Dissestati alla ricerca di un progetto
Fatevi annoiare da questo lungo articolo! Il dissesto è complesso da capire e queste riflessioni rappresentano un piccolo ma sincero contributo al ragionamento che in città deve diventare sempre più ampio e coinvolgente, oltre che privo di rigidità di qualunque genere. Lemergenza chiede soluzioni demergenza ma ispirate ai principi della solidarietà rispetto alle fasce più deboli e del rilancio socio-economico e culturale del territorio
Fatevi annoiare da questo lungo articolo! Il dissesto è complesso da capire e queste riflessioni rappresentano un piccolo ma sincero contributo al ragionamento che in città deve diventare sempre più ampio e coinvolgente, oltre che privo di rigidità di qualunque genere. L?emergenza chiede soluzioni d?emergenza ma ispirate ai principi della solidarietà rispetto alle fasce più deboli e del rilancio socio-economico e culturale del territorio
Il segnale era stato dato con la fiaccolata di giovedì 18 ottobre scorso. La città partecipava, unita, e dimostrava di non volersi rassegnare. Cgil, Cisl e Uil, tuttavia, vogliono raddoppiare e propongono lo sciopero generale per la giornata di venerdì 26 ottobre. Troppo, per alcuni motivi. Lo sciopero ha l’obiettivo di alzare i livelli di attenzioni anche creando disagi nei servizi? Ok, ma l’attenzione è già alta e questo sciopero porterebbe disagio alla stessa città in cui malessere è già a livelli massimi (tasse comunali, taglio ai servizi sociali, investimenti culturali inesistenti…). Vogliamo farci sentire da chi potrebbe prendere delle decisioni concrete in merito e alzare il livello della protesta? Benissimo, in catene di fronte a Palazzo Chigi, piuttosto. Momenti di protesta romani sono stati già stati ipotizzati dal nostro sindaco. Forza.
Ma poi, quanti lavoratori saranno disponibili a rinunciare alla retribuzione dell’ultimo venerdì di ottobre vista la possibilità che da novembre in poi i loro stipendi non li vedano proprio più? La provocazione dell’Unione Sindacale di Base è interessante in questo senso, qui il link per approfondire.
Il sindaco è di lotta. E quello di governo?
Se a tratti (con i dovuti limiti) è interessante e positivo avvertire la voglia di lottare del nostro sindaco, dall’altra ci si chiede se e fino a quando questo “cavalcare la disgrazia” potrà bastare. Se e quanto a questo si affiancherà un progetto ampio, in grado di dare qualche – seppure lieve – speranza a tutti quelli che hanno il terrore del 27 del mese, ogni 27 del mese.
Parliamo di progetti di città, vari (perché i conti comunali hanno diversi futuri possibili, più o meno decenti), articolati e supportati da cifre. Progetti che vadano oltre il programma di mandato dell’amministrazione (che, per inciso, stenta a venire alla luce ed è già stato annunciato come un prodotto vago data la situazione di incertezza legata ai fondi utilizzabili), che prevedano l’apertura di tavoli di studio e lavoro con i protagonisti della vita pubblica alessandrina, con le imprese e alle idee dei cittadini. Roba difficile, si capisce, ma essenziale se si vuole, agli occhi degli alessandrini e dei romani, riconquistare credibilità. Le risorse in città ci sono e speriamo che il comune sappia attivarle quanto prima.
I posti di lavoro scarseggeranno? Chiarezza, coraggio e creatività.
Il dramma della sostenibilità della macchina pubblica viene da lontano. Si sono accentuati i problemi durante il governo Fabbio? E’ possibile e alcuni segnali, ormai da barzelletta nazionale, fanno propendere per quella lettura ma quello che è venuto nei decenni prima di lui non era certo di segno totalmente opposto. Si parla di centinaia (2-300 tra Comune e partecipate) esuberi rispetto ad un equilibrio che Palazzo Rosso e le sue controllate possono sostenere. Come li gestiamo nel prossimo futuro?
Il sindaco è stato coraggioso in diversi momenti (si prende rischi veri, questo va ammesso), ma è altrettanto vero che la situazione esplosiva non è descritta in modo completo e che non è possibile continuare a gestire solo le emergenze, mese per mese. Ci sono situazioni e domande ancora da affrontare nell’ottica di ragionare di soluzioni ampie, sebbene dolorose.
