Maurilio Guasco: “La mia vita tra Chiesa e Università, ma sempre alessandrino “
Docente emerito dellUniversità Avogadro, intellettuale con vaste esperienze europee, ma anche prete e fondatore della comunità di San Paolo. Con don Maurilio Guasco abbiamo discusso di fede, di politica ma soprattutto di Alessandria, attraverso la lente di unesperienza personale straordinaria
Docente emerito dell?Università Avogadro, intellettuale con vaste esperienze europee, ma anche prete e fondatore della comunità di San Paolo. Con don Maurilio Guasco abbiamo discusso di fede, di politica ma soprattutto di Alessandria, attraverso ?la lente? di un?esperienza personale straordinaria
Mi tolga subito dall’imbarazzo: preferisce essere chiamato professore, o don?
(sorride, ndr) Io sono sempre Maurilio, non c’è differenza. Faccia lei.
Allora partiamo dal don: vocazione precoce, o adulta?
Precocissima direi: sono entrato in seminario a 11 anni, qui ad Alessandria. Ma già alle elementari in sostanza avevo deciso che la Chiesa sarebbe stata la mia strada, probabilmente anche condizionato dall’ottimo rapporto che avevo con il parroco del mio paese, Solero. Sta di fatto che le mie zie erano contentissime, mentre mia madre, contadina saggia, mi diceva: ‘va bene, ma nel frattempo continua a studiare’. Perché all’epoca il seminario non era riconosciuto come corso di studi: per cui se alla fine del percorso, a 18 anni, decidevi di non prendere i voti, ti ritrovavi senza nulla in mano.
Lei prese sua madre molto sul serio: ha poi studiato tutta la vita…
Non solo: per molti anni ho studiato grazie ai suoi enormi sacrifici. Mio padre morì che ero bambino, ed eravamo 6 fratelli con in tutto un pezzo di terra, tanto per darle un’idea. Consideri poi che all’epoca all’interno del clero non tutti vedevano di buon occhio che un prete, o aspirante tale, studiasse anche altro. ‘Che me ne faccio dei preti che hanno studiato?, diceva un vescovo in quegli anni…e il suo punto di vista lo capivo anche. Ma per me lo studio è sempre stato parte essenziale della vita. Così dopo le medie sono riuscito a convincere i responsabili del seminario a lasciarsi iscrivere al ginnasio, e poi al liceo. Studiavo da privatista, e poi sostenevo gli esami al Plana. A quel punto don Luigi Martinengo, rettore del seminario di Alessandria e grande figura di uomo e sacerdote, era convintissimo che me ne sarei andato per la mia strada. Ma io il prete volevo proprio farlo, e pure l’università. Così per un anno mi iscrissi a Filosofia a Torino, poi, quando finalmente il vescovo diede l’autorizzazione, andai a studiare Teologia a Roma.
Esperienza importante?
Decisiva direi. Sempre grazie a mia mamma, alloggiavo al collegio Capranica, che era ed è la rampa di lancio di importanti carriere ecclesiastiche. Vissi e studiai con figure che sono poi state, e sono ancora, di primo piano all’interno della Chiesa. L’università era la Gregoriana, dove appunto mi laureai in Teologia dogmatica, con tanto di dottorato, pubblicazione della tesi e premio di un milione di lire. Che era parecchio per l’epoca, e dietro cui c’è un curioso aneddoto.
Ossia?
Ossia lo vinsi nel 1966, e per questioni burocratiche l’assegno mi arrivò cinque anni dopo. E pensare che mi avrebbe fatto assai comodo…non che, peraltro, sia andato sprecato. Ricordo che quando arrivò, stavamo mettendo in piedi la comunità di San Paolo, qui ad Alessandria: lo girai con una firma sul retro, e ci pagammo caldaia e termosifoni….
