Marcia della Pace e centralità dello scenario mediterraneo
Forse qualcuno si è chiesto per quale ragione a tema della Marcia per la Pace del 31 dicembre 2011 non si è scelta una delle tante situazioni di conflitto che ancora segnano il nostro mondo; o il tema delle stragi di cristiani qua e là per i Continenti; o la messa a fuoco della tragica situazione della Siria. Si è scelto invece un tema più generale: Mediterraneo di Pace.
Forse qualcuno si è chiesto per quale ragione a tema della Marcia per la Pace del 31 dicembre 2011 non si è scelta una delle tante situazioni di conflitto che ancora segnano il nostro mondo; o il tema delle stragi di cristiani qua e là per i Continenti; o la messa a fuoco della tragica situazione della Siria. Si è scelto invece un tema più generale: Mediterraneo di Pace.
Mentre i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo erano e sono presi dall’ansia per il possibile crollo del loro stato di benessere – spesso sopra le righe del possibile e del reale –, distratti da una visione economicistica della realtà, assopiti e drogati da una “cultura” massmediale semplificatrice della complessità dell’esistenza e del mondo con una lettura manichea dei mondi diversi dal proprio, che in fondo sembrava riassumersi nell’ideologia dell’”avere è potere”, nella sponda meridionale del Mare Nostrum sono nati moti spontanei di giovani e donne, lavoratori e intellettuali, borghesi e contadini, che il neocolonialismo occidentale ha sempre considerati succubi, di scarsa cultura, consegnati ad una religione medievale e illiberale. In realtà, sotto la cenere sparsa a pine mani dalle dittature sostenute dall’Occidente stava maturando una nuova coscienza per la quale tutte le fasce della popolazione si sono mobilitate, senza che ci fosse un partito o un’organizzazione che li inquadrasse, per rivendicare “pane e giustizia”, libertà e partecipazione. Mossa da un’istintiva percezione delle ingiustizie sociali, delle sperequazioni economiche e della mancanza di spazi espressivi, la moltitudine, senza differenze di ceto o di genere, ha contestato spontaneamente il potere in essere, esercitando una democrazia diretta, in cui le decisioni erano prese collettivamente senza la preventiva necessità d’inquadrarsi in formazioni politiche predeterminate. Abbiamo ritenuto che questi fossero segnali importanti anche per l’Occidente, che guarda a volte con sufficienza gli indignados nostrani, che del resto poco spazio, poca voce, poca partecipazione hanno avuto in Europa – salvo il caso spagnolo e greco e, forse, il caso della mobilitazione delle donne italiane, “Se non ora, quando”, che non mi sembra possa essere ridotto a semplice e semplicistico movimento antiberlusconiano.
Resto profondamente convinto della necessità di una nuova Utopia che accomunando le due sponde mediterranee sotto comuni e condivise “parole guida” di un movimento di indignazione, porti a costruire qualcosa di nuovo rispetto alla senescenza dell’Europa (guidata non più da grandi ideali sociali e politici, ma da spread, btp, bond, euro, finanza, borsa, … senza più nessuna centralità dell’Uomo) e rispetto alle rivolte della “Primavera araba” dove la democrazia non riusciva a esprimersi e ad affermarsi sia per un’apparente passività dei popoli, sia per le strutture politiche decisamente autoritarie, poliziesche e dittatoriali, sostenute e foraggiate dal neocolonialismo europeo e americano. Le rivolte della primavera araba possono forse essere comprese nella categoria dei “tumulti”, dove il termine tumulto ha un connotato positivo: vuole indicare una conflittualità diffusa, sostenuta e alimentata dai “movimenti” giovanili e femminili, studenteschi e della società civile, dove le parole d’ordine sono appunto democrazia, diritti umani, dignità, che possono essere appunto parole condivise anche dall’Europa, perché radicalmente disattese nei fatti e nelle scelte anche da noi. Ma sono le parole, appunto, che potrebbero essere il fondamento di un “Mediterraneo di Pace”.
Enormi punti interrogativi prevalgono da noi sugli sviluppi futuri e sulla forza di chi vuol mantenere, sulla sponda sud e su quella nord del Mediterraneo, lo status quo dell’autoritarismo politico e/o economico.
“Un fantasma si aggira per il Sud del Mediterraneo; lo spettro dell’islamismo!”.
Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica LiMes, ha messo in guardia dalle sfide che attendono europei, e in particolare noi italiani, di fronte a uno scenario mediorientale e nordafricano in mutamento. Caracciolo ha delineato l’emergere di un fronte reazionario, guidato dai sauditi e dal Qatar e sostenuto da Washington (che ha appena approvato la vendita all’Arabia saudita di armi per un valore di 60 miliardi di dollari! nda), forte del braccio mediatico di al-Jazira. Dice, tra l’altro, Caracciolo: “Il rapido declino delle istanze laiche e progressiste nelle piazze arabe e nordafricane, in parallelo all´emergere di vari gruppi islamisti, dagli scaltri Fratelli Musulmani agli estremisti salafiti, spesso d´intesa con gli autocrati sunniti del Golfo, Qatar in testa”; “Il parallelo riaffermarsi delle Forze armate come centro del potere egiziano, non scalfibile dalle formazioni politiche emergenti”; “Il riesplodere degli istinti antisraeliani e antisemiti al Cairo e altrove”; “La parossistica tensione fra Arabia Saudita e Iran, dopo il presunto tentativo iraniano di assassinare l´ambasciatore saudita a Washington”. Non possiamo analizzare punto per punto; posso solo dire che sono affermazioni che hanno come chiave di lettura di quanto sta accadendo nel mondo Arabo l’assolutizzazione delle nostre categorie di lettura e di interpretazione. Facciamocene una ragione: le nostre categorie non sono sempre universali e immanenti. Chi pensa così pensa con le lenti con cui ha letto il Medio Oriente nei decenni passati, ma non si è mai fatto una passeggiata a parlare con i giovani, musulmani, che da quasi un anno sono mobilitati. I giovani di piazza Tahrir hanno già dimostrato di essere consapevoli che le loro società devono superare le vecchie dicotomie Islam-democrazia, Oriente-Occidente, libertà-tradizione. Per essere una vera rivoluzione quella araba deve cambiare l’economia e per farlo deve cominciare cambiando la cultura puntando a costruire un sistema di relazioni interpersonali basato sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Possiamo essere ottimisti? Le società arabe hanno attuato una presa di coscienza di sé. Ora non possono che andare avanti e la loro marcia inevitabilmente punterà sull’Arabia Saudita, ultimo baluardo del neocolonialismo occidentale. Per intanto passerà per Damasco, tappa importantissima per liberare quello che è stato il Levante dalle tenebre delle dittature. Il mondo arabo ha bisogno di una nuova “nahda”, una nuova “rinascita”, come quella che i regimi, complice l’Occidente, assassinarono a metà del Novecento. Ma anche la vecchia, decrepita, Europa ha bisogno della stessa rinascita. Perciò non pregiudizi e diffidenza snob e coloniale, ma sostegno e alleanza! Per un Mediterraneo dove la Pace sia un’Utopia finalmente realizzata.