Maestri: “Facciamo piazza pulita di caste e clientele!”
Fiero ed elegante, a 84 anni Delmo Maestri, intellettuale engagé e coscienza critica della sinistra alessandrina, ci offre unanalisi lucida del passato e del presente della città, per capire come costruire il futuro. Stronca loperato di Fabbio, ma condanna duramente anche le amministrazioni Calvo e Scagni. E a Rita Rossa lancia un monito: serve un progetto, e stia attenta al ritorno di certi personaggi
Fiero ed elegante, a 84 anni Delmo Maestri, intellettuale ?engagé? e coscienza critica della sinistra alessandrina, ci offre un?analisi lucida del passato e del presente della città, per capire come costruire il futuro. Stronca l?operato di Fabbio, ma condanna duramente anche le amministrazioni Calvo e Scagni. E a Rita Rossa lancia un monito: ?serve un progetto, e stia attenta al ritorno di certi personaggi?
INTERVISTE – “Da qualche mese osservo in silenzio. Perché mi è sembrato giusto concedere a Rita Rossa e alla sua giunta, in un momento tanto delicato, il tempo di dimostrarci le loro intenzioni. Ora, però, credo proprio che tornerò a farmi sentire”. Se a pronunciare queste parole non è un carneade qualunque, ma un intellettuale “engagé” del livello del professor Delmo Maestri, autentica coscienza critica della sinistra alessandrina (“ma anche bastian contrario, lo scriva pure: mi sono quasi sempre dimesso dagli incarichi pubblici, e non senza polemiche”), è il caso di drizzare le orecchie, e fermarsi a riflettere. Tessera rossa dei partigiani, poi impegnato nella vita politica cittadina, e iscritto al Pci fino alla “svolta” della Bolognina, Delmo Maestri è stato, tra gli anni Sessanta e Settanta, assessore alla Cultura di Palazzo Rosso, presidente (e fra i promotori) del Teatro comunale, e successivamente direttore del Centro di Cultura di Valenza. “Ma non ho tessere da vent’anni: il Pci, al cui interno pure ho molto contestato, è stato un partito serio. Alla fine della sua parabola ho preferito partecipare alla vita pubblica come osservatore e critico, ma senza militanza attiva”. Fiero ed elegante, il professore ci apre le porte del suo studio, e ci concede una “lezione” su come Alessandria è arrivata a questo punto, e su quali sono le possibili (e non semplici) vie d’uscita.
Prof. Maestri, che Alessandria sia un malato grave lo sostengono in tanti. Ma da lei vorremmo sapere dove e quando nasce la malattia, e come si cura..
Bella richiesta. Partiamo dal primo punto direi, ossia come si è arrivati fin qui. Non arriverà certo da me un’assoluzione (politica, si intende) del sindaco Fabbio, e del suo braccio destro, prof. Vandone. Con quest’ultimo sono stato anche in consiglio comunale (io nei banchi del Pci e lui della Dc) negli anni Sessanta, con il sindaco Abbiati. Al di là delle differenti posizioni politiche, davvero mai mi sarei aspettato tanta spregiudicatezza, tanta irresponsabilità. Il loro quinquennio è stato un fallimento completo, su tutta la linea. E tuttavia….
I mali vengono da più lontano?
Esattamente. Ha ragione il mio amico Alfio Brina, quando dice che bisogna tornare alla fine della prima repubblica, ai primissimi anni Novanta quindi, per capire come si è arrivati ad oggi. Ricordiamolo per i più giovani: il centro sinistra alessandrino dell’epoca, ossia l’asse Pci Psi, si suicidò, commettendo una grave serie di errori, che consegnarono la città alla Lega Nord.

E invece fu proprio lì, con la Lega, che cominciarono i disastri veri. Al di là degli slogan, i leghisti appena insediatisi applicarono una logica clientelare ferrea, che ricordo bene. A seguito della tragica alluvione del 1994, arrivarono in città finanziamenti davvero ingenti, che incentivarono copiose assunzioni di parenti, amici e “clienti”, in una logica che naturalmente non è solo alessandrina, e che non ha inventato la Lega. Ma la loro diversità, su questo fronte, si mostrò un bluff. Del resto il più recente caso Grassano mi pare emblematico.
Ma le clientele, come dice lei, non esistevano anche nella prima repubblica?
Certo, esistevano, ed esisteva la pratica diffusa delle “mazzette”, come tangentopoli dimostrò. Ma, se pensiamo a partiti come il Pci, e anche la Dc, esisteva anche un elemento, che dai primi anni Novanta si è perso completamente, che si chiamava volontariato politico di massa. Per slancio ideale, e magari in qualche caso anche con speranze più pratiche: ma nella seconda repubblica il volontariato e la militanza sono completamente scomparsi, sostituiti dalle clientele, dal voto di scambio a tutti i livelli. E, per restare ai guai di casa nostra, questo ha significato moltiplicazione dei posti pubblici, negli enti locali in particolare. Direi non tutti così indispensabili.
E oltre alle assunzioni, i consigli di amministrazione…
Certo: se vent’anni fa Palazzo Rosso aveva 4 o 5 società partecipate, e negli scorsi arrivò ad averne mi pare 36 (cito a memoria) qualcosa vorrà dire. Ora si tratta di smontare il carrozzone, pezzo per pezzo e, per quanto possibile, in maniera indolore….
Il che significa senza licenziare? Qualcuno parla di 300-400 esuberi nella galassia di Palazzo Rosso, e la situazione in Provincia, magari posticipata di un anno, non è meno pesante. Che fare?
Come si fa a licenziare, oggi, in questo contesto economico e sociale? A parte che in molti casi è anche difficile sul piano normativo: ma io mi riferisco proprio alla scelta politica. Certo però così non si va avanti. La galassia di Palazzo Rosso 1.600 dipendenti non se li può permettere, anche con le tasse ai massimi livelli. E allora pensiamo a prepensionamenti, blocchi del turn over, tagli rigorosi di ogni spesa possibile. Ammesso che basti.