A quel punto lei era già prete quindi…
Certo, presi i voti mentre ero al terzo anno di Teologia: era il 23 settembre del 1962, a Solero, con monsignor Gagnor. Ma vorrei citare, come altra esperienza romana essenziale, la mia partecipazione, come ‘ragazzo di bottega’ addetto alle fotocopie e all’assistenza ai prelati, al Concilio del 1962: un momento essenziale per la vita della Chiesa naturalmente, e per me ventenne l’opportunità di stare, tutte le mattine, a stretto contatto con i vertici della comunità ecclesiale.
E’ di quegli anni anche la sua esperienza culturale parigina, vero?
Certo. Dal 1964 al 1966 vissi a lungo a Parigi, per studiare Sociologia. Anche perché pareva potesse esserci necessità di un sociologo all’interno dei seminari piemontesi, e io non me lo feci ripetere due volte. In parallelo lavoravo sulla tesi in Teologia, e frequentavo corsi e seminari di specializzazione con i maggiori pensatori francesi del periodo. Si sviluppò lì la mia attenzione ai temi della sociologia religiosa, e a quelli dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia e in Francia. Ma fu anche il periodo in cui scoprii e frequentai i preti operai francesi, scrivendo sul tema anche un libro.
Don Maurilio, siamo sinceri: a quel punto lei, giovane e brillante prete intellettuale che faceva la spola tra Roma e Parigi, che mai ci azzeccava ancora con Alessandria?
Io invece mi sentivo, come mi sono sempre sentito e mi sento tuttora, molto alessandrino. Per cui nel 1966, di ritorno dalla Francia, fui lieto del primo incarico di parrocchia: vice parroco a Sant’Alessandro, che all’epoca era il punto di riferimento della borghesia alessandrina più conservatrice. Figuriamoci, con la pessima fama che avevo io: e pensare che non avevo ancora combinato nulla di male! Comunque erano certamente anni di grande trasformazione, e io con il mio parroco, don Carlo, andavo d’accordo. Pensava che fossi matto, ma sapeva che lo avvisavo sempre prima di prendere certe iniziative, soprattutto pubbliche. Avevamo un rapporto leale.
Erano anni di forte trasformazione, nella società e probabilmente anche nella Chiesa. Nasce lì il progetto della comunità di San Paolo?
Dice bene, erano anni di cambiamento, e anche di conflitto. Tutto sembrava fare scandalo: io, sull’onda dell’esperienza francese, feci ad esempio una stagione come prete operaio allo zuccherificio, e le reazioni alessandrine può immaginarle. Ma soprattutto con i ragazzi e le ragazze dell’Azione Cattolica cominciai ad organizzare incontri misti, riunioni comuni: e fu scandalo. E ancora, ci fu nel 1968 una manifestazione cittadina contro la guerra in Vietnam: la organizzavano comunisti e socialisti, quindi i cattolici non parteciparono, perché all’epoca funzionava così. Io però andai lo stesso, e parlai dal palco come relatore. Apriti cielo! La comunità di San Paolo nasce in quel clima, nel 1969….
Ci dica come, e perché…
Io per la curia alessandrina ero una specie di mina vagante, anche se ho sempre avuto rapporti corretti e trasparenti con tutti i miei vescovi. Alla fine dei Sessanta continuavo il mio pendolarismo di studio tra Roma e Parigi, ma nel frattempo consolidai un rapporto di amicizia con un altro giovane prete intellettualmente vivace, mio coetaneo ma che aveva preso i voti dopo di me, in età adulta. Era don Giorgio Guala, e credo che sotto sotto in tanti si aspettassero che noi due, insieme, prima o poi avremmo combinato grossi guai. Il che peraltro non mi pare sia mai successo. Comunque ad un certo punto don Guido, segretario del vescovo, decise di tornare a fare il parroco: e noi chiediamo di andare a vivere per conto nostro, e con lui, per dedicarci tutti e tre insieme alla nascita di una nuova parrocchia, e di una comunità. Ci viene proposto di scegliere tra il quartiere Europista e San Baudolino, e optiamo per il primo. Partiamo da zero: affittiamo una casa, e ci andiamo a vivere in tre. La chiesa non c’era: all’inizio dicevamo messa nel sotterraneo. E ben presto ci raggiunse anche don Mario Martinengo, vice parroco a Solero.
