Martinotti: “basta emergenza, alle imprese serve programmazione!”
Numero di imprese in calo costante, e il timore che la disoccupazione cresca ulteriormente. Ma anche lexploit dellexport alessandrino, fiore allocchiello del territorio. Il presidente della Camera di Commercio analizza dati e settori produttivi, e denuncia: da troppi anni in Italia manca una seria politica economica
Numero di imprese in calo costante, e il timore che la disoccupazione cresca ulteriormente. Ma anche lexploit dellexport alessandrino, fiore allocchiello del territorio. Il presidente della Camera di Commercio analizza dati e settori produttivi, e denuncia: da troppi anni in Italia manca una seria politica economica
INTERVISTE – “Per le imprese italiane, e naturalmente anche alessandrine, non è più questione di anni, ma di mesi. Sono davvero molto preoccupato”. Piero Martinotti, presidente della Camera di Commercio di Alessandria dopo essere stato ai vertici anche dell’Unione Industriale, ed egli stesso imprenditore di lungo corso, guarda fisso dinanzi a sé, seduto alla scrivania del suo ufficio di via Vochieri. E riflette, seguendo il filo dei dati, ma anche dell’esperienza e delle sensazioni. E, pur ricordando che “gli imprenditori italiani sono straordinari, e danno il meglio nei momenti di emergenza”, non si nasconde dietro un dito: lo stato di salute “economica” del Paese, ma anche del territorio, è davvero pessimo.Presidente Martinotti, la metafora del tunnel della crisi ha fatto il suo tempo, e se ne è abusato anche troppo. Rispetto ad un anno fa, come vanno le cose?
Facciamo qualche passo indietro. La crisi italiana ha sue radici e cause specifiche, su cui si è innestata, a peggiorarla, anche la situazione internazionale. Verso la fine del 2006, quando ancora ero presidente dell’Unione Industriale, arrivarono i primi segnali concreti di discesa. Da lì in poi, non ci siamo più ripresi. E oggi va peggio di un anno fa, ma non solo: temo che la discesa non sia ancora terminata.
Prima dei dati locali, un inquadramento “di sistema”: di chi è la colpa?
Non voglio assolvere gli imprenditori in toto: noi italiani siamo straordinari quanto a inventiva e capacità di reagire alle avversità, ma siamo sempre stati più bravi nell’emergenza che nella programmazione strategica, e questo è un nostro limite. Però proprio qui emerge la grave responsabilità della classe politica, e di tutti i governi che si sono susseguiti nell’ultimo decennio, come minimo. In Italia non c’è, davvero da troppi anni, una politica economica complessiva. Fatta di visione, di progetti (realizzati e non solo sulla carta), di investimenti veri. Guardi che il mondo non è in recessione, il Pil complessivamente cresce, eccome. Purtroppo è l’Europa a giocare da troppo tempo in difesa. E, all’interno dell’Europa, ci sono poi Paesi, come il nostro, che stanno addirittura al palo: zero investimenti in infrastrutture, zero liquidità, lo Stato che non paga le imprese e gli enti intermedi, generando una valanga che si rovescia sulle periferie, e che è sotto gli occhi di tutti.

Assolutamente sì. Pochi giorni fa sono stato in Francia, ad un incontro promosso dalle Camere di Commercio transalpine, in un distretto non troppo dissimile da quello alessandrino. Ebbene, il primo dato evidente è che in Francia gli investimenti pubblici ci sono stati e ci sono tuttora, i progetti vanno avanti, le imprese vengono pagate. Da noi anche l’applicazione delle normative europee, come il pagamento delle fatture a 30 o 60 giorni, è già oggetto di mille eccezioni, e di un sostanziale “aggiramento”. E poi c’è un altro elemento, diciamo strutturale….
Quale?
