Malvezzi: “Il Piano Strategico? Ad un certo punto mi hanno lasciato solo”
Da leva per la trasformazione della città e del territorio, al dimenticatoio. Ma cosera davvero il Piano Strategico, quali risultati ha raggiunto e dove ha fallito? Ne parliamo con Valerio Malvezzi, ideatore del progetto e, fino a qualche mese fa, segretario dellassociazione Alessandria 2018
Da leva per la trasformazione della città e del territorio, al dimenticatoio. Ma cos?era davvero il Piano Strategico, quali risultati ha raggiunto e dove ha fallito? Ne parliamo con Valerio Malvezzi, ideatore del progetto e, fino a qualche mese fa, segretario dell?associazione Alessandria 2018
Il Piano Strategico della città di Alessandria è un malloppo di 680 pagine “che probabilmente hanno letto in pochi, anche tra gli addetti ai lavori”. La promessa del cronista alla fine della chiacchierata con Valerio Malvezzi (che fu segretario dell’Associazione Alessandria 2018 e, in sostanza, è “il papà” del corposo studio) è quella di approfondire almeno le 15 pagine finali, le conclusioni. In realtà si è andati un po’ oltre, e ne è valsa la pena: chi volesse tentare la stessa impresa può farlo qui.
Intanto l’ideatore del Piano Strategico ci ha aiutati a capire meglio a che punto è arrivato il progetto, cosa ha prodotto in termini di conoscenza del territorio e dove ha mostrato dei limiti. Aprendo qualche spazio di riflessione anche sul possibile utilizzo futuro dell’ampio lavoro svolto. Dissesto permettendo, naturalmente.
Dottor Malvezzi, il Piano Strategico di Alessandria ha vissuto una stagione di grande entusiasmo, e poi un declino di immagine, non privo di ironie. Cosa ha lasciato alla città?
Non sta a me dirlo, essendo stato parte in causa. Però posso precisare intanto che l’obiettivo di partenza era l’elaborazione di uno strumento complesso, in grado di fotografare (per immaginarne la trasformazione e lo sviluppo) una realtà composita, che andasse anche oltre i confini cittadini. E poi tracciamo una linea: un conto è la messa a punto degli strumenti, altro gli usi che la politica decide di farne, in base a proprie priorità.
Partiamo dall’inizio: come nasce il progetto del Piano Strategico?
Ne sono l’unico responsabile. Nel senso che fu un’idea assolutamente mia, frutto di studio e osservazione di quanto su questo fronte era stato realizzato altrove, soprattutto nel nostro Paese. Cito Torino, che è realtà comunque a noi vicina: mentre non starei a scomodare Barcellona, ad esempio, che è tutta un’altra realtà. Comunque: nell’autunno 2006, tramite un comune conoscente estraneo alla politica, conobbi Piercarlo Fabbio, che stava valutando la possibilità di candidarsi come sindaco alle elezioni della primavera successiva, e gli parlai del progetto. Ne comprese subito le potenzialità, e dopo la sua elezione ci si mise al lavoro.
Quindi sfatiamo un primo luogo comune: Malvezzi “uomo forte” della Lega imposto al sindaco Fabbio per ragioni di equilibrio politico..
(sorride, ndr) Io sono stato parlamentare della Lega Nord dal 1994 al 1996, e sono uscito dal movimento credo l’anno successivo. Sono un tecnico, non più un politico da 15 anni ormai. Oltretutto nel gennaio 2008, quando sono diventato consulente del Comune di Alessandria per sviluppare il Piano Strategico, erano almeno 10 anni che lavoravo esclusivamente per imprese private.
Perché pensava che ci fosse bisogno di un Piano Strategico per Alessandria? E lo pensa ancora?
Io vivo ad Alessandria da lungo tempo, e da quando ne ho memoria ricordo una città, e in senso più lato un territorio, in cui le decisioni strategiche venivano prese nelle stanze riservate di pochi salotti. In cui peraltro pensare ai politici è fuorviante: al più qualche politico poteva essere “cinghia di trasmissione”, diciamo così. Una visione élitaria che a mio avviso valeva la pena di provare a modificare, coinvolgendo in un ampio processo partecipativo le tante forze economiche, imprenditoriali, sociali, associazionistiche. E’ stato un lavoro impegnativo, mastodontico, che ha coinvolto 63 soggetti collettivi, e centinaia di professionalità di valore. E chi ha voglia di leggersi le 120 schede, tutte approvate all’unanimità, ci trova credo uno “spaccato” esaustivo e completo del nostro territorio.

