Massobrio: “Quel treno del gusto che non si è più fermato”
Papillon, Golosario e Guida Critica & Golosa sono i fiori allocchiello della sua casa editrice. Ma ci sono anche Il Salotto di Papillon, Golosaria, e soprattutto le sfide future. Una conversazione a tutto campo con il famoso giornalista enogastronomico, alla scoperta delle sue forti radici monferrino-alessandrine
Papillon, Golosario e Guida Critica & Golosa sono i fiori all?occhiello della sua casa editrice. Ma ci sono anche Il Salotto di Papillon, Golosaria, e soprattutto le sfide future. Una conversazione a tutto campo con il famoso giornalista ?enogastronomico?, alla scoperta delle sue forti radici monferrino-alessandrine
Un buon aroma di ‘toscano’ pervade l’ufficio del direttore di Papillon, del Golosario e della Guida Critica & Golosa. E crea un’atmosfera ‘casalinga’, apripista ad una chiacchierata informale ma assai ‘sostanziosa’.
Paolo Massobrio, lei è un esempio di imprenditoria editoriale dinamica, partita da un’idea germogliata tra amici, e che ha conquistato ampi mercati. Possiamo dire che tutto ciò è poco alessandrino?
Ma no, io non amo denigrare Alessandria, anzi la amo e ne sono un estimatore. Consideri che per me, ragazzino di Masio (anzi, di Abazia di Masio) Alessandria negli anni Settanta era la città, le prime spedizioni adolescenziali in corriera il sabato pomeriggio per andare in Corso Roma, o meglio ancora in libreria, e a mangiare la farinata da Savino. E quando ho conosciuto la mia fidanzata, milanese, e che poi divenne mia moglie, e madre dei miei tre figli, appena potevo la convincevo a trascorrere qui i week end.
Per una milanese, una botta di vita da brividi…
Diciamo che si è resa ben presto conto di quanto per me contassero queste terre, e ha imparato ad apprezzarne gli aspetti positivi. Comunque anch’io sono nato a Milano, da genitori masiesi. Mio padre lavorava in banca nel capoluogo lombardo, e i miei si trasferirono. Mantenendo però saldissime radici, e la casa, ad Abazia.
Ma lei quando studiava all’università voleva fare da grande il giornalista enogastronomico?
Naturalmente no. Ho studiato scienze politiche all’Università Cattolica, e mi sono laureato con una tesi in statistica economica dedicata al mondo del vino in Italia. Ebbi la fortuna e l’onore di avere come contro relatore il preside della facoltà, e produttore di vino, prof. Miglio. Il che fece ‘rimbalzare’ i risultati della tesi su alcune testate, generaliste e specializzate. Da lì i primi contatti per scrivere articoli sui giornali enogastronomici. E ricordo che, per capirne di più, feci anche il mio primo corso da somellier. Ma io volevo fare il giornalista politico, naturalmente.
E poi, cosa le ha fatto cambiare idea?
Era il 1986, l’anno del grande scandalo del metanolo che colpì duramente il Piemonte. Avevo 25 anni, e stavo facendo il militare a Castel d’Annone, e il settimanale nazionale Il Sabato, con cui collaboravo, mi chiese di occuparmene. Da lì partì tutto, e scoprii un mondo, e soprattutto persone straordinarie che me lo fecero amare.
Uno su tutti?
Giacomo Bologna, una figura straordinaria che definire solo produttore di vino sarebbe poco. Era un filosofo, un profondo conoscitore dell’animo umano. E poi era della mia terra, Masio e Rocchetta Tanaro sono ‘ad un tiro di schioppo’. Oltre a Giacomo conobbi Bruno Lauzi, Paolo Frola, tanto per citarle figure pubbliche. E nacque nel tempo un progetto di lavoro, ma anche di vita. Naturalmente nel frattempo feci per dieci anni, dal 1987, il capo ufficio stampa della Coldiretti a Torino, e questo mi diede modo di approfondire la conoscenza del mondo enogastronomico piemontese, e dei suoi protagonisti.
Come nacque l’idea di Papillon, ‘periodico di sopravvivenza enogastronomica’, oggi rivista patinata da lettura ma anche da collezione, di cui sono già usciti 62 numeri?
Era il 1991, vivevo in via San Lorenzo, e lavoravo a Torino, e in quegli anni scoprivo il valore del marketing applicato all’enogastronomia. Avevo cominciato, grazie a Edoardo Raspelli, a collaborare anche con La Stampa, e insieme ad un amico, Sandro Bocchio, oggi giornalista a Tuttosport, ci chiedemmo: possibile che si parli così poco dei nostri ristoranti, della qualità del cibo e dei vini del nostro territorio? A settembre 1991 riuscimmo a mandare in edicola il primo numero di Papillon. Ricordo benissimo ancora oggi la delusione, da editore neofita: 7.000 copie stampate, 6.000 poi restituiteci dal distributore, e che noi neanche sapevamo dove mettere. Pensavamo di avere fatto flop, e invece quelle prime 1.000 copie vendute furono un successo, un seme su cui poi abbiamo lavorato…
La Guida Critica & Golosa nacque subito dopo?
