“Le imprese più reattive supereranno la crisi: ma niente sarà come prima”
Il consumo dellenergia in forte contrazione è un termometro del pessimo stato di salute del mercato, spiega Enrico Taverna, direttore generale di "Confapi Energy". Con cui parliamo del percorso di espansione del consorzio, ma anche delleconomia alessandrina, e delle possibili ricette con cui affrontare il futuro
?Il consumo dell?energia in forte contrazione è un termometro del pessimo stato di salute del mercato?, spiega Enrico Taverna, direttore generale di "Confapi Energy". Con cui parliamo del percorso di espansione del consorzio, ma anche dell?economia alessandrina, e delle possibili ricette con cui affrontare il futuro
ALESSANDRIA – “Il settore in cui operiamo è un termometro straordinario per misurare lo stato di salute delle imprese. E posso garantirle che in tutto il Paese il consumo di energia da parte delle imprese è in forte, costante diminuzione”. Enrico Taverna è direttore generale di Confapi Energy, realtà con solide radici nel nord ovest, ma presidi e attività in tutto il territorio nazionale. Incontrarlo (nella sede del consorzio, che si trova alle porte di Alessandria, in frazione San Michele) è l’occasione per un’analisi a tutto campo del mondo della piccola e media impresa italiana, e anche per chiarire alcuni aspetti sull’attività di Confapi in provincia, alla luce di scissioni e divisioni che, altrove, hanno caratterizzato l’associazione nei mesi scorsi.
Dottor Taverna, Confapi Energy le consente di avere il polso della situazione non solo locale, ma a livello Paese: il tessuto delle piccole e medie imprese è in sofferenza ovunque, o noi alessandrini, anche per una serie di vicende legate al territorio, siamo particolarmente inclini al pessimismo?
No, guardi, qui non è davvero questione di pessimismo, e neppure di elementi così specifici e localistici, che pure nell’alessandrino pesano. La realtà è che l’Italia è un Paese fatto essenzialmente di province, di piccoli distretti. E il quadro è estremamente negativo, per ragioni strutturali di lungo corso. Aveva ragione Gramsci (che pure non è propriamente un mio riferimento culturale) quando diceva: “la politica è nazionale, ma l’economia è cosmopolita”. Da noi negli ultimi vent’anni la politica però non c’è stata: ha delegato le decisioni vere all’Europa, e si è ridotta a populismo, con i nomi simbolo che ognuno può facilmente individuare anche da solo. In compenso l’economia, slegandosi dalla politica, è diventata tecnocrazia, sempre più attenta agli interessi dei grandi marchi internazionali, e legata al mondo finanziario.
In questo processo, le piccole e medie imprese sono il vaso di coccio?
Esattamente. Il nostro tessuto di piccole e medie imprese (straordinario: credo che solo l’India, nel mondo, possa vantare qualcosa di analogo) è rimasto schiacciato in questo meccanismo, e dobbiamo essere lucidi: è un processo non reversibile. Non si torna indietro, insomma: e solo chi avrà la forza, la capacità, la voglia di innovare e cambiare pelle potrà non solo sopravvivere, ma prosperare. Perché, sia chiaro, non è che tutti vanno male, per fortuna. Anche sul nostro territorio, ci sono realtà importanti che, grazie a scelte lungimiranti e ad una forte vocazione all’export, stanno cavalcando la crisi da vincitori, e dobbiamo prenderli a modello. Certo però andiamo incontro ad una selezione davvero rigida, e spietata soprattutto sul fronte occupazionale.

Lo so, e una parte di queste persone non riuscirà più a rientrare nel sistema produttivo, o comunque non con ruoli analoghi ai precedenti. Per questo io dico: la politica è essenziale. Ne ho parlato di recente con l’ex ministro Tremonti, in visita a Confapi: la ricetta della totale austerità, che probabilmente due anni fa era l’unica strada per salvare il Paese dal baratro, ora mostra la corda. E’ follia, se vogliamo guardare avanti, pensare che la mano pubblica possa ignorare le esigenze delle imprese, continuando esclusivamente a tassarle. O ci si muove in un’ottica di investimenti seri e strutturali in opere pubbliche (di cui peraltro il Paese ha enorme bisogno), oppure davvero ci attende un futuro infausto.
Ci sono nicchie su cui, opere pubbliche a parte, l’Italia dovrebbe spingere l’acceleratore?
Io continuo a credere che agricoltura e turismo, gestite con un’ottica diversa, davvero votata al domani, abbiano potenzialità importanti. Ma ci sono anche altri comparti, come il fotovoltaico e le energie rinnovabili in genere, che in questi anni hanno avuto performances notevoli. Certo, a volte viene da dire: “nonostante lo Stato”. Perché non è possibile, in settori che necessitano di investimenti privati significativi, con un rientro di medio lungo periodo, cambiare ogni due o tre anni le carte in tavola. Ed è quello che è successo ancora di recente, a fine dicembre, con le normative del governo Monti che hanno nuovamente complicato il percorso di chi ha investito nel fotovoltaico in Italia. Dopo di che, se mi si dice “abbassiamo le dimensioni degli impianti”, per agevolare ad esempio i piccoli imprenditori, terrieri e non, a discapito di grandi soggetti internazionali, sono assolutamente d’accordo.

