Mortara: “Una bambina mi ha chiesto: fate tornare la mia mamma”
Cinquecento persone beneficiano della mensa, circa 150 della struttura notturna di accoglienza. Ma è solo un segno, lemergenza cresce costantemente, sottolinea il direttore della Caritas alessandrina. Che racconta storie di ordinario disagio, e chiede aiuto a privati e istituzioni
Cinquecento persone beneficiano della mensa, circa 150 della struttura notturna di accoglienza. ?Ma è solo un ?segno?, l?emergenza cresce costantemente?, sottolinea il direttore della Caritas alessandrina. Che racconta storie di ordinario disagio, e chiede aiuto a privati e istituzioni
Dottor Mortara, quarant’anni sono credo più o meno la sua età anagrafica: da quanto tempo lavora per Caritas?
Ne ho 42, per la precisione. Sono responsabile della struttura diocesana da cinque anni, ma di fatto sono nel settore dal 1991, quando entrai in contatto con Caritas come obiettore di coscienza. Da allora il rapporto è sempre proseguito, con forme e ruoli via via diversi.
Quindi è stato testimone di una trasformazione ventennale delle esigenze e delle richieste che Caritas ogni giorno cerca di soddisfare…
Esattamente, e a pensarci in un’ottica di inquadramento storico non è che ci sia da stare allegri. Nel senso che, in vent’anni, la situazione complessiva legata al disagio sociale e alla povertà in questo Paese, e ad Alessandria per quanto ci riguarda, è decisamente peggiorata. Non che negli anni Novanta fossimo tutti ricchi: ma esisteva una rete di welfare diffuso decisamente più forte e capillare, capace di attenuare la gravità delle emergenze.
E poi la situazione stranieri era decisamente meno drammatica, immagino…
Io ricordo di aver vissuto la prima ondata migratoria, successiva al crollo dei regimi dell’est Europa. Nascevano i primi centri di accoglienza, e ci si doveva attrezzare per gestire una situazione assolutamente nuova. Ma la nostra società aveva all’epoca anche un’economia più dinamica e vivace. E queste persone trovavano impiego sia nelle fabbriche che in agricoltura, e potevano, rimboccandosi le maniche, conquistare un reddito stabile, una casa, e quindi il ricongiungimento famigliare. Pensi che diversi degli immigrati di allora sono rimasti legati a Caritas, ci passano a trovare, ci fanno partecipi degli eventi più importanti della loro vita, come il matrimonio o la nascita dei figli. Il dramma è che, negli ultimi tempi, non pochi di loro stanno tornando a chiederci aiuto……
Povertà di ritorno?
Assai diffusa purtroppo, e non farei tanta distinzione tra italiani e stranieri, perché si tratta, sempre e soltanto, di persone in difficoltà. Il vantaggio per molti italiani (ma non tutti) è l’esistenza di una rete famigliare di protezione, che consente comunque spesso di ‘attutire’ il disagio. E mi riferisco, badi bene, al disagio nel senso più ampio: non solo il bisogno primario di cibo, vestiti e un tetto sotto cui dormire. Ci sono tanti casi di precarietà anche psicologica, di difficoltà relazionali..
Chissà quanti casi emblematici, quante storie vere e tristi sono passate di qui dottor Mortara….
Gliene racconto una di pochi giorni fa, che mi ha molto scosso, e commosso. E’ venuta a trovarci, accompagnata da un famigliare, una ragazza adolescente, 14 o 15 anni: straniera ma che parla un perfetto italiano. E non ci ha chiesto aiuto materiale, ma molto di più: ha detto ‘per favore fate tornare a casa la mia mamma, ne abbiamo bisogno’. I genitori sono in carcere, per motivi che non conoscono e non mi riguardano. Ma mi ha colpito che la ragazza non abbia minimamente cercato di scagionarli, di professare innocenza o altro. Ha detto solo, con grande maturità: ‘il mio fratellino ha bisogno della sua mamma’.
E in questi casi voi cosa potete fare?
Noi abbiamo un canale di dialogo aperto con il carcere di Alessandria, e con altri della regione. Per cui cercheremo di attivarci per trovare a questa donna un lavoro esterno, una qualche formula che le consenta di trascorrere con i suoi figli almeno un po’ del suo tempo. Mi sembra davvero importante…
L’inverno è ormai arrivato, la crisi ‘morde’: le vostre strutture di accoglienza sono pronte a ricevere una prevedibile ondata di nuove richieste?
Faremo il possibile e l’impossibile, come sempre. Nel 2011 hanno frequentato la nostra mensa dalle 400 alle 500 persone (naturalmente non tutti i giorni, non ce la faremmo), e il nostro dormitorio 150-160 persone senza fissa dimora. Abbiamo uno sportello d’ascolto che ogni anno incontra circa 2.500 persone, e cerca di aiutarle a risolvere i piccoli e grandi problemi quotidiani. Temo anch’io che siano numeri destinati ad aumentare ancora. Noi abbiamo solo 30 posti letto, che a breve saranno cinquanta. Ma non manderemo mai via nessuno, è contrario allo spirito della nostra iniziativa, del nostro progetto. Sta di fatto che il nostro, quello della Cura, è un ‘segno’: non può essere la risposta strutturale alle emergenze di un territorio.
Ma Caritas non è sola: chi c’è al vostro fianco?
Possiamo contate sull’appoggio di un’importante rete di associazioni di volontariato, e sulla sensibilità di una parte crescente della popolazione. E non mi riferisco solo a chi dona 10 o 20 euro, o anche di più in rapporto alle possibilità. Ci sono tanti modi per dimostrarsi attenti all’altro in difficoltà. So di vicini di casa che si aiutano tra loro, ad esempio. E poche settimane fa ho incontrato io, al nostro sportello qui sotto, un’anziana pensionata che ci ha detto: ‘vivo con la minima, di più non posso, ma vi ho comprato due ceste di insalata’. Sono gesti che aprono il cuore alla speranza, nonostante tutto.
E le istituzioni pubbliche?
Nessuna intenzione di essere polemico: so bene quale momento di emergenza stia attraversando tutto il Paese, enti locali compresi. Tuttavia sarebbe opportuno che chi è ai vertici delle istituzioni locali provasse a venire a toccare con mano qual è la situazione, come l’emergenza cresce di settimana in settimana. E quindi, di conseguenza, cercasse di prevedere, nei bilanci 2012 una quota crescente di risorse da mettere a disposizione (non solo attraverso Caritas, naturalmente) dei poveri, degli ultimi e di chi insomma non ce la fa, e tende una mano in cerca di aiuto.