Sì, era il 1992, e infatti l’edizione di quest’anno (più ricca e dedicata al meglio dell’enogastronomia di Piemonte, Val D’Aosta, Lombardia e Liguria) festeggia il ventennale. E da lì venne tutto il resto. Aggiungo che nel 1990 era prematuramente scomparso Giacomo Bologna, da cui ho imparato tantissimo. Per ricordarlo a modo suo, organizzammo nel 1993 un treno dell’enogastronomia, con tappe a Asti, Rocchetta Tanaro, Alessandria, Sartirana, Mortara, Serralunga di Crea, e di nuovo Asti. Fu un successo insperato in quelle proporzioni, e un evento di cui parlarono in tanti: ad ogni fermata c’erano produttori locali, e tanti semplici estimatori dell’enogastronomia del territorio, oltre che amici di Bologna. C’erano 150 persone su quel treno, e 5.000 nelle stazioni.
Possiamo dire che quel treno non si più fermato?
Direi di sì. Il Club di Papillon, che oggi è una realtà radicata in tutta Italia, nacque lì: dall’idea di mettere insieme produttori, ristoratori e appassionati. Non un club di addetti ai lavori insomma, ma una vera comunità allargata. Papillon cominciò ad uscire regolarmente tre volte all’anno, e comiciarono gli eventi, o meglio i riti, come li chiamavano e chiamiamo. Il rito della bagna caoda, ad esempio. O quello della ‘cassoeula’. Ricordo che proprio nei giorni in cui era programmato l’incontro dedicato al piatto tipico della tradizione lombarda ci fu l’alluvione del novembre 1994, che distrusse mezza Alessandria, compresi tanti ristoranti che avevano aderito all’iniziativa. Volevo annullare tutto, per rispetto. Ma in tanti mi dissero no: facciamolo lo stesso, diamo alla città il segnale che non ci arrendiamo, che si riparte subito. Si fece a Vignale, con sottoscrizione per gli alluvionati, dai risultati in verità modesti. In compenso però il nostro appello pro alluvionati fu raccolto dalla città di Padova, dove il Club di Papillon raccolse ben 300 milioni di lire in poche settimane: andammo a ritirarli in maniera ufficiale con il sindaco Francesca Calvo, e lì capii che il nostro progetto poteva e doveva essere anche un sostegno, una risposta ai bisogni delle persone, e del territorio.
Nei secondi anni Novanta e nei Duemila sono poi arrivati Il Salotto di Papillon, Golosaria e la valorizzazione del territorio piemontese, e alessandrino in particolare.
Esattamente. Mi sembra ieri, ma era il 1999, che parlavo del progetto del Salotto di Papillon con Carlin Petrin, e lui mi disse: ‘devi farlo’. Con Golosaria poi, nel 2002, riportammo gli alessandrini in Cittadella dopo tanto tempo, e fu un onore contribuire a valorizzare un’area di quel livello. Oggi però guardiamo avanti, assolutamente oltre la crisi, e convinti che la filiera ‘sana’ della nostra enogastronomia ce la farà, puntando sulla qualità che sa offrire, al giusto prezzo. La sfida del futuro si chiama Expo 2015, grande vetrina internazionale in cui valorizzare il brand Monferrato. Bisogna fare sempre più sistema, essere più forti per far fronte anche a momenti certamente non felici. Come editore, poi, noi di Comunica da un paio d’anni stiamo investendo molto in innovazione, e dalle nuove applicazioni legate a web e I Pad stanno arrivando risultati davvero lusinghieri. Alla crisi si può reagire solo in positivo: osando e innovando.
Alle sue spalle c’è una foto di Don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione: c’entra con tutta la sua storia professionale, e con il riferimento ai bisogni?
Tantissimo: al di là del fatto che il Club di Papillon si è sviluppato nel contesto della Compagnia delle Opere, il pensiero di Don Giussani, la sua prossimità e il suo amore per l’altro mi hanno ispirato fin dai tempi delle medie, e quindi tutto quel che ho fatto dopo c’entra, eccome, con lui. Era un uomo curioso, anche sul fronte del vino voleva capire, assaggiare, cogliere l’aroma, ma anche tutto quel che c’era dietro.
Nell’altra foto appesa al muro del suo ufficio un Massobrio un po’ emozionato ritira un premio dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano…
Sì, è il premio Saint Vincent di giornalismo, che mi fu conferito se ben ricordo nel 2006. Napolitano era presidente da pochi mesi, e riceverlo dalle sue mani fu certamente un onore.
Chiudiamo tornando alle sue radici masiesi: anche Urbano Cairo, editore di successo, è di Abazia di Masio. Vi conoscete?
E come no…io ho pochi anni meno di lui, e mio fratello qualcuno di più. Ma aspetti che forse…(a questo punto Massobrio estrae dal cassetto alcuni fogli di quaderno a righe, con pagine compilate con una bella grafia da ragazzino)…ecco qui: sono fotocopie, perché mio fratello dice che l’originale lo tiene lui, o io lo perdo. Sono le cronache che io, a 11 o 12 anni, facevo delle partite di calcio dei ragazzi più grandi di me, d’estate ad Abazia. E nella formazione, eccolo qua, c’è naturalmente anche Urbano Cairo. Come vede, ho deciso da giovanissimo che da grande avrei fatto il giornalista…..