Molto negativo, l’ho sempre sostenuto senza tentennamenti. Mara Scagni fu un buon assessore provinciale, ma come sindaco ha commesso molti errori, che insieme a Brina evidenziammo già all’epoca. In particolare, quel percorso di spreco del denaro pubblico continuò: troppi incarichi, eccesso di assunzioni, moltiplicazione di partecipate. Mara Scagni ha lavorato male, poche storie. Poi naturalmente, con Fabbio, siamo arrivati ai livelli che conosciamo, e che sono sotto gli occhi di tutti. Non so se ci sia stata più incapacità o malafede, ma insomma pensare di risollevare Alessandria con le rose e le feste, puntando tutto sull’apparenza, ci ha portati nell’abisso. Questo mi pare innegabile.
Rita Rossa ce la farà a raddrizzare la nave pericolosamente inclinata?
Mah, le parlo sinceramente, tanto a 84 anni devo aver paura soltanto più della morte: e del resto anche in passato non è che mi sia mai tirato indietro. Rita la conosco bene, abbiamo anche collaborato in passato e la considero una buona amica. Quando però si è deciso di puntare su di lei come sindaco, a me il dubbio che potesse essere, per una serie di ragioni, poco attrezzata per resistere alle pressioni della casta, mi faccia usare questa espressione, l’ho avuto. E’ partita bene, ha scelto assessori di valore, come Ferralasco e Barberis. Da un po’ però ho visto riemergere certe figure, certi personaggi che era davvero meglio non riesumare. Per Alessandria hanno già fatto abbastanza in passato. Anche per questo credo che dovrò tornare a dire la mia.
Ma lei da dove partirebbe?
Dallo stop assoluto alle clientele, di ogni tipo. E da un progetto, da un’idea precisa di città, che non vedo. Ma si rende conto che abbiamo perso pressoché definitivamente Politecnico e facoltà scientifiche, che significano possibilità di crescita e occupazione, e abbiamo mantenuto facoltà inutilmente “moltiplicate” in ogni territorio negli anni Ottanta (di nuovo per logiche clientelari) come scienze politiche? Eppure dell’università sembra importare a pochi. Così come vorrei parole chiare sul futuro della Valfrè, dell’ex ospedale militare (esclusa la chiesa di S. Francesco), sulla Cittadella, che certo è problema più grande di Alessandria: ma le proposte devono comunque partire da qui. E poi quel nuovo ponte, il Meier: che spreco, che opera faraonica e inutile, progettata dalla Calvo e poi mai stoppata. Se ci sono da pagare delle penali, si tratta, e si pagano. Non è credibile che le penali siano il vero motivo per cui non si può rinunciare all’opera.

(sorride, ndr) Io sono andato a votare alle primarie, perché con tutti i suoi limiti il centro sinistra è sempre casa mia. E ho votato Renzi, perché credo che, al di là del risultato finale di queste primarie, l’attuale sindaco di Firenze possa rappresentare, se sarà capace di non mollare, un’istanza di rinnovamento, di generazione ma anche di metodo, che arriva dal basso, dalla base elettorale. Bersani è persona degna, intendiamoci, ma attorno a sé ha troppo apparato che va smantellato, e che lo limita. Grillo però, e soprattutto le persone che lo votano, non vanno demonizzati: sono la parte del Paese che vuole cambiare, e guai se, sui territori, si preferisse dialogare con vecchie caste di potere e sottopotere anziché con i 5 Stelle.
Prof. Maestri, chiudiamo con una riflessione sul teatro comunale di Alessandria. Cosa prova a vederlo chiuso da anni, e con un futuro incertissimo?
Eh, si figuri che sono stato il primo presidente del teatro, nel 1977: era un vero fiore all’occhiello per la città e per tutta la provincia, e oggi vederlo così è una pena. Nuccio Lodato e Anna Tripodi, che hanno l’onere di dover fronteggiare questa situazione disperata, sono persone preparatissime, e sono certo che faranno tutto quanto nelle loro possibilità per dare un futuro alla struttura, e alla cultura teatrale ad Alessandria. Aggiungo solo che, nonostante l’emergenza e le casse vuote, spero che già in questa stagione qualcosa possa ripartire, sia pur con criteri di emergenza. Il teatro per i bambini e i ragazzi, ad esempio, grazie alla professionalità del personale del Tra, e alla collaborazione della professoressa Rosi, è sempre stato un esempio anche per altri territori. Che si mantenga vivo almeno quello, in attesa di un rilancio che è comunque indispensabile!
Una foto “storica”: l’insediamento del primo consiglio di amministrazione dell’Azienda Teatrale Alessandrina, nel 1977, in sala Giunta a Palazzo Rosso. Da sinistra: Ferrari, Zandrino, Bassi, Ferrero, Maestri, Borgoglio.
