La Barbera: “in pista fino alle Paralimpiadi del 2016”
Sempre più grintoso e motivato, a 45 anni il campione mandrogno di atletica si giocherà in due settimane di gare, a cavallo tra luglio e agosto, laccesso ai giochi paralimpici di Londra. Ma ci sarò anche a Rio De Janeiro, tra quattro anni. Intanto ci racconta la sua storia di uomo e di sportivo, amarezze politiche comprese
Sempre più grintoso e motivato, a 45 anni il campione ?mandrogno? di atletica si giocherà in due settimane di gare, a cavallo tra luglio e agosto, l?accesso ai giochi paralimpici di Londra. ?Ma ci sarò anche a Rio De Janeiro, tra quattro anni?. Intanto ci racconta la sua storia di uomo e di sportivo, amarezze ?politiche? comprese
“A 45 anni sto ancora migliorando le mie prestazioni, e ho l’obiettivo di ritirarmi dall’attività agonistica soltanto dopo le Olimpiadi brasiliane del 2016: quello che sto facendo è troppo importante non tanto per me, ma per tutti i ragazzi disabili”. Se lo guardi negli occhi mentre racconta la sua storia, sportiva ma prima ancora di uomo, capisci che probabilmente lo chiamano “il Barbaro” non solo per assonanza con il cognome, ma anche per la fierezza un po’ selvaggia del carattere. Incontriamo Roberto La Barbera al Campo Scuola di Alessandria (“questa è praticamente la mia seconda casa”), appena prima del suo allenamento pomeridiano. Ed è l’occasione per ripercorrere le tappe di una vita davvero fuori dal comune, ma anche per fare chiarezza su qualche recente polemica “politica”.
Roberto, partiamo dalla fine, ossia da oggi. Sarai fra i protagonisti delle Paralimpiadi di Londra?
Dipenderà tutto dai risultati che otterrò ad una serie di gare, tra il 23 luglio e il 5 agosto, ma spero proprio di sì. Sto finendo di scontare un lungo periodo di squalifica: una vicenda di cui però, consentimi, ho deciso di non parlare, perché di strumentalizzazioni e amarezze ne ho subìte anche troppe. Posso però dire che alle Paralimpiadi, che si terranno dal 29 agosto al 10 settembre, farò il possibile per esserci, e da protagonista. Tra l’altro, la sequenza delle finali dei 100, 200 e 400 metri e del salto in lungo quest’anno è tale, da consentirmi di ipotizzare di partecipare a tutte.
Quante gare e medaglie hai vinto fino ad oggi?
Tante, a tal punto che non me le ricordo tutte, ma chi è interessato può consultare il mio sito, www.robertolabarbera.com. Quel che conta davvero però, credimi, non sono le vittorie (che pure danno un piacere straordinario: io gareggio sempre per vincere, non per partecipare), ma quel che rappresentano per tanti ragazzi e ragazze disabili che, seguendo le mie imprese in questi quindici anni, hanno deciso di non starsene chiusi in casa, ma di cimentarsi con qualche attività sportiva. Mica diventano tutti campioni (anche se qualcuno sì), ma sicuramente si aprono al futuro, accettano la sfida di vivere pienamente, nonostante qualche handicap fisico. Ricorderò sempre, anni fa, un viaggio che feci appositamente, da Alessandria alla periferia romana, per andare al capezzale di un ragazzino disperato dopo aver perso un piede. Ebbene, oggi so che quel ragazzo, cresciuto, gioca a basket, e anche quella se permetti è una bella medaglia che posso vantare.

Beh, il mio amico Roberto Bruzzone (www.robydamatti.it), che mi venne a cercare, per chiedermi come avevo fatto a reagire e a diventare uno sportivo, e poi si è trasformato anche lui in uomo da grandi imprese, mostrando di avere un gran carattere.
Hai voglia di ricordarci come hai perso piede e parte della gamba, e cosa ha significato per te l’incidente?
Avevo 18 anni, era il 1985. Mi piaceva andare in moto, era l’imbrunire e, sulla strada che congiunge Bettale e Litta Parodi non ho visto quell’auto arrivare, e non mi sono fermato allo stop. Vi risparmio la descrizione della sofferenza dei mesi successivi, il calvario, il dolore della mia famiglia. Diciamo che è stato un giro di vita, e che ho avuto la forza di ripartire. Considera che io all’epoca facevo il ballerino professionista, con mia sorella. Attività che ho dovuto abbandonare, anche se per diversi anni successivi all’incidente ho gestito con successo una scuola di ballo, e chi veniva a lezione neanche di accorgeva del mio handicap, tanto mi ero ripreso. Nel frattempo ho completato gli studi, e trovato un lavoro alla Gefi, all’epoca Gruppo Guala. Poi, dal 1991, sono stato assunto al Cedacri di Castellazzo, che da tanti anni è anche uno dei miei sponsor più importanti, insieme a Fiat, Adidas e altri.
