“La cooperazione è forte e sana: isoliamo le mele marce”
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“La cooperazione è forte e sana: isoliamo le mele marce”

120 imprese, 6 mila occupati, 270 milioni di euro di fatturato. Questi i numeri di Confcooperative Alessandria, con una presenza che in provincia va dal settore agricolo alle cooperative sociali, fino alla logistica. Ma quanto “morde” la crisi? E’ sufficiente la vigilanza su abusi e irregolarità, o si potrebbe fare di più? L’analisi del segretario generale Giulio Veggi

120 imprese, 6 mila occupati, 270 milioni di euro di fatturato. Questi i numeri di Confcooperative Alessandria, con una presenza che in provincia va dal settore agricolo alle cooperative sociali, fino alla logistica. Ma quanto ?morde? la crisi? E? sufficiente la vigilanza su abusi e irregolarità, o si potrebbe fare di più? L?analisi del segretario generale Giulio Veggi

Storicamente sono “le cooperative bianche”, di ispirazione e matrice cattolica, in qualche modo contrapposte all’altro gigante, quello delle “cooperative rosse”, che nell’immaginario collettivo della prima repubblica erano il potente braccio economico del Partito Comunista. “Distinzioni e rivalità da secolo scorso, in effetti – sorride Giulio Veggi, segretario generale di Confcooperative Alessandria – perché oggi la collaborazione con Legacoop, come con Agci (Associazione Generale Cooperative Italiane, il terzo soggetto della galassia, storicamente di ispirazione repubblicana, e sul nostro territorio presente in maniera marginale, ndr) è talmente forte che abbiamo dato vita a Alleanza delle Cooperative, ossia un unico soggetto in grado di porsi come interlocutore di tutto il comparto sui vari tavoli istituzionali. E, se posso sbilanciarmi, direi che nel giro di un paio d’anni si potrebbe arrivare ad avere un’unica vera e propria associazione, al posto delle tre attuali: senza naturalmente dimenticare o disconoscere le differenti storie e percorsi, ma prendendo atto che siamo nel ventunesimo secolo, e che il contesto economico in cui ci muoviamo necessita di un soggetto forte e unitario”.

Circa 120 imprese operanti nei diversi settori del mondo del lavoro, 9 mila soci, circa 6 mila occupati e un volume d’affari che si aggira intorno ai 270 milioni di euro. Questa la carta d’identità di Confcooperative in provincia di Alessandria. “Il 30% dei nostri soci – spiega Veggi – opera nel settore agricolo, ossia cantine sociali e ciclo dei cereali (dalla raccolta all’essicazione, fino alla conservazione in silos e alla commercializzazione), ma anche ortofrutta, soprattutto nella zona di Castelnuovo Scrivia, e in val Curone. Poi ci sono le cooperative sociali, che rappresentano un altro 30% dell’attività e sono sia di tipo A (servizi socio sanitari ed educativi: il comparto di cui si è tanto parlato sul fronte di Palazzo Rosso, per intenderci, ndr) che di tipo B, ossia le cooperative che hanno come ‘mission’ l’inserimento nel mondo del lavoro di persone svantaggiate”. E qui Giulio Veggi fa un bel sospiro, e ci tiene ad aprire una parentesi: “Vede, non dobbiamo mai dimenticare – afferma – che le cooperative sono certamente un importante motore economico, ma hanno anche una valenza sociale, ed etica, che ne rappresenta l’essenza. E che ne giustifica, certamente, anche alcuni vantaggi di tipo fiscale e mutualistico per i soci. Ma fa davvero male vederci attribuire, qualche volta, l’etichetta di lavoratori di serie B, o meno tutelati: siamo nati con l’obiettivo esattamente opposto”. Le cooperative sociali, tra l’altro, sono il comparto a più stretto contatto con la pubblica amministrazione (dalle Asl ai comuni), e quindi tra le più esposte negli ultimi anni ai rischi di gravi ritardi nei pagamenti, e in qualche caso estremo anche all’insolvenza vera e propria. “Il terzo segmento di attività delle nostre cooperative – completa il quadro il segretario generale di Confcooperative Alessandria – è quello del lavoro e dei servizi, per cui si va sul nostro territorio dalla logistica alla gestione di magazzini o impianti sportivi, alla grande distribuzione, che è però prerogativa soprattutto di Legacoop. Per quanto ci riguarda, sottolineo volentieri poi il nostro forte rapporto di vicinanza con il mondo bancario del Credito Cooperativo, che rappresenta da sempre un nostro fiore all’occhiello, e che ci consente di fornire alle cooperative, ai soci e ai lavoratori una serie di sostegni e agevolazioni, oggi più che mai determinanti, dato il contesto di crisi economica e sociale che stiamo attraversando”.

Ma cosa c’è di vero alla base del pregiudizio nei confronti delle cooperative? Davvero, rispetto a chi lavora in un ente pubblico o in un’azienda privata, i soci di cooperativa hanno un destino professionale di serie B, in termini di tutele, diritti e retribuzioni? Giulio Veggi lo esclude, anche se riconosce che il quadro è articolato: “Da almeno 10 anni a questa parte –spiega – il socio di cooperativa è pienamente equiparato al lavoratore dipendente tout court. Inoltre tutte i nostri associati (come del resto quelli di Legacoop e di Agci) sono soggetti ad una revisione biennale che va a verificare il rispetto di tutta una serie di parametri (etici, professionali, retributivi ecc). E’ vero che talvolta le cronache fanno emergere singoli casi negativi, che sono nocivi all’immagine di tutto il comparto. Ma spesso si tratta di cooperative che, per scelta precisa, non aderiscono a nessuna delle associazioni di categoria. In quel caso, infatti, in sostanza il compito di “vigilare” sulle attività della cooperativa passa direttamente in carico al Ministero e, dati numerici alla mano, si può verificare come la percentuale delle verifiche biennali cala vistosamente”. Poi c’è un’altra ferita aperta, che è quella del contratto Unci. “Non ho difficoltà – afferma Veggi – a definirlo un contratto pirata, giacché a luglio finalmente, dopo una battaglia durata due anni a livello nazionale, anche il Ministero delle Politiche Sociali lo ha finalmente disconosciuto, invitando con una circolare ufficiale le direzioni del territorio ad effettuare le opportune verifiche, e a sanzionare chi lo applica. I casi nella nostra provincia non sono così numerosi per fortuna, ma ci sono stati e ci sono. Ed è un contratto che rimane, come parametri retributivi, circa il 30% al di sotto del nostro e di quello di Legacoop. Spesso chi lo applica riesce ad aggiudicarsi al ribasso commesse e appalti: con quali risultati finali, e garanzie per i lavoratori, ognuno può immaginarselo”. 

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