con il figlio in grembo senza attività cardiaca. Spesso sono cause imprevedibili e solo nel 30% dei casi si può scoprirne l’origine (per superare tale soglia è importante ridurre tutti i fattori di rischio: obesità, fumo, ipertensione, uso di sostanze tossiche e cura delle condizioni generali di salute della madre). Sono drammi ai quali non ci si rassegna mai. Come reparto facciamo il massimo per sostenere la famiglia e analizzare cosa ha causato il problema, anche perché in molti casi le gravidanze successive della stessa coppia si possono concludere in maniera positiva. Una psicologa aiuta le pazienti a superare i momenti difficili, anche nei casi di potenziale depressione post partum.
Proprio perché l’atto del parto è un momento così delicato, la nuova riorganizzazione ospedaliera regionale tocca un nervo sicuramente sensibile. Si tratta di interventi davvero necessari?
Diciamo che, sebbene sia comprensibile il malumore delle persone, io penso che un tipo di riorganizzazione come quella proposta sia corretta. Ormai è impossibile pensare di curare tutte le patologie ovunque, perché gli interventi si fanno sempre più specialistici e realizzati con macchinari sempre più costosi. Gli ospedali di riferimento, come quello di Alessandria, servono proprio per affrontare anche i casi più complicati con il massimo della professionalità, senza far mancare sul territorio una serie di altri presidi in grado di agire al meglio per gestire le emergenze o per seguire problematiche più di routine. Anche i dati ci danno ragione, nel senso che in effetti dove si compiono almeno 500 parti all’anno si hanno le percentuali di mortalità e di complicazioni minori. L’esigenza di avere un luogo vicino dove partorire non è innata: in passato si davano alla luce bambini soprattutto in casa, ma è stato fatto uno sforzo giusto per convincere le persone che scegliere un ambiente più igienico sarebbe stata una buona cosa. Questo ha portato a una prolificazione dei centri, abituando le famiglie a trovare assistenza molto vicino a casa. Ora che è necessario fare un apparente passo indietro non è sempre semplice da accettare, ma ci sono buone ragioni per andare in questa direzione, prima fra tutte la qualità e affidabilità di cure che è possibile fornire.

Certamente. Rispetto al passato ci troviamo ad affrontare decisioni insieme ai pazienti che prima non erano neppure contemplabili. Tutto ciò comporta la capacità di saper informare con chiarezza le persone e avere una conoscenza anche tecnica sempre più sofisticata. Ci capita sempre più spesso di assistere persone che hanno svolto un iter di procreazione medica assistita o che hanno avuto ovodonazioni, realtà per ora permessa solo all’estero. Ovviamente forniamo loro la massima assistenza quando si trovano qui. Per esempio, fino a qualche tempo fa era impensabile che gravidanze interrotte alla ventiquattresima o venticinquesima settimana potessero dare possibilità al neonato di sopravvivere, oggi non è più così. Però si rischiano ancora ritardi fisici e mentali anche molto gravi, e le decisioni da prendere con i genitori sono davvero impegnative.
Per concludere, una curiosità: c’è un qualche vantaggio di genere in un lavoro come questo?
Diciamo che esistono medici bravi sia maschi che femmine, ovviamente. Ormai nelle scuole di specializzazione in ostetricia e ginecologia c’è una netta maggioranza di donne, diciamo intorno al 70%. Da un punto di vista delle prestazioni la mia esperienza mi suggerisce che siano un po’ più brave negli studi, e anche più diligenti. Dalla loro vi è anche un naturale rapporto empatico con le pazienti. Un tempo forse per ragioni culturali era differente e l’uomo veniva preferito perché considerato più professionale, ora non è più così. Il vero svantaggio delle donne però, che resta tutt’oggi, come del resto per qualsiasi lavoro che preveda turni notturni e nei weekend, è spesso la situazione familiare. Chi ha un figlio piccolo da accudire frequentamente trova pesanti i turni di notte, o le lunghe attese durante il travaglio delle pazienti. Ovviamente il discorso cambia per esempio in strutture come i consultori, dove sono libere di sfruttare in pieno tutte le loro potenzialità e mettere in campo i vantaggi che hanno rispetto agli uomini nel fornire solidarietà e comprensione alle pazienti. Io credo che il futuro in questo campo sia sicuramente loro.