Come ti è nata la passione per l’atletica?
Avevo già trent’anni, e ricordo perfettamente che un giorno mia moglie (che conobbi tre anni dopo l’incidente) mi chiamò e mi mostrò in tv un servizio sulle imprese di Pistorius, atleta che non ha bisogno di presentazioni. Lì scatto qualcosa dentro di me, ci pensai qualche giorno, e qualche notte insonne, e poi decisi: dovevo provarci.
E’ stato facile?
E’ stato difficilissimo, ma le sfide mi stimolano, questo credo si sia capito. Era la fine del 1998 quando ho conosciuto Antonio Iacocca, campione piemontese di decathlon che viveva, e vive, ad Asti. Fu il mio primo allenatore, e dopo vari passaggi da due anni a questa parte è tornato ad esserlo. Antonio mi disse: “prima di decidere se allenarti per il lancio del peso e del disco, devi venire ad allenarti da me, ad Asti, tre giorni alla settimana, per farti la muscolatura”. Fu un inverno durissimo, un massacro. Devi sapere che esistono diversi tipi di protesi: quella per la semplice vita quotidiana, quella da camminata diciamo sportiva, e quella da corsa in pista. Io mi facevo 10 chilometri al giorno a piedi con la protesi da camminata, e quando la toglievo ricordo copiose perdite di sangue, che un paio di volte macchiarono anche la neve fresca. Insomma, roba da pensarci bene: continuo o mollo?
Ma tu decidesti di continuare….
Eh sì. Non solo: quando finalmente, nella primavera del 1999, l’Inail mi fornì la prima protesi da corsa vera e propria, con Antonio ci rendemmo conto che correvo come una scheggia. Tanto che, senza averlo preventivato, decidemmo di iscrivermi ad una corsa a Milano. Una gara in cui dovevano giocarsela il pluri recordman Alessandro Curis, e il suo erede designato Daniele Bonacina. Io e altri eravamo sostanzialmente sparring partners. Ebbene, non ti vado a vincere sia i 100 che i 200 metri, stabilendo i nuovi rispettivi record italiani di categoria? Qualcuno quel giorno deve anche avermi odiato, ma Roberto La Barbera come fenomeno sportivo, e anche mediatico, nacque lì.
Fenomeno anche mediatico, dici bene. Scelta voluta?
Mah, diciamo che via via che mi sono reso conto di suscitare l’attenzione dei giornali e delle tv, con il soprannome Il Barbaro (che mi diede un amico esortandomi durante le gare, e mi sono poi portato appresso) e tutta la ricaduta di immagine, ho creduto giusto approfittarne, per dare notorietà allo sport praticato dai portatori di handicap, perché è davvero uno dei migliori strumenti di integrazione, e superamento delle difficoltà. Non importa che sia svolto a livello agonistico o come semplice hobby: conta l’aiuto che può dare, sul piano fisico e psicologico, a chi lo pratica.
Sidney 2000, Atene 2004: Pechino 2008: le Paralimpiadi sono davvero il top per chi fa sport al tuo livello?
Certamente sì, anche se gare importanti ce ne sono tante altre, ogni anno, nazionali e internazionali. Le Paralimpiadi però accendono i riflettori, e stimolano a dare il massimo: per questo a Londra spero davvero di esserci, e comunque punterò anche a Rio De Janeiro 2016. Alla faccia di chi mi vuol male: se qualcuno mi attacca ingiustamente mi spinge a dare il massimo, sono fatto così.
Ti riferisci alle polemiche sulla tua squalifica, sollevate in occasione della recente campagna elettorale?
Proprio a quelle. Sapessi che male hanno fatto non tanto a me, quanto a chi mi vuol bene e mi circonda. Ma soprattutto mai mi sarei aspettato che a strumentalizzare una vicenda complessa e difficile (ripeto: ne parlerò forse più avanti, se vorrete. Oggi penso alle prossime gare) fossero persone che ritenevo amiche, tra cui un simbolo dello sport come è per me Maddalena Grassano, e addirittura uno dei miei ex allenatori, Enrico Talpo. Guardo avanti, ma per me non esistono più. Mentre spero ancora che, quando incontrerò Mara Scagni, mi dirà che lei con questa storia non c’entra nulla, e ci abbracceremo. Io le ho voluto troppo bene, abbiamo fatto insieme cose straordinarie quando era sindaco, è venuta persino con me ad Atene.