Facciamo drizzare i peli sul collo dei sindacalisti: esistono o si possono creare strumenti contrattuali che permettano di abbassare per un certo periodo le retribuzioni di tutti (in modo equilibrato, magari pesando più sui dipendenti più “fortunati” e chiedendo agli attori privati di spendersi, pechè non diventi una “guerra tra poveri”), distribuendo il disagio ma mantenendo attivi tutti i lavoratori? Amici mi suggeriscono il modello che la Volkswagen ha adottato in momenti di crisi e che ha portato, dopo un periodo di riduzione degli stipendi o aumento delle ore di lavoro in cambio di garanzie di sicurezza del posto di lavoro, a buone condizioni anche per gli stabilimenti in Italia. Coraggio dei sindacati e creatività, seppur in condizioni da azienda privata e tedesca.
Poi, qualcuno sta progettando piani di riqualificazione professionale per personale in eccesso? Nel caso si debbano fare tagli, possiamo pensare di mettere nelle migliori (il termine è quasi una presa in giro) condizioni per ricollocarsi sul mercato? E ancora, per scendere nel dettaglio, i precari degli asili nido: dei 70 di cui si parlava mesi fa, quanti sono ancora fuori dall’azienda speciale? Infine – si fa per dire – vogliamo vendere le partecipate? Tutte? Esistono alcuni servizi che, per principio, una giunta di sinistra non dovrebbe mettere sul mercato? Ma, in ogni caso, come le stiamo ristrutturiando per renderle appetibili a possibili compratori (o, meglio, per renderle più produttive per noi)?
L’onorevole Fracchia chiama Napolitano e vengono nominati i commissari per la liquidazione. Stradella e Lovelli preparano emendamenti a una legge che prevede manovre per i comuni in pre-dissesto tentando di farci rientrare Alessandria che in dissesto c’è già.
Sono comprensibili manovre all’ “italiana” in momenti come questo ma perché non sono affiancate dalla proposta di un iter legislativo che prenda in mano la legge sul dissesto, evidentemente troppo rigida almeno per i comuni delle dimensioni del nostro, e la cambi? Le leggi devono essere migliorate sempre, seguendo procedure trasparenti e a disposizione di tutti. I comuni che non hanno “santi a Roma” come farebbero altrimenti? Questo è il sistema Italia, però, di cui Alessandria si serve ma di cui non è responsabile.
Il sindaco Rita Rossa e il presidente della Provincia Paolo Filippi erano, fino a maggio scorso, una delle coppie politiche più affiatate del territorio. E’ innegabile che siano ancora fortunatamente molto vicini. Fortunatamente perchè una situazione così grave come quella alessandrina deve essere gestita con strategie comuni tra il comune capoluogo e l’ente provinciale (anch’esso in difficoltà serie, tra l’altro, seppur per altri motivi).
Ora, vogliamo (all’italiana, dicevamo) sfruttare al meglio il “gancio” romano costituito dal ministro alla salute Balduzzi? Bene (anzi male ma il nostro sistema funziona in larga parte così) ma come possiamo chiedere attenzione e aiuto dal versante comunale quando non perdiamo occasione per sbeffeggiare il ministro sui social network e sui giornali da quello provinciale? Ogni protagonista politico è liberissimo di comportarsi come crede ma bisogna fare attenzione quando qui c’è in ballo il posto di lavoro di molte persone e il futuro prossimo della salute sociale del nostro territorio. Con questi temi non si gioca e le beghe al limite del personale devono rimanere fuori.
Marito e moglie. Uno o due figli adolescenti. Due stipendi normali, il primo da una società partecipata del comune e il secondo da cooperativa che lavora con commesse pubbliche. Da mesi convivono con ritardi nell’accredito degli stipendi, more su mutui e bollette e una grande ansia. Prosciugano i conti correnti dei famigliari e si appoggiano alle pensioni dei genitori quasi 80enni (che sperano di avere al fianco per molti anni ancora, altrimenti “a loro chi lo paga il funerale e noi come faremmo?”). Dicono addio ai fronzoli che fanno la vita più leggera, convivono con l’insonnia per la paura di vedersi recapitata l’ennesima bolletta da mettere nel mucchio e hanno la costante preoccupazione di trasferire il meno possibile di questo stress ai ragazzi adolescenti che “hanno il diritto ad un po’ di spensieratezza”. I prossimi passi saranno, se la situazione non si risolleva, i pasti in Caritas, l’aiutino chiesto al parroco di zona o agli amici più cari. Queste sono le situazioni che ieri erano l’eccezione ma che oggi e domani diventano sempre più la regola delle famiglie italiane e di quelle della nostra zona in particolar modo.
E’ dalla comprensione profonda del disagio descritto in questo ultimo punto che bisogna ripartire. Tutto il resto, difficile, viene da sé.