Rossi: “il futuro della polizia locale è nell’agenzia unica”
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Rossi: “il futuro della polizia locale è nell’agenzia unica”

In pensione da poche settimane, lo storico comandante dei vigili di Alessandria ci concede una chiacchierata da esperto di sicurezza, analizzando l’evoluzione delle politiche e dei modelli territoriali. Svelandoci però anche una passione per Mozart, e per la scultura

In pensione da poche settimane, lo storico comandante dei vigili di Alessandria ci concede una chiacchierata da esperto di sicurezza, analizzando l?evoluzione delle politiche e dei modelli territoriali. Svelandoci però anche una passione per Mozart, e per la scultura

Non lo ammetterà mai, perché alla sua fama di “duro” in fondo ci tiene davvero. Ma Pier Giuseppe Rossi nelle scorse settimane, lasciando dopo tanti anni di servizio il suo ruolo di comandante della Polizia Municipale di Alessandria, e dirigente dell’Area Vigilanza e Sicurezza di Palazzo Rosso, almeno un po’ si è commosso, ne siamo certi. Nell’immaginario collettivo alessandrino resterà certamente “il comandante”, anche se minimizza, e dice “sono Pier Giuseppe Rossi, mi basta”. In ogni caso: dopo 42 anni di servizio, chi meglio di lui può aiutarci a capire come davvero Alessandria è cambiata nel tempo sul fronte della sicurezza, e verso quale modello potrebbe orientarsi? Ma, vedrete, nel corso della conversazione emergeranno anche aspetti della personalità e interessi culturali ed artistici assolutamente inediti.

Fisico tonico, occhiale da sole d’ordinanza e maglietta della polizia di Philadelphia. Comandante, lei non ha proprio l’aspetto del pensionato….
Eppure ormai lo sono, e un amico mi garantisce anche che mi piacerà un sacco. Io veramente ho parecchi progetti che spero di realizzare. Vedremo cosa maturerà nelle prossime settimane. Ho sempre fatto il relatore a conferenze di settore, scritto articoli per riviste specializzate, e per Il Sole 24 Ore. Penso di intensificare questo tipo di attività, soprattutto, ora che ho più tempo a disposizione. Naturalmente conservando una particolare attenzione per Alessandria: per la nostra città auspico davvero una nuova primavera.

Ci aiuti intanto a capire come siamo cambiati, come territorio, sul fronte delle esigenze di sicurezza. Lei decisamente se ne intende: quanto ha lavorato al Comando dei Vigili?
Dal 1974 al 1988, in diversi ruoli, e provenendo da una precedente esperienza nella Guardia di Finanza. Dal 1988 al 1995 ho comandato i vigili di Valenza, e dal 1995 fino a poche settimane fa sono stato comandante ad Alessandria. Siamo cambiati tanto, nel corso dei decenni, come il resto del Paese del resto. Chi ha vissuto la stagione del terrorismo, ad esempio, ricorda che anche qui in provincia, in certi momenti, non sono mancate le tensioni. Ricordo che, negli anni Settanta, abbiamo deciso fra i primi di puntare sul modello dei vigili di quartiere, adattando un po’ il modello inglese alle nostre esigenze. Ho sempre pensato che la polizia locale debba prendere la forma del tipo di società in cui si trova ad operare, in rapporto alle esigenze.

A Milano i vigili sono i ghisa. Da noi lo avete un soprannome tradizionale?

Come no: il soprannome è la gatta, per ragioni storiche che si perdono nella notte dei tempi. In realtà il rapporto dei vigili con il territorio e con gli alessandrini è sempre stato, durante la mia guida, collaborativo senza essere lassista, anche se non nego che nel corso del tempo la vigilanza si è fatta via via più tecnologica, e meno fisica. Del resto, con un servizio offerto h24, ossia 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, e un organico di soltanto 92 effettivi, su un territorio comunale assai vasto, non c’era altra strada. Consideri che il rapporto ottimale, per legge, dovrebbe essere di un vigile ogni 600 abitanti: da noi siamo sopra i 1.000.

