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Alessandria, anno zero
Non è una constatazione che fa piacere fare, soprattutto per uno che in questa città cè nato e vive. Non è neanche una considerazione negativa che si apre a eventuali, migliori sviluppi. Di sviluppi se ne possono intravedere, ma che siano migliori chi ci crede più?
Non è una constatazione che fa piacere fare, soprattutto per uno che in questa città c?è nato e vive. Non è neanche una considerazione negativa che si apre a eventuali, migliori sviluppi. Di sviluppi se ne possono intravedere, ma che siano migliori chi ci crede più?
Non è una constatazione che fa piacere fare, soprattutto per uno che in questa città c’è nato e vive. Non è neanche una considerazione negativa che si apre a eventuali, migliori sviluppi. Di sviluppi se ne possono intravedere, ma che siano migliori chi ci crede più? Lo si vede dallo stato complessivo della città, che ha più buche che abitanti, più saracinesche abbassate che esercizi commerciali floridi, più carrelli vuoti nei supermercati che merce straripante alle casse. Dove alle battute tra il cinico e il disinvolto che punteggiavano abitualmente la piazzetta, si sono sostituiti commenti più acidi, espressi da labbra tirate su facce grevi, plumbee, sconcertate.
Andiamo ad elezioni. Alessandria dovrebbe interrogarsi sul proprio futuro, ma teme che sia un esercizio sterile, sommerso da questo suo precario, malmostoso presente. E già! Dove vai, se non c’è un euro? Se ne vedevano già pochi per via della situazione generale del Paese, ne circolavano già meno che altrove, perché – diciamocelo – non siamo mai stati fulmini di guerra nelle imprese. Una piccola borghesia commerciale dietro il bancone, una piccola borghesia impiegatizia dietro una cattedra o lo sportello di un ente, una pattuglietta sempre più risicata di operai e artigiani. Questa, alla fine, era Alessandria quando le cose andavano bene. La prosperità? Previdente accumulo di secoli, di generazione in generazione.
Ora, però, con il commercio falcidiato dal rumore delle serrande, l’impiego “di una vita” messo in dubbio dalla chiusura degli sportelli, il salario smagrito dalla crisi e dalle nuove imposizioni fiscali, come si fa a credere nei miracoli? E il tesoretto accumulato, quanto dura?
Aggiungete a questo quadro il debito locale. Ne abbiamo sentite e lette tante, ma di una cosa siamo sicuri: se gli enti in genere non han soldi da spendere, il Comune ha debiti. Quanto? 10-20-30 milioni? Di più? Peggio mi sento. Quali che siano, sempre troppi. Tanti. C’è l’impressione, temo fondata, che questo debito ci finirà sulla schiena e ci farà stramazzare definitivamente.
Non so cosa pensi il centrodestra, dietro la facciata (e i manifesti elettorali) di circostanza. Ma so cosa pensa il centrosinistra. Non sarà possibile impostare politiche di sviluppo, forse non vale neanche la pena pensarle, finché avremo questa macina intorno al collo. Anzi, la priorità delle priorità, nella prospettiva di una vittoria, è quella di verificare bene i conti, valutare attentamente i passivi e gli attivi rimanenti, per poi definire un piano di rientro. Che imporrà rimedi salutari, come i tagli alle spese inutili, la razionalizzazione delle partecipate, la riorganizzazione interna dell’ente, la fine delle consulenze, delle pratiche spartitorie, del posto in più a tavola. Niente più tavole e tavolate: si sparecchia per sempre. Ma lascerà poco spazio ad azioni di ristoro, di conservazione, di manutenzione, di sistemazione dei tanti punti dolenti che la città si sente gravare addosso.
Ora, la domanda che mi faccio, e che si fanno in piazzetta, è la seguente: riusciranno i nostri eroi? Saranno meglio degli altri e faranno meglio di quanto pure loro son riusciti a fare quando è venuto il momento?
Domanda imbarazzante, gravida di sottintesi e di conseguenze nell’urna. A un osservatore attento, ma disinteressato qual sono io, sembra che le premesse non ci siano ancora. È cambiato il clima, dicono a Roma. La seconda Repubblica (e l’ultimo segmento della prima) è ormai un ricordo. Basta con gli incompetenti, con gli smaniosi, con le file alla porta. Le uniche file che contano sono quelle davanti alle sedi di Equitalia. Basta con le parole sopra le righe, le invenzioni spillasoldi, i trucchetti da illusionisti, le camarille dietro l’occhio delle telecamere. Tocca a tutti, furbi inclusi stavolta.
E basta con le liste di proprietà, che uno ci mette il nome sopra per non confondersi, basta con la listarella che serve soltanto a mettere un paletto per personali egoismi, basta con la moda delle liste civiche. Che i partiti facciano i partiti, senza mascherarsi dietro questi orpelli. Se la situazione è tanto grave, si provveda con una coalizione alla luce del sole, oppure con una destra che faccia la destra e una sinistra che faccia la sinistra. Altrimenti arriveranno i tecnici e la politica perderà anche gli ultimi miserrimi punti di gradimento a cui si tiene aggrappata nei sondaggi.
A Roma. Ma questo vento è arrivato qui da noi? Tutt’al più uno spiffero, mi pare.
