Barrera: “da Di Pietro a Rita, in nome dell’impegno civico”
Avvocato ed insegnante, capogruppo a Palazzo Rosso e a Palazzo Ghilini, Marica Barrera racconta come si è avvicinata alla politica, grazie alla Costituzione, e ai suoi studenti. E analizza le emergenze del nostro territorio, sottolineando la necessità di politiche culturali, nonostante la crisi
Avvocato ed insegnante, capogruppo a Palazzo Rosso e a Palazzo Ghilini, Marica Barrera racconta come si è avvicinata alla politica, grazie alla Costituzione, e ai suoi studenti. E analizza le emergenze del nostro territorio, sottolineando la necessità di politiche culturali, nonostante la crisi
La politica è per lei passione di lungo corso, “fin dagli anni dell’università”. Una militanza però molto “civile”, su temi concreti, e poco partitica. Anzi, quando Marica Barrera ha aderito ad un partito (l’Italia dei Valori), ne è uscita dopo tre anni, per tornare all’impegno civico. Oggi è capogruppo sia a Palazzo Rosso (Insieme per Rita Rossa), sia a Palazzo Ghilini (nel gruppo misto), e cerca di conciliare il suo impegno di pubblico amministratore con quello di insegnante, a cui tiene particolarmente (“spero di non dover ricorrere all’aspettativa: il rapporto diretto con i ragazzi è preziosissimo”).
Subito una precisazione dottoressa: lei è figlia o parente del sindaco di Alessandria degli anni Settanta/Ottanta, Francesco Barrera?
(sorride, ndr) In campagna elettorale me lo chiedevano spesso. No, semplice omonimìa. Anche se per me la politica è comunque una “malattia” di lungo corso, che mi ha colpito già negli anni dell’università. E progressivamente, a pensarci bene, mi sono spostata da posizioni più moderate ad altre più di sinistra. Un po’ il contrario di quel che succede di solito: complice credo il quadro politico nazionale: da Craxi a Berlusconi, gli stimoli non sono mancati.
Con l’Idv di Di Pietro fu colpo di fulmine?
No, la storia è più complicata. Io sono, da sempre, un’attenta lettrice dei libri di Marco Travaglio, da prima che diventasse così famoso. Al contempo, il mio percorso di vita mi ha portato, dopo la laurea in giurisprudenza a Pavia e alcuni anni come assistente del prof Grevi, a scegliere la strada dell’insegnamento di materie giuridiche, anziché la professione di avvocato (per la quale ha comunque l’abilitazione, ndr). E ai ragazzi ho sempre cercato di trasmettere passione civile, e di spiegare loro che il diritto, e quello costituzionale in particolare, non è una questione di norme astratte, ma incide sulla vita reale della comunità. Per cui le mie classi hanno sempre partecipato a concorsi nazionali legati alla conoscenza della nostra Costituzione. E, per farla breve, in occasione di una visita premio organizzata al Parlamento con gli studenti (rivelatasi peraltro molto formativa), scrissi a Travaglio per segnalargli alcune questioni, e lui mi mise in contatto con Di Pietro. Ricordo che, quando ricevetti la telefonata della segretaria del leader dell’ Idv che mi disse “le passo il presidente”, pensai ad uno scherzo di qualche amico.
E invece era davvero lui, Antonio Di Pietro?
Assolutamente sì, con mio grande stupore. Ci incontrammo poi direttamente in un paio di occasioni, mi disse di condividere molte mie considerazioni, e mi chiese di impegnarmi direttamente nell’Idv. Io ho un lavoro che mi piace, una famiglia, e francamente nessuna ambizione di fare il politico di professione: però era l’occasione per dare concretezza ad una passione civile che ho sempre avuto, ed ho accettato, candidandomi alle provinciali del 2009. Il resto è storia nota…
Un percorso triennale alla fine del quale lei, Bellotti e Laguzzi ve ne siete andati dal’Idv, nei mesi scorsi…
Veramente ce ne siamo andati in nove, e credo tutte figure di un certo spessore. Contestando non l’Idv nelle sue scelte politiche, ma i criteri di gestione del partito a livello locale. Ma è storia chiusa, anche se, ripeto: non sono pentita di avere creduto nell’Idv.

