Kovacic: “Alessandria ha ancora bisogno di sinistra”
Fieramente comunista, al contrario di tanti miei compagni di un tempo che hanno rimosso, il candidato sindaco dei Comunisti Sinistra Popolare illustra le sue priorità per rendere la città migliore e più vivibile. E ci regala alcuni cenni e ricordi di una vita certamente non ordinaria
Fieramente comunista, ?al contrario di tanti miei compagni di un tempo che hanno rimosso?, il candidato sindaco dei Comunisti Sinistra Popolare illustra le sue priorità per rendere la città migliore e più vivibile. E ci regala alcuni cenni e ricordi di una vita certamente non ?ordinaria?
Signor Kovacic, cominciamo dalla fine: perché si candida per fare il sindaco a Palazzo Rosso?
Perché credo che un’alternativa di sinistra vera sia necessaria, e che per tante ragioni Rita Rossa (di cui pure sono amico: la ricordo capogruppo Psi in Comune nel 1992, quando io lo ero del Pci) non lo sia. Mi spiace davvero che i partiti di sinistra, dalla Federazione della Sinistra a Sel, non abbiano avuto neppure la forza di presentare un loro candidato alle primarie: è stato un segnale di estrema debolezza. Per cui io ci provo, ancora una volta, a dar voce agli ultimi, ai poveri e agli sfruttati. Che ci sono sempre, lo sappiamo bene, anche se parlarne non va di moda.
Le mode di questi tempi cambiano rapidamente però. Raccontiamo ai nostri lettori chi è Renato Kovacic? Per i più legati alle cronache recenti lei è solo l’uomo delle catene. E invece?
Invece ho fatto un po’ di cose, anche prima dell’ultima stagione, diciamo così. Anche se le catene sono un mezzo per accendere i riflettori su problemi reali, e le uso intenzionalmente. Ho 60 anni, e sono un profugo istriano. Dico sempre che quelli come me sono italiani due volte: per nascita, e poi per scelta. Comunque da bambino, nel 1956, con la mia famiglia ho vissuto un anno a Udine, e poi sono arrivato in provincia di Alessandria. Tortona, per la precisione.
All’interno della famosa caserma Passalacqua, oggi sede del Comune?
Esattamente. Per una vita uguale identica a quella che oggi fanno gli stranieri in arrivo dal nord Africa: grandi cameroni con famiglie separate da coperte appese come tende, al posto dei muri. E grande diffidenza di buona parte della popolazione. Ricordo una maestra alle elementari che proprio non capiva che noi avevamo perso tutto, e parlavamo solo dialetto veneto, perché così era in casa. Poi da Tortona i miei furono mandati ad Alessandria, al villaggio profughi in fondo al Cristo, dove oggi c’è il ‘cupolone’. Anche lì, un ghetto. E mio fratello ed io, come gli altri bambini, per qualche anno andammo in collegio a Pesaro, per consentire ai genitori di trovarsi un lavoro e sopravvivere.
Kovacic, quando lei diventa comunista e perché?
Avrò avuto vent’anni, o poco più. Nel 1972, dopo vari altri lavori, vengo assunto in fabbrica, alla Michelin di Spinetta. All’epoca, lo dico per i ragazzi di oggi, dopo 15 giorni di prova se andavi bene eri assunto, a tempo indeterminato e con le tutele credo di civiltà che oggi si negano a gran parte dei lavoratori più giovani. Però per quei diritti si lottava, e senza paura. E mi accorsi che a lottare più degli altri, e anche per gli altri, erano i comunisti. Per questo mi iscrissi sia alla Cgil che al Pci. Rimanendo poi comunisti anche quando tanti altri si sono pentiti. Ma pentiti di cosa? Comunque, in quegli anni Settanta in fabbrica con me, e nel sindacato, c’erano Salvatore Del Rio e Giorgio Bertolo. E come collega avevo anche Vincenzo Demarte, che poi prese strade professionali e politiche diverse.
Lei è anche consigliere comunale emerito di Palazzo Rosso. Quanto tempo è stato in consiglio?
Dal 1983 al 1992 direi, e spero che la memoria non mi inganni. Sono stati anni importanti, in cui ho sempre cercato di portare avanti gli ideali in cui credo. Ma più significativo ancora è stato l’impegno nel mondo delle associazioni di volontariato a sostegno, in particolare, del popolo palestinese. Ho conosciuto allora la mia amica Mara Scagni, che non era ancora in politica. Io per Italia Iugoslavia, lei per Italia Urss ci occupavamo degli ultimi, di chi aveva bisogno. Ricordo che riuscimmo a dare assistenza a 65 bambini palestinesi, e a farli studiare. E ho ancora a casa le foto di Arafat, un politico che ho molto amato.
Lei ha sostenuto Mara Scagni anche durante il suo mandato di sindaco?
Certo, e dopo la sconfitta del 2007 ho subìto dai compagni dei Comunisti italiani, di cui ero segretario cittadino, un duro processo interno. Oggi io sono sempre comunista, quelli che mi contestarono sono sparpagliati tra il Pd e altri partiti riformisti. E’ il bello della politica, no?
Ma lei Kovacic, se gli alessandrini la eleggessero sindaco cosa farebbe? Si rende conto che è una “gatta da pelare” di quelle dure?
Lo so bene, ma farei alcune scelte semplici, e comprensibili a tutti. Innanzitutto direi ai cittadini come sono messi i conti, veramente, perché tutti sappiano. Oggi non è mica così…Poi direi: cari alessandrini, ci sono tre priorità da perseguire: un lavoro decoroso per tutti; una casa per tutti, senza speculazione immobiliari (una volta si diceva: ‘il 10% del salario è l’affitto proletario’), una città vivibile sul piano degli spostamenti e dell’inquinamento, in cui anche gli anziani possano muoversi senza paura.
Non entriamo nel merito della sua grave malattia, e della vicenda professionale con Aristor, anche perché se ne è parlato a lungo. Oggi lei è reintegrato, e questo solo conta. Cosa ha imparato però da quell’esperienza?
Ah, guardi, ho avuto la conferma che ci sono persone che utilizzano le risorse pubbliche come fossero le loro, e forse anche che essere comunisti dichiarati risulta ancora scomodo. E poi ho scoperto che una persona che credevo amica, come Piercarlo Fabbio (abbiamo condiviso a lungo i banchi del consiglio, io nel Pci e lui nella Dc, e molto civilmente), diventando sindaco ha perso il senso delle cose. L’ho incontrato, dinanzi a testimoni, sotto i portici del Comune, e ho cercato nonostante tutto di salutarlo, dicendogli: ‘Piercarlo, guarda che io il saluto non te l’ho mica tolto’. Sa cosa mi ha risposto? ‘Ma io sì’….