Lo so bene. La mia retribuzione di consulente è stata, è noto, di circa 11 mila euro lordi al mese, comprensiva di Iva, tasse, contributi e quant’altro. Le assicuro che è meno di quanto guadagno nel settore privato, e del costo lordo di un medio dirigente comunale. Peraltro tutti si sono stupiti del fatto che, a settembre 2011, io mi sia dimesso rinunciando volontariamente agli ultimi tre mesi di contratto: ma semplicemente pensavo che la spinta del progetto si fosse esaurita, e temevo ci si apprestasse ad utilizzare lo strumento Piano Strategico in chiave elettorale: che non era esattamente la mia mission di tecnico. Quanto a Vespa: io qualche perplessità sull’effetto boomerang che la serata avrebbe potuto avere lo manifestai: ma si decise diversamente.
A conti fatti, cosa ha prodotto di positivo il Piano Strategico, e dove invece ha fallito, o poteva fare di più?
Di positivo credo che ci sia l’enorme mole di dati e analisi di cui chiunque può prendere visione approfondendo la lettura del Piano stesso, e gli atti dei numerosi convegni organizzati. Ma ci sono anche altri riflessi concreti. Le faccio l’esempio dell’Università: il patto decennale che consente oggi ad Alessandria di avere ancora la presenza forte e vivace di diverse facoltà, grazie all’intervento degli enti locali e territoriali, è frutto non solo di quella logica, ma del metodo di confronto felicemente avviato e sperimentato con il lavoro pluriennale del Piano Strategico. Ma lo sa che Alessandria era una realtà in cui spesso ogni singola associazione professionale o imprenditoriale elaborava propri studi e progetti, spesso doppioni rispetto a quanto stava facendo il vicino? Credo che la logica della condivisione, del confronto e del procedere insieme sia stata fortemente coltivata attraverso il nostro lavoro. In cui io ero semplicemente il notaio: il Piano Strategico è stato davvero frutto di un lavoro di squadra.
Ma ad un certo punto qualcosa che non ha funzionato c’è stato. E’ così?
Io al progetto ho creduto tantissimo, fin dall’inizio. E con me credo il sindaco Fabbio, l’allora assessore Antonello Zaccone, e pochi altri. Intendo dire che la politica (sia di centro destra che di centro sinistra, per motivi diversi) il Piano Strategico non lo ha sposato davvero. E ad un certo punto mi sono reso conto che stavo giocando da solo, che naturalmente non era lo scopo iniziale del progetto. Diciamo che non si è mai passati dalla fase tecnica a quella delle scelte politiche. Mentre il Piano Strategico quello doveva essere: strumento di governo della città, e del territorio.
Alessandria 2018, l’associazione promotrice del Piano Strategico, esiste ancora: secondo lei il nuovo corso politico dovrebbe fare tesoro dell’esperienza e dei risultati prodotti?
Non mi permetto di dare consigli. Certamente Alessandria 2018 esiste ancora, e ho anche appreso nei mesi scorsi di essere stato sostituito d’ufficio: perché in realtà mi ero dimesso da consulente retribuito del Comune, non da segretario del Piano Strategico. Comunque ne rimango convinto: anche in tempi di crisi, occorre conservare una visione del futuro, un’idea di sviluppo e di dove si vuole andare. Anche se, mi rendo conto, quando le cronache parlano di dissesto, e dicono che mancano i soldi per le bollette, o per gli stipendi, quelle diventano le priorità, e tutto il resto rischia di essere cancellato.
Chiudiamo con una sua valutazione: Alessandria è davvero soltanto città grigia, demotivata e assistita, che vive di pensioni e stipendi pubblici? O c’è altro?
Questo è il punto. Senza voler sminuire il ruolo di chi opera nel pubblico (ma anche constatando che certi carrozzoni sono sovradimensionati), Alessandria è invece una città plurale, articolata, e ricca di competenze professionali di prim’ordine, in tanti settori. L’esperienza del Piano Strategico le ha in buona misura fatte emergere, mettendole “in rete”. Credo davvero che lo stereotipo di Alessandria città spenta non regga. Si tratta semmai di valorizzare le tante risorse che ci sono, creando le condizioni perché possano operare all’interno di un mosaico di progetti e di opportunità.