Lungi da me l’idea di buttarla in politica, soprattutto in questi giorni pre-elettorali, ma certe idee di rilancio attraverso un “piano casa” assolutamente “sburocratizzato” non sono disprezzabili. Di edilizia nuova francamente non si avverte il bisogno, dato il numero di case vuote o sfitte. Ma abbiamo, anche qui nell’alessandrino, un’enorme necessità di recupero di costruzioni esistenti: naturalmente con criteri innovativi, puntando sulle nuove forme di riscaldamento eco-compatibile e quant’altro. Il principio però deve essere: tu fai, autocertifichi, e la mano pubblica a posteriori controlla (e controlla davvero). Se invece ci si infila nell’iter della burocrazia pre-autorizzativa, rimarremo sempre al palo. Questo discorso di “liberazione dalla burocrazia” può valere per tanti altri mercati. Pensiamo all’auto: negli Stati Uniti ognuno ha la propria targa personale, e può comprare e vendere auto, nuove o usate, semplicemente dal concessionario, in tempo reale. Appunto spostando la propria targa da un autoveicolo all’altro. Ha presente da noi quante pratiche e balzelli bisogna affrontare, anche solo per vendere o comprare un motorino usato?
Dottor Taverna, torniamo a Confapi Energy: quanto è ancora espandibile il vostro mercato?
Moltissimo, e infatti stiamo crescendo, nonostante la crisi. Ad oggi abbiamo circa 2.000 clienti, per un totale di circa 700 milioni di kw annui. Ma consideri che le imprese associate al “sistema Confapi” in Italia sono circa 60 mila, senza contare che il consorzio può operare a tutto campo anche all’esterno dell’associazione. Noi agiamo come un broker: riusciamo non solo ad ottenere dai principali fornitori (Edison in primis, ma anche molti altri) prezzi fortemente scontati, ma soprattutto assistiamo le imprese, in qualità di consulenti, in tutto il rapporto con il fornitore di energia: dalla stipula del contratto, alla sua disdetta. In questo momento, peraltro, un effetto della crisi è proprio che l’energia, nel 2013, costa meno di quanto sia mai costata negli ultimi anni. Ed esiste la possibilità di stipulare contratti a prezzo bloccato fino alla fine del 2014: opportunità che io consiglio sempre di cogliere.

Parto dal generale: è vero, in realtà come Torino, Bergamo o Modena in sostanza le locali rappresentanze provinciali hanno aderito, a maggioranza, ad un nuovo soggetto, Confimi Impresa. A me pare una scelta assurda, e tutta italiana: nel momento in cui forse, al contrario, sarebbe opportuno discutere rispetto all’eccessiva frammentazione delle organizzazioni professionali (Confindustria, Confapi, le diverse strutture dei commercianti e degli artigiani, ecc), che spesso si giustificano solo con la logica delle piccole rendite di potere territoriale, c’è chi spinge ad ulteriore disgregazione. Ad Alessandria non è successo, per fortuna: da alcuni mesi peraltro, pur mantenendo la qualifica di segretario generale di Confapi, io mi sto dedicando a Confapi Energy, e la direzione operativa di Confapi è passata a Cesare Manganelli, sempre naturalmente con la presidenza di Giuseppe Garlando. So che sono circolate voci anche eccessivamente allarmiste, che smentisco volentieri: a causa delle difficoltà di una parte degli associati a versare le quote associative, ma soprattutto per alcune scelte sbagliate nel comparto formazione, si è generata una perdita di bilancio, peraltro gestita con assoluta trasparenza, e con “messa in sicurezza” della struttura, grazie ad un piano di rientro quinquennale, già operativo da un anno. Insomma, nella massima armonia interna si sta rimediando a qualche errore di valutazione, e Confapi Alessandria guarda al futuro con fiducia. Pur nel contesto di mercato difficilissimo che tutti conosciamo.