Il tessuto delle nostre imprese oggi è davvero troppo frammentato. Un’impresa francese è grande mediamente 1,8 volte rispetto ad una italiana, una tedesca è il triplo. In un mercato globale come quello attuale, essere troppo piccoli diventa un handicap, perché non sei davvero in grado di attrezzarti, di competere. I dati sul mercato del lavoro parlano chiaro, e sono impietosi: nei prossimi mesi arriveremo a sfiorare il 13% di disoccupazione, dato ufficiale nazionale. Da noi in provincia siamo attualmente all’8,6%: storicamente siamo sempre stati, per fortuna, un po’sotto la media, e in linea con il resto del Piemonte. Dove la maglia nera della disoccupazione spetta a Torino, e quella rosa a Cuneo.
Tracciamo un quadro dello stato di salute delle nostre imprese?
I dati relativi alla fine del 2012, resi noti di recente, parlano chiaro, ma bisogna anche saperli interpretare. In provincia abbiamo poco più di 46 mila imprese, e il saldo negativo di 475 imprese in meno rispetto all’anno precedente non è di per sé gran che significativo. Piuttosto c’è da chiedersi di che tipologia sono le 2.741 nuove imprese: la mia impressione, in attesa naturalmente di analisi di dettaglio, è che si tratti spesso di iniziative uninominali, di persone rimaste senza lavoro, che ci provano. Encomiabile naturalmente, ma la consistenza di chi apre spesso non è assimilabile a quella di chi chiude..jpg)
Sì, ne perdiamo circa 300/500 l’anno: consideri che in provincia attualmente sono 9.800, ed erano 19 mila non tantissimi anni fa. Ma, paradossalmente, l’agricoltura è uno dei comparti più sani, e che reagiscono meglio alla crisi: semplicemente è in corso una progressiva ristrutturazione del comparto, e si va verso imprese via via più grandi, e più strutturate, mentre scompaiono progressivamente i piccoli agricoltori, quelli che peraltro spesso già coltivavano i terreni come seconda attività.
Presidente, parliamo di export: continua ad essere il punto di forza delle imprese alessandrine?
Certo, è la nostra vera àncora di salvezza: consideri che le nostre esportazioni crescono al ritmo del 10% l’anno anche nel 2012, a fronte di una media piemontese del 3.5-4%. Nel 2011 le aziende alessandrine hanno esportato merci per 4,8 miliardi di euro, nel 2012 siamo arrivati al traguardo di 5,25 miliardi. Considerando che il Pil della nostra provincia è di 12,2 miliardi di euro, questo significa il 40% di esportazione, rispetto ad una media nazionale del 25% circa. Ossia più o meno le aziende alessandrine esportano quanto le aziende tedesche: un grande risultato, decisamente!
Però la disoccupazione continua a crescere, e rimane un elemento di forte preoccupazione…
E’ così, e il dato alessandrino è anche più preoccupante rispetto a quello di altre province piemontesi: da noi nel 2012 c’è stato un ricorso davvero massiccio alle tre casse integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga), che però spesso sono l’anticamera della disoccupazione. E i posti di lavoro che si perdono in tre mesi si recuperano poi, bene che vada, in tre anni, il che è drammatico. Al 31 dicembre gli occupati in provincia erano 180 mila: e temo che nei prossimi mesi possano perdere il lavoro almeno altre 3-4 mila persone.
Qual è la tipologia delle nostre imprese, per dimensioni?
Il 19% delle nostre 46 mila imprese ha zero dipendenti: il che significa che spesso sono anche realtà non operative. E un altro 50% ha un solo dipendente. Il 31% varia dai 2 ai 50 dipendenti: e stiamo parlando di imprese medio piccole che sono un po’ la nervatura del territorio. Poi ci sono 70 aziende fra i 250 e i 500 dipendenti, e 14 realtà che consideriamo grandi, e stanno sopra i 500 dipendenti. Naturalmente più si cresce per dimensione, più aumenta la fetta di mercato dedicata all’export. Con un dato su cui riflettere però: le esportazioni di aziende alessandrine verso Cina e Brasile sono in calo, mentre cresciamo verso molte altre parti del mondo, dagli Stati Uniti alla Russia. E’ il primo anno che si nota questo trend, sicuramente da monitorare e valutare.

