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Non è mio, ma di tutti: la rivincita dei beni comuni
Nuove prospettive sul tema della (non) proprietà nel manifesto del professor Mattei, ospite allAcsal
Nuove prospettive sul tema della (non) proprietà nel manifesto del professor Mattei, ospite all?Acsal
Il referendum contro la privatizzazione delle risorse idriche del giugno 2011 ha portato alla ribalta nel nostro Paese il dibattito sui cosiddetti beni comuni. L’ultimo appuntamento dei Giovedì Culturali dell’Acsal di Alessandria, lo scorso 12 di aprile, si è rivelato occasione di approfondimento su questa tematica grazie alla presenza di Ugo Mattei, professore di Diritto Civile e Diritto Anglo-americano presso l’Università di Torino, nonché promotore del già menzionato referendum abrogativo. Hanno introdotto e moderato la serata Noemi Podestà e Giorgio Barberis, ricercatori presso il Dipartimento Digspes dell’Università del Piemonte Orientale, che hanno anche presentato l’ultimo libro del professore, Beni comuni. Un manifesto (edito da Laterza), sottolineandone la chiarezza argomentativa e l’interessante carattere interdisciplinare.
Il nostro orizzonte sociale e politico, ha spiegato Mattei, è regolato da due modelli istituzionali dominanti: quello della proprietà privata e quello della sovranità statale. Il dibattito democratico è dunque stato invaso dalla contrapposizione tra pubblico e privato, escludendo qualsiasi tipo di categoria intermedia. In realtà i due concetti non sono storicamente avversari. L’itinerario che, a partire dalla fine del 1400, condusse l’Europa verso l’economia di mercato vide infatti lavorare fianco a fianco gli strumenti giuridici statali con i poteri dei privati (o privanti, usando un termine che, come suggerisce il professore, è linguisticamente più corretto). La proprietà privata sulla terra e la sovranità statuale su un territorio condividono l’escludibilità di terzi e la concentrazione del potere, imponendo l’abbandono del modello del libero accesso alle risorse.
Gli ultimi decenni hanno visto la crescita di una sempre più marcata asimmetria fra le garanzie di tutela nei confronti dei beni privati, fortemente protetti, e i beni pubblici, spesso svenduti per rimpinguare le finanze statali e al centro delle privatizzazioni che hanno coinvolto anche l’Italia dall’inizio degli anni ’90. Questo processo, secondo Mattei, ha messo a serio rischio una categoria di beni che sono talmente connessi con l’esercizio dei diritti fondamentali della persona e con la sua stessa sopravvivenza da non poter essere riconducibili alle categorie di proprietà esclusiva di singoli soggetti (privati o statali). I beni comuni, come l’acqua, devono essere necessariamente di tutti, fruibili in maniera libera e responsabile da una collettività che su di esse fonda la propria esistenza.
Lo sviluppo di una nuova forma di pensiero e di lettura della contemporaneità svincolata dal binomio pubblico-privato è una delle vere sfide del nostro tempo. La terza via, quella dei beni comuni, suggerisce che possano essere codificate nuove forme di gestione delle risorse, anche più rispettose degli equilibri ecologici del nostro pianeta e della dignità dell’uomo. Ed è bello pensare, conclude Mattei, che l’Italia, in questa piccola rivoluzione del pensiero, abbia fatto la sua parte. La grande mobilitazione per il referendum dello scorso anno dimostra la rinascita di un senso civico che dal basso, nonostante le resistenze della politica dei palazzi e le pressioni del mondo della finanza, dilaga nella società, mettendo il freno a quella apparentemente incontrovertibile logica del denaro ad ogni costo.
Il nostro orizzonte sociale e politico, ha spiegato Mattei, è regolato da due modelli istituzionali dominanti: quello della proprietà privata e quello della sovranità statale. Il dibattito democratico è dunque stato invaso dalla contrapposizione tra pubblico e privato, escludendo qualsiasi tipo di categoria intermedia. In realtà i due concetti non sono storicamente avversari. L’itinerario che, a partire dalla fine del 1400, condusse l’Europa verso l’economia di mercato vide infatti lavorare fianco a fianco gli strumenti giuridici statali con i poteri dei privati (o privanti, usando un termine che, come suggerisce il professore, è linguisticamente più corretto). La proprietà privata sulla terra e la sovranità statuale su un territorio condividono l’escludibilità di terzi e la concentrazione del potere, imponendo l’abbandono del modello del libero accesso alle risorse.
Gli ultimi decenni hanno visto la crescita di una sempre più marcata asimmetria fra le garanzie di tutela nei confronti dei beni privati, fortemente protetti, e i beni pubblici, spesso svenduti per rimpinguare le finanze statali e al centro delle privatizzazioni che hanno coinvolto anche l’Italia dall’inizio degli anni ’90. Questo processo, secondo Mattei, ha messo a serio rischio una categoria di beni che sono talmente connessi con l’esercizio dei diritti fondamentali della persona e con la sua stessa sopravvivenza da non poter essere riconducibili alle categorie di proprietà esclusiva di singoli soggetti (privati o statali). I beni comuni, come l’acqua, devono essere necessariamente di tutti, fruibili in maniera libera e responsabile da una collettività che su di esse fonda la propria esistenza.
Lo sviluppo di una nuova forma di pensiero e di lettura della contemporaneità svincolata dal binomio pubblico-privato è una delle vere sfide del nostro tempo. La terza via, quella dei beni comuni, suggerisce che possano essere codificate nuove forme di gestione delle risorse, anche più rispettose degli equilibri ecologici del nostro pianeta e della dignità dell’uomo. Ed è bello pensare, conclude Mattei, che l’Italia, in questa piccola rivoluzione del pensiero, abbia fatto la sua parte. La grande mobilitazione per il referendum dello scorso anno dimostra la rinascita di un senso civico che dal basso, nonostante le resistenze della politica dei palazzi e le pressioni del mondo della finanza, dilaga nella società, mettendo il freno a quella apparentemente incontrovertibile logica del denaro ad ogni costo.