(sorride, ndr) Nessuno mi aveva promesso nulla: siete stati voi giornalisti, ma anche devo dire parecchi miei sostenitori ed elettori, a credere in questa possibilità. Nessuna delusione per quanto mi riguarda, comunque: c’è tanto da fare, Alessandria si trova in una situazione difficile, e credo di poter dare il mio contributo anche come capogruppo. Ho creduto e credo che Rita Rossa, e il progetto del centro sinistra, possano riuscire a portare la città verso un futuro più sereno. E vorrei che le responsabilità di chi ci ha precipitati in questa situazione non fossero negate, o occultate.
La tendenza in effetti, ormai, è “sparare” sulla classe politica nel suo insieme..
Appunto, ed è sbagliato. Occorre assumersi la responsabilità delle proprie scelte, e delle loro conseguenze. Anche questo intorbidire le acque, omologando la situazione di Palazzo Rosso e Palazzo Ghilini, è un atto disonesto. Io sono in Provincia dal 2009, ho studiato la situazione, so di cosa si parla. Là abbiamo chiuso il bilancio in equilibrio al 31 dicembre 2011, con crediti di circa 9 milioni nei confronti dello Stato, e di una cifra fra i 20 e i 30 milioni nei confronti della Regione. Sono numeri, non opinioni. Ovvio che se i crediti non riesci ad incassarli, e ogni 6 mesi da Roma ti impongono nuovi tagli, come sta succedendo, alla fine nessun amministratore, per quanto virtuoso e onesto, riesce più a far quadrare i conti.
Ma le Province servono davvero?
Io credo di sì: almeno nel caso di territori come quello alessandrino. Abbiamo diversi centri zona, e sono realtà fra loro spesso lontane e diverse: è pensabile che un territorio simile sia ben gestito da Torino? Io non credo. Altro discorso naturalmente è accorpare, razionalizzare, tagliare consulenze e ogni altra “uscita” non indispensabile.
Questa crisi epocale, che a Palazzo Rosso vede l’aggravante del dissesto, finiranno per pagarla in primo luogo le politiche culturali, che a bilancio hanno un bel “risorse zero”?
E’ quel che temo. Penso alla situazione del nostro teatro comunale: insieme a Paolo Bellotti e ad altri amici, al tavolino di un bar, ci inventammo il comitato Ridateci il teatro, che mi ha consentito di conoscere persone meravigliose, da Piera Rosi a tutti i bravissimi dipendenti del Tra. Che una realtà simile, cosi preziosa per ciò che rappresenta e può fare, sia appena ad un filo è emblematico. Mi auguro che, sul fronte cultura, l’assessore Barberis, Nuccio Lodato e tutte le altre persone competenti e di buona volontà possano inventarsi tutto il possibile, e oltre, per garantire ad Alessandria un’offerta di qualità, nonostante la crisi. Naturalmente, per quel che posso fare, sono a disposizione.

Cinque o sei anni, come insegnante di materie giuridiche presso il distaccamento dell’istituto per geometri Nervi a San Michele. Grande esperienza, che mi ha consentito di capire concretamente quanto i temi del recupero, dell’integrazione, delle opportunità formative come strumento per superare il disagio siano essenziali per una società che voglia definirsi civile. Ricordo che, per anni, ho continuato a ricevere lettere dei miei ex studenti, che mi scrivevano presso il Nervi, anche solo per un saluto, o per raccontarmi cosa stavano facendo, una volta usciti dal carcere. Una piccola, importante soddisfazione.
Guardiamo al futuro consigliere Barrera: per chi voterà nel 2013?
E’ presto, davvero. Non ho nessuna fretta di scegliere un nuovo partito, come elettrice ed eventualmente come militante. Oggi sono molto coinvolta dall’esperienza amministrativa cittadina: e qui non è questione di partiti, ma di perseguire con tenacia, al fianco di Rita Rossa, della giunta e soprattutto della città, un percorso di risanamento che, gli alessandrini lo hanno capito, sarà lungo e non privo di difficoltà. Ce la metteremo tutta.