Le preoccupazioni maggiori arrivano certamente dall’edilizia, e non potrebbe essere altrimenti. Non facciamoci fuorviare dal numero di aziende, perché spesso il muratore che perde il lavoro prende la partita iva, e diventa azienda. Ma il mercato è fermo: del resto, l’edilizia viaggia su due direttrici, che sono credito e fiducia nel mercato. In un contesto di precarietà come quello attuale, e con un blocco dei mutui pressoché totale, ovvio che acquisti e ristrutturazioni di immobili abbiano subìto una forte contrazione. Per non dire degli investimenti pubblici, completamente al palo. E’ un po’ la stessa dinamica del mercato delle automobili: con la differenza che quest’ultimo è in mano a grandi gruppi internazionali con le spalle più larghe, mentre il mercato edile è estremamente frammentato. E oggi soffre tantissimo.
Il distretto orafo valenzano invece, nonostante la crisi, guarda al futuro…..
Giustamente: ottimismo, e capacità di programmazione a 3-6 anni, sono le vere qualità di un imprenditore. Il comparto orafo ha un mercato mondiale, e in particolare la newco che coinvolge 40 aziende valenzane con il marchio DiValenza, e guarda ai mercati asiatici, rappresenta una sfida da vincere. E potrà avere ricadute positive, ne sono certo, anche per imprese alessandrine di altri comparti.
Presidente Martinotti, lei è un imprenditore casalese: storicamente una delle aree “forti” della provincia, però colpita duramente dalla crisi…
Ma non molliamo. Al di là della mia azienda (la Emmebiesse), che lavora prevalentemente con l’estero e continua a crescere, il distretto di Casale ha pagato un prezzo molto alto per la crisi che ha colpito negli anni scorsi il settore del freddo, e naturalmente anche le macchine da stampa per rotocalco. Ma abbiamo gli anticorpi, le competenze imprenditoriali e le risorse per riprenderci, e continuare a crescere. In parte sta già avvenendo, e come presidente di Camera di Commercio non posso che apprezzare il fatto che ci siano imprenditori che, anche quando in difficoltà, si pongono come primo obiettivo quello di salvaguardare i livelli occupazionali. Se serve anche cedendo in toto o in parte l’attività. Penso naturalmente in particolare al recente caso Bistefani: che ha cambiato proprietà, ma per fortuna senza contraccolpi occupazionali: anzi, si parla di un possibile aumento della produzione.

In realtà nulla di nuovo, nel senso che già da anni il nostro impegno nel sostenere la società di servizi Palazzo Monferrato è molto forte. Semplicemente, abbiamo preso atto delle enormi difficoltà degli altri soci, in primis Provincia e comuni, e ci è sembrato giusto accordarci per una soluzione che non disperda gli importanti investimenti di denaro pubblico che sono stati fatti nel tempo. Buttare tutto alle ortiche non avrebbe avuto senso. L’attività di promozione continuerà, e coinvolgeremo comunque in maniera costante tutti i soggetti territoriali, nella messa a punto di progetti e iniziative. D’ora in poi però gli enti non dovranno più sborsare un euro: almeno per qualche anno, poi si vedrà. Ci è sembrata, da ente che rappresenta l’imprenditoria del territorio, una scelta doverosa, a fronte di una situazione generale molto difficile e complicata per tanti enti pubblici.
Presidente Martinotti, chiudiamo con la politica. Siamo alla vigilia delle elezioni: si aspetta una svolta?
(sospira e sorride, ndr) Il ritorno da un governo tecnico ad uno politico era previsto. Mi chiedo però che tipo di compromessi dovremo attenderci dal nuovo esecutivo, e quanto tempo perderemo ancora in chiacchiere inconcludenti. Il sistema economico, e con esso tutto il Paese, non possono davvero più aspettare.