Lei ha più volte teorizzato il modello dell’agenzia unica provinciale: nei fatti però non ci si è mai arrivati. Ci crede ancora?
Moltissimo. Ho sempre cercato di tenermi aggiornato, e di viaggiare per studiare i migliori modelli organizzativi internazionali, convinto che il compito di un dirigente pubblico sia quello di guardare lontano, non soltanto di gestire la quotidianità. E nel corso delle mie esperienze dirette in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Spagna, mi sono reso conto che una nostra specificità, in negativo, è sempre stata l’eccessiva frammentazione dei corpi di polizia, con conseguente dispersione di risorse e di competenze. Quindi da un lato ho fatto il possibile per costruire una collaborazione forte e reale con la polizia di Stato, i carabinieri e le altre forze dell’ordine. Dall’altro ho provato a portar avanti il progetto di un’unica agenzia di polizia municipale, coordinata dal capoluogo di provincia. Sono convinto che sia il modello del futuro, perché consentirebbe una forte razionalizzazione delle risorse, ma anche una crescita della specializzazione e una copertura capillare del territorio oggi impensabili. Mi riferisco in particolare ai piccoli comuni, con uno o due vigili in servizio costretti a fare i salti mortali, con il ricorso ad accordi occasionali di sostituzione anche solo, banalmente, per le ferie o le malattie.

E’ mancata la volontà politica di provarci?
Non è così semplice. L’ex sindaco Fabbio ad esempio capì il valore del progetto in pochi minuti, e mostrò di apprezzarlo. Poi però ci vogliono le risorse, la ricerca di sinergie, e non ultima la volontà e capacità dei dirigenti di occuparsene. Credo comunque che sia solo questione di tempo: quella è la strada verso la quale si andrà, ne sono certo.

Il Comandante dei Vigili che rapporto deve avere con la politica?
Come persona, ha diritto alle proprie idee. Come dirigente comunale, è alle dirette dipendenze del sindaco, di cui deve attuare le direttive, purché naturalmente queste non costituiscano reato. Da questo punto di vista ho una mentalità assolutamente rigorosa e militare, e certe manovre di riposizionamento all’arrivo di una nuova amministrazione, che in un comune sono ahimé all’ordine del giorno, mi hanno sempre disgustato. Come comandante ad Alessandria ho lavorato con sindaci di estrazione politica diversa (Calvo, Scagni, Fabbio, ndr), ma mi sono sempre limitato ad un rigoroso rapporto professionale, perché così deve essere.


Ma ora che è in pensione, la politica non la tenta?
Francamente no. Ma non mi fraintenda: credo nella politica, è uno dei cardini della società. Semplicemente non credo di esserci “tagliato”. E poi, diciamocelo, largo ai giovani: sono loro che devono diventare protagonisti e fare la loro parte, prendendosi anche le conseguenti responsabilità.

Parliamo delle sue passioni comandante: pochi sanno che lei ha un passato da attore..

Eh sì, ho sempre avuto un grande amore per l’arte e la recitazione. Passione ereditata credo da mia nonna, una persona fantastica, fieramente antifascista e folk singer di valore, amica del grande Franco Castelli. Una contadina con la terza elementare, di S. Michele, che mi ha insegnato davvero il senso del sacrificio, e del dovere. E anche appunto il gusto della recitazione: sono stato assistente alla regia di Ennio Dollfus, e ho recitato nei Pochi, da ragazzo. Erano i primi anni Settanta credo. Conducevo anche una trasmissione radiofonica a Radio Voce Spazio, da don Ivo. La passione per la poesia, soprattutto russa, mi è poi sempre rimasta, come quella per la musica classica, Mozart su tutti. Mi aiuta a scolpire e dipingere.

Questo finché è stato comandante in servizio effettivo non lo ha mai raccontato…
No, è vero, ma adesso mi concedo di rivelarlo. Ho un bel laboratorio, gentilmente messomi a disposizione a Ticineto dai miei consuoceri: e lì per me il tempo davvero si ferma: posso disegnare e scolpire dalla mattina a sera tardi, senza neanche fermarmi per mangiare, completamente travolto dall’arte. E senza più dovermi preoccupare di quel che succede al Comando, o sul territorio. Per chi, come me, era abituato a non staccare mai, è un bel cambiamento, mi creda.

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