Stiamo per entrare in campagna elettorale con più liste delle volte precedenti e altre fremono per farsi avanti. Abbiamo un sindaco in cerca di riconferma che fa scrivere disinvoltamente sui muri: “Piercarlo per il bene della città”. Abbiamo una sinistra frammentata e frammentaria, che si porta dietro le stimmate del passato e le vede ricomparire dietro altre facce, altri competitori, altre liste. E la campagna, tra i mugugni degli alessandrini, non decolla.
Eppure, ci sarà ben qualcuno che dovrà dire qui le stesse cose dette a Roma. Non c’è bisogno di tecnici? Bene. Allora tocca ai politici farsi avanti. Niente promesse, non se ne può più. Solo garanzie. E gli alessandrini ne vogliono avere tante.
Andiamo ad elezioni. Alessandria dovrebbe interrogarsi sul proprio futuro, ma teme che sia un esercizio sterile, sommerso da questo suo precario, malmostoso presente. E già! Dove vai, se non c’è un euro? Se ne vedevano già pochi per via della situazione generale del Paese, ne circolavano già meno che altrove, perché – diciamocelo – non siamo mai stati fulmini di guerra nelle imprese. Una piccola borghesia commerciale dietro il bancone, una piccola borghesia impiegatizia dietro una cattedra o lo sportello di un ente, una pattuglietta sempre più risicata di operai e artigiani. Questa, alla fine, era Alessandria quando le cose andavano bene. La prosperità? Previdente accumulo di secoli, di generazione in generazione.
Ora, però, con il commercio falcidiato dal rumore delle serrande, l’impiego “di una vita” messo in dubbio dalla chiusura degli sportelli, il salario smagrito dalla crisi e dalle nuove imposizioni fiscali, come si fa a credere nei miracoli? E il tesoretto accumulato, quanto dura?
Aggiungete a questo quadro il debito locale. Ne abbiamo sentite e lette tante, ma di una cosa siamo sicuri: se gli enti in genere non han soldi da spendere, il Comune ha debiti. Quanto? 10-20-30 milioni? Di più? Peggio mi sento. Quali che siano, sempre troppi. Tanti. C’è l’impressione, temo fondata, che questo debito ci finirà sulla schiena e ci farà stramazzare definitivamente.
Non so cosa pensi il centrodestra, dietro la facciata (e i manifesti elettorali) di circostanza. Ma so cosa pensa il centrosinistra. Non sarà possibile impostare politiche di sviluppo, forse non vale neanche la pena pensarle, finché avremo questa macina intorno al collo. Anzi, la priorità delle priorità, nella prospettiva di una vittoria, è quella di verificare bene i conti, valutare attentamente i passivi e gli attivi rimanenti, per poi definire un piano di rientro. Che imporrà rimedi salutari, come i tagli alle spese inutili, la razionalizzazione delle partecipate, la riorganizzazione interna dell’ente, la fine delle consulenze, delle pratiche spartitorie, del posto in più a tavola. Niente più tavole e tavolate: si sparecchia per sempre. Ma lascerà poco spazio ad azioni di ristoro, di conservazione, di manutenzione, di sistemazione dei tanti punti dolenti che la città si sente gravare addosso.
Ora, la domanda che mi faccio, e che si fanno in piazzetta, è la seguente: riusciranno i nostri eroi? Saranno meglio degli altri e faranno meglio di quanto pure loro son riusciti a fare quando è venuto il momento?
Domanda imbarazzante, gravida di sottintesi e di conseguenze nell’urna. A un osservatore attento, ma disinteressato qual sono io, sembra che le premesse non ci siano ancora. È cambiato il clima, dicono a Roma. La seconda Repubblica (e l’ultimo segmento della prima) è ormai un ricordo. Basta con gli incompetenti, con gli smaniosi, con le file alla porta. Le uniche file che contano sono quelle davanti alle sedi di Equitalia. Basta con le parole sopra le righe, le invenzioni spillasoldi, i trucchetti da illusionisti, le camarille dietro l’occhio delle telecamere. Tocca a tutti, furbi inclusi stavolta.
E basta con le liste di proprietà, che uno ci mette il nome sopra per non confondersi, basta con la listarella che serve soltanto a mettere un paletto per personali egoismi, basta con la moda delle liste civiche. Che i partiti facciano i partiti, senza mascherarsi dietro questi orpelli. Se la situazione è tanto grave, si provveda con una coalizione alla luce del sole, oppure con una destra che faccia la destra e una sinistra che faccia la sinistra. Altrimenti arriveranno i tecnici e la politica perderà anche gli ultimi miserrimi punti di gradimento a cui si tiene aggrappata nei sondaggi.
A Roma. Ma questo vento è arrivato qui da noi? Tutt’al più uno spiffero, mi pare.
Stiamo per entrare in campagna elettorale con più liste delle volte precedenti e altre fremono per farsi avanti. Abbiamo un sindaco in cerca di riconferma che fa scrivere disinvoltamente sui muri: “Piercarlo per il bene della città”. Abbiamo una sinistra frammentata e frammentaria, che si porta dietro le stimmate del passato e le vede ricomparire dietro altre facce, altri competitori, altre liste. E la campagna, tra i mugugni degli alessandrini, non decolla.
Eppure, ci sarà ben qualcuno che dovrà dire qui le stesse cose dette a Roma. Non c’è bisogno di tecnici? Bene. Allora tocca ai politici farsi avanti. Niente promesse, non se ne può più. Solo garanzie. E gli alessandrini ne vogliono avere tante.
[tratto da Città Futura]