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La comunità è la loro casa: storie di adolescenti un po’ “speciali”
La scuola, i compiti, il dentista e il calcio. Meglio il corso di fumetti o quello di hip hop? E poi Internet e i cellulari, e i rapporti con le famiglie. Un piccolo viaggio allinterno di una comunità educativa residenziale per minori del Gabbiano
La scuola, i compiti, il dentista e il calcio. Meglio il corso di fumetti o quello di hip hop? E poi Internet e i cellulari, e i rapporti con le famiglie. Un piccolo viaggio all?interno di una comunità educativa residenziale per minori del Gabbiano
ALESSANDRIA – La prima domanda che viene spontaneo porsi, partecipando ad una delle loro riunioni, è “ma quanti genitori, oggi, dedicano così tanto tempo e metodo all’analisi dei problemi dei loro figli?”. I 6 educatori professionali (o almeno i 4 che abbiamo incontrato direttamente) che gestiscono la comunità educativa residenziale per minori del Gabbiano diretta da Filippo Costa, in piazzetta Bini ad Alessandria, sono un team davvero affiatato, e ogni martedì mattina si siedono attorno al tavolo della sala da pranzo della struttura per parlare, in un clima davvero coinvolgente e partecipativo, dei piccoli e grandi problemi quotidiani dei ragazzi e delle ragazze ospiti della casa. Termine non casuale, perché il clima che si respira è davvero quello domestico, di una famiglia (magari un po’ “allargata” e sui generis) più che di un “orfanotrofio”, insomma, o di un collegio. Non è certamente facile, far fronte alle diverse esigenze (e fragilità) di 9 adolescenti, con alle spalle esperienze personali e famigliari complicate. “Ma l’essenziale – confessa Germano, che in quanto unico educatore uomo incarna un po’ anche la figura paterna all’interno della comunità – è dimostrare ai ragazzi, giorno per giorno, che sei davvero interessato a loro, alla loro vita. Ci vuole un giusto mix di comprensione, e di disciplina. Devono vedere in noi anche l’autorità naturalmente, che spesso è uno degli elementi carenti nel loro percorso di crescita”. Ragazzi difficili, si potrebbe sintetizzare volendo procedere per etichette. Ma ascoltando il confronto tra gli operatori del Gabbiano si capisce che i problemi non sono assolutamente dissimili da quelli che deve affrontare qualsiasi famiglia che abbia al suo interno degli adolescenti: il dentista, la ginecologa, le liti fra coetanei nella squadra di calcio. Meglio il corso per fumetti o quelli di hip hop? E poi Internet e i cellulari, più croce che delizia per tutti gli adulti con figli di quell’età. “L’utilizzo del web per questa generazione di adolescenti – spiega un’educatrice – è naturalmente un’esigenza, come il cellulare. Si tratta di imporre regole, controllare naturalmente l’uso che ne fanno i più piccoli, e comunque tutti i minori. E, soprattutto sul fronte del telefono, concordare talora anche con le famiglie una linea di comportamento”. Già, le famiglie: contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, raramente i giovani ospiti di una comunità per minori sono orfani: quasi sempre i genitori ci sono, ma sono persone che, per una serie di loro difficoltà personali, non sono in grado di provvedere in maniera adeguata alla crescita dei figli. “Il che non significa che non esistano rapporti – spiegano gli operatori – anzi sono diversi i casi di ragazzi che, nei week end, tornano a trovare la mamma, o il papà”.
Altro elemento: quasi impossibile che una struttura ospiti ragazzi e ragazze del territorio: “in genere sono persone di altre province, a volte anche di regioni limitrofe: si cerca di mettere un po’ di distanza, anche fisica, con la fase precedente della loro vita, e i disagi connessi”. Fra paghette e compiti da fare, interrogazioni e progetti sportivi, la vita dei ragazzi delle due comunità del Gabbiano (l’altra è quella di Quattordio) è quella dei normali adolescenti: magari un po’ più stimolati a crescere e maturare in fretta, e ad imparare a diventare autonomi anche in piccole mansioni domestiche, come in certe famiglie si fa ormai fatica a fare: “qui non abbiamo servizi di pulizia o cucina esterni – spiega Germano – e si tratta di una precisa scelta educativa. Facciamo tutto noi, a turno: e stimoliamo anche i ragazzi, naturalmente in rapporto alla loro età, ad imparare a dare una mano. Per cui c’è chi lava i piatti, chi sparecchia, e qualcuno fra i più grandi preferisce ad esempio farsi il bucato da solo. Abbiamo delle macchine asciugatrici eccezionali, gliele mostro”. Comincia così un tour guidato della struttura, posta su più piani (con un divano a metà tra il corridoio dei maschi e quelli delle femmine “su cui la notte dorme sempre uno di noi: non li lasciamo mai soli, 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno”), pulita e con camere ben arredate e in ordine, e “abbellite” dai doverosi poster di cantanti e calciatori, “d’ordinanza” data l’età dei ragazzi. I 9 ospiti della struttura di piazzetta Bini vanno dai 12 ai 18 anni, “con qualche eccezione, nel senso che quando si diventa maggiorenni, si può chiedere di restare in comunità fino ad un massimo di 21 anni, e in genere si cerca di assecondare l’esigenza, naturalmente”. Ognuno ha diritto alla propria “paghetta” settimanale, che cresce fino ai 20 euro dei più grandi: e naturalmente può spenderla (così come altri contributi finanziari in arrivo dalla famiglia) per comprarsi una maglietta, un paio di scarpe sportive, o altro, “ma sempre con la nostra supervisione, come succede credo in ogni famiglia”, precisa un’operatrice.L’orientamento degli studi superiori è comprensibilmente spesso rivolto a percorsi che consentano un rapido percorso professionale, anche se non mancano i casi di ragazzi e ragazze che, in accordo poi con la famiglia, decidono di frequentare l’università. E una volta usciti dalla comunità, che rapporto mantengono con la “casa” e le persone con cui hanno condiviso importanti anni di crescita? “Ogni storia è diversa – sorride Germano – ma sono numerosi i casi di ragazzi e ragazze che tornano, a distanza di tempo, magari per un saluto, o per comunicarci una scelta importante. E sa cosa ho notato? Che a distanza di anni in genere ricordano con maggior affetto l’educatore, o l’educatrice, con cui magari da ragazzini avevano un rapporto più conflittuale, perché più esigente o severo nelle regole”. Anche questo, in fondo, un elemento non dissimile da quello del percorso di tanti altri adolescenti.