La bolla logistica alessandrina (BLA)
Dai che ti ridai, siamo arrivati al decennale che nessuno, tuttavia, vorrà celebrare: quello dellavvio dellavventura logistica alessandrina. Proviamo a ricostruire le vicenda degli ultimi anni, fatta di (tanti) proclami, poche azioni concrete ed il contribuito alla disgregazione socio-economica della provincia
Dai che ti ridai, siamo arrivati al decennale che nessuno, tuttavia, vorrà celebrare: quello dell?avvio dell?avventura logistica alessandrina. Proviamo a ricostruire le vicenda degli ultimi anni, fatta di (tanti) proclami, poche azioni concrete ed il contribuito alla disgregazione socio-economica della provincia
Il 25 marzo 2002, nel Salone Fidicom di via 24 Maggio, si tenne il convegno di presentazione del “master plan” della Piattaforma Logistico-Mercantile di Alessandria. Tenevano a battesimo la “piattaforma” (tosto divulgata come “distripark”) Fabrizio Palenzona e Francesca Calvo, rispettivamente Presidente della Provincia e Sindaco della Città.
Il concepimento dell’idea era avvenuto, naturalmente, alcuni mesi prima, allorché Provincia e Comune si erano accordati per fornire un incarico-finanziamento alla Soc. ET (Energia e Territorio) controllata dalla Provincia e, in allora, con qualche problema di prospettive. Si era, nel 2002 come al presente, alla vigilia delle “amministrative” e si sarebbe potuto presumere che, ribaltata la formula politica a Palazzo Rosso (da Giunta leghista a Centro-sinistra) il dotto fascicolo pre-progettuale sarebbe stato accantonato, o totalmente rivisto, per marcare la discontinuità strategica delle gestioni politiche succedutesi. Così invece non fu perché Palenzona aveva le giuste carature per tenere a galla, nel trapasso politico, il fascinoso obiettivo logistico che, a sua volta, la nuova Giunta Scagni si affrettò ad adottare in toto.
Da quel momento (estate-autunno del 2002) l’operazione politico-mediatica “logistica ad Alessandria” è decollata alla grande, accendendo la fantasia dei cittadini sull’immancabile quanto clamoroso sviluppo socio-economico locale, connesso con l’arrivo e la “lavorazione”, in apposite strutture, del surplus di container defluenti, a decine di migliaia, dal porto di Genova investito, a sua volta e in tempi brevi, da un vistoso incremento di traffici.
Gran parte del decennio successivo è stato speso, dai vari protagonisti (individuali, istituzionali e societari: vedi PLA e SLALA) ad alimentare il fuoco delle speranze generosamente suscitate. Non sono mancati gli intoppi, a cominciare da quelli urbanistico-insediativi e infrastrutturali, culminati nel “rovesciamento di tavolo”, operato nel 2007 dalla subentrante Giunta Fabbio, rispetto al nucleo fondante e unitario di Cantalupo (tripartitosi, nella nuova visione logistica, in San Michele, Scalo FS e ancora Cantalupo), ma ad ogni intralcio o rallentamento, corrispondeva un robusto rilancio delle sicure prospettive. Insomma, logistica come dogma di fede, inattaccabile dai mancati riscontri locali, e non solo (Genova, ad esempio è sempre rimasta al di sotto dei due milioni annui di TEU – forse li toccherà quest’anno – altro che raddoppiarli o triplicarli come da ferree previsioni poste a base dell’exploit alessandrino).
Per farla breve, al cadere del decennale, non un picchetto e stato ancora piantato, non una zolla smossa, non un progetto è approdato allo stadio esecutivo, non un euro è stato speso (oneri societari a parte) sul terreno vocato alla logistica. E, come per un tacito accordo tra fieri avversari politici, il mirabile, inesplicato insuccesso viene spazzato sotto il tappeto: non se ne parla più, non se ne vedono tracce, dunque non provoca considerazione alcuna. Archiviato.
L’occasione, vorrei dire la tentazione, di ripercorrere criticamente il decennio logistico alessandrino, sulla base delle copiose cronache e documentazioni disponibili, è ghiotta ma rinviabile, quantomeno per ragioni di spazio. Mi preme invece evidenziare il danno collaterale, inconsapevolmente ma concretamente arrecato dall’infatuazione logistica (assieme a quella turistica) alla comunità locale, nella sua capacità, nel suo interesse a ragionare di condizioni e prospettive socio-economiche complessive.
Presente e futuro sono stati consegnati, con bella sicurezza, alla logistica (e al turismo: enogastronomico, ricreativo e “culturale”): tutto il resto è stato educatamente relegato nella dimensione dell’inattualità, o della faticosa sopravvivenza, e non si è più parlato d’altro, se non per lamentare, qua e là, serrande abbassate e cancelli chiusi. Un’intera classe politica, lungo il trascorso decennio, si è abbeverata a questi dogmatici percorsi di resistenza e sviluppo: logistica e turismo, senza curarsi di quanto, frattanto, succedeva all’esterno (ma anche all’interno) di questa risoluta neo-vocazione alessandrina.
Tale appassionata propensione si è, anzi, riverberata anche a livello provinciale, con la progressiva caduta d’interesse a ragionare in termini di economia complessiva del territorio e con l’accettazione del transito da “provincia federata” (di cui alle memorie delle stagioni della programmazione) a “provincia disarticolata”. E i Centri, gli Uffici, gli Ambienti e i Dipartimenti, che per le loro finalità di studio a supporto dei Grandi Decisori, avrebbero potuto suggerire di correggere il tiro, di “allargare l’obiettivo”, o si sono via via sfarinati o si sono adeguati alle preferenze degli Enti Dominanti (la nostra Cupola casereccia).
Il bello è che neanche i settori tradizionalmente portanti, e le corrispondenti categorie economiche, hanno reagito a questa, palese anche se indolore, messa ai margini dell’ attuale protagonismo sociale in nome del sopravvenuto “ pensiero unico”.
Se queste, in conclusione, siano personali ubbie o abbiano fondamento nei fatti e nelle cronache, si potrà, tra l’altro, verificare a breve, allorché, nelle prossime settimane pre-elettorali, compariranno i famosi “programmi” dei partiti e dei candidati. Nuove, frettolose antologie all’insegna del di tutto un pò” o selezione realistica, motivata e congruente di problemi eminenti e ragionevoli prospettive per la città?
L’ultima da Palazzo Rosso non promette bene. Si tratterebbe infatti, per Alessandria, di ritagliarsi, all’interno dell’attuale Ateneo tripolare del Piemonte Orientale, una propria “Università Autonoma” per tutelare, a brutto muso, la città dalle mire espansionistiche di Novara sulle “nostre” Facoltà. Va bene per i fuochi d’artificio, ma sarebbe meglio, con l’occasione, chiedersi anche perché, pretese o non pretese, Novara è diventata Novara. E noi no.
[da Città Futura]