Reazioni del quartiere?
Qualche diffidenza iniziale, e poi molta partecipazione. Anche perché la nostra scelta fu non solo di offrire i tradizionali ‘servizi religiosi’, ma di vivere tra la gente. Nacque ad esempio il primo comitato di quartiere, che si occupava di strade, trasporto pubblico, scuole. E il presidente era Giorgio Guala. Quell’area stava crescendo, mancava quasi tutto, e noi eravamo al fianco della gente per creare le condizioni di un miglioramento della qualità di vita di tutti. Diciamo che gli abitanti del quartiere erano con noi: la Curia un po’ più preoccupata. E ad un certo punto, una nuova svolta: decidemmo di adottare due fratelli, adolescenti. Avevano 15 e 14 anni, e ci furono regolarmente affidati dal giudice.
E quanto è durato l’affidamento?
Beh, un bel po’ direi. Anzi, ad un certo punto arrivò anche il loro terzo fratello, oltre a don Giampiero, e ad un altro ragazzo dalla Val d’Aosta. Insomma diventammo comunità vera e propria. I tre ragazzi sono cresciuti con noi, fino all’età adulta, prendendo poi la loro strada, ma restando in stretto contatto con la comunità di San Paolo. Che ha continuato ad esistere fino a tre anni. Io, che oggi vivo alla Casa del Clero, ho continuato ad abitarci fino all’ultimo.
Alla Casa del Clero lei è stato assai vicino a Monsignor Charrier (nella foto), fino alla sua recente scomparsa: come lo ricorda?
E’ stato un grande uomo di Chiesa, e una grande persona. L’ultimo suo discorso mi ha colpito: mi disse “don Maurilio, con il tuo percorso di vita ci hai insegnato la libertà” (la voce di Maurilio Guasco qui si incrina, facciamo una breve pausa e c’è un momento di commozione vera, ndr). Come ho già detto, con tutti i miei vescovi ho avuto rapporti correttissimi. Ma Charrier era senz’altro anche un amico.
Nel frattempo, professor Guasco, la sua carriera accademica si è sviluppata tra Torino e Alessandria: oggi, da docente emerito, che bilancio può trarre?
Personalmente molto positivo: quest’anno tengo ancora, a titolo gratuito essendo pensionato, il mio corso di Storia del Pensiero Politico all’ateneo Avogadro, dove ho insegnato dal 1992. Prima, dal 1973 fino al 1992, ho lavorato all’Università di Torino, con una parentesi importante (cinque anni, dal 1980 al 1985) all’Università di Padova, sede di Verona. In parallelo ho sempre insegnato, e insegno tuttora, Storia della Chiesa e Storia del Movimento Ecumenico in seminario, e sono assistente spirituale dell’Avulss e del Meic.
Professore, lei in tutti questi anni è stato anche un attento osservatore della vita sociale e politica del nostro territorio. Non le è mai venuto in mente di candidarsi in prima persona?
Posso dirle che mi è stato proposto di entrare in politica in almeno tre diversi momenti della mia vita. E ho sempre risposto ‘no grazie’. Già ho avuto due vite piuttosto impegnative, come uomo di Chiesa e come docente universitario. Non credo che avrei potuto viverne in parallelo una terza, anche se la politica è un settore decisivo della vita di una comunità, e certamente esorterei soprattutto i più giovani ad occuparsene in prima persona, per contribuire a migliorarla. Io con i politici, soprattutto locali, ho sempre cercato di dialogare in maniera costruttiva, anche per il mio ruolo all’interno dell’Istituto Storico per la Resistenza, dove sono direttore responsabile del Quaderno di storia contemporanea. Ma di diventare politico a mia volta no, davvero non sono mai stato tentato.