“La città mia”
Le parole di un sindaco agli studenti alessandrini di una volta
Le parole di un sindaco agli studenti alessandrini di una volta
memoriALE – La voce dei questa intervista di MemoriAle è della signora Giovanna, una maestra in pensione, che ha lavorato in provincia ed in città ricordando con affetto i suoi alunni e i lunghi anni di insegnamento. Al termine di una settimana in cui Alessandria ha visto accendersi, attraverso le contestazioni studentesche, il dibattito su una scuola sempre più in difficoltà, MemoriAle ha dato voce ad una ex-maestra. I suoi ricordi rispetto alla scuola erano troppo personali per essere inseriti integralmente nell’intervista, ma numerosi erano i cimeli che conservava a testimonianza di quel tempo passato fra i banchi: alcuni quaderni dei suoi alunni e vari libri ed opuscoli piuttosto datati. Fra questi ha attirato la mia attenzione un volumetto intitolato Il sorgere ed il divenire della città mia di Nicola Basile, storico sindaco della città dal 1947 al 1964. Si tratta di un libretto scritto per gli alunni delle elementari in cui, nonostante lo stile retorico ed altisonante, traspare una volontà di impegno civile ed istituzionale, come si può riconoscere da questo passo tratto dal primo capitolo, trovato in rete. Dopo aver raccontato la storia di Alessandria, Basile parla del periodo della ricostruzione dopo la guerra.
“E ritornò al lavoro come prima e come sempre: si era compiuto un dovere che aveva a sè giurato, nella pacatezza del gesto e nella maestosità della vittoria, conscia della propria forza e del suo diritto di popolo libero, avvinto dal fascino del suo stemma municipale: Deprimit elatos, levat Alexandria stratos: Alessandria deprime i potenti e innalza gli umili. Così, ragazzi miei, avrete capito quanto è lenta e faticosa la via della libertà e del progresso umano. […]
Ragazzi, amatela questa vostra città che dallo strame di paglia è assurta ad una luminosità più bella e più viva. Amatela per le culle dei fratellini vostri e per le fredde tombe di chi sorrise un tempo nella vostra casa.
Amatele intensamente queste vie sonanti di nomi di gloria e di ricordi di un passato fortunoso.
Però non vi chiudete in questo egoismo buono che a voi, piccoli, sembra oggi d’oro.
Sì: amate chi vi vuol bene, amate la città dove foste istruiti ed educati. Ma amate anche la casa degli altri, anche se in essa si parla una lingua che a voi è strana e sconosciuta; amatela anche se in essa vi sono i più fortunati di voi; amatela anche se in essa vi sono genti di pelle di colore diverso, con usi, costumi, pensamenti, gesti diversi dai vostri.
Imparatelo, ragazzi miei: questo comprendersi a vicenda; questo guardarsi amichevolmente negli occhi; questo sentir battere sereno un cuore vicino al vostro cuore che non deve avere rancori, né odii, né vendette da fare, né rappresaglie da compiere; amate tutto questo, perché fa parte della civiltà umana, della gloria dell’uomo e del mondo intero; perché dobbiamo creare una fioritura nuova di luce e di colori; perché dobbiamo profondamente pensare che, vicini o lontanissimi, vi sono altri ragazzi che giocano come voi, altre mamme che cantano anch’esse le ninna-nanne, altri padri nell’affanno e nelle morse di un duro lavoro, altri nonni che agonizzano, dopo aver dato agli altri il meglio della vita loro.
Splenda oggi una ricchezza nuova per tutti! Ragazzi miei, voi non potete essere semplici e codardi spettatori ed estraniarvi, corrucciati ed inoperosi, da questa lotta, la quale costituisce appunto il progresso di una umanità rifatta.”