Viva il circo!
Nonostante le nostre giornate siano afflitte da qualche problemino più urgente, gli animalisti sono vigili e implacabili. Larrivo in Alessandria dellAmerican Circus ci viene presentato da alcuni come una infiltrazione di malfattori non sufficientemente contrastata dalla Pubblica Amministrazione
Nonostante le nostre giornate siano afflitte da qualche problemino più urgente, gli animalisti sono vigili e implacabili. L?arrivo in Alessandria dell?American Circus ci viene presentato da alcuni come una infiltrazione di malfattori non sufficientemente contrastata dalla Pubblica Amministrazione
Contemporaneamente, mi pare che tutti guardiamo con simpatia a taluni “lavoratori” a quattro zampe: ammiriamo il commissario Rex mentre subisce le esigenze di un set televisivo, sorridiamo alle gags antropomorfe di scimmie “sfruttate” dalla pubblicità, saremmo felici di essere a Vienna per assistere alle evoluzioni dei cavalli lipizzani (“costretti” a comportamenti per loro del tutto innaturali), e via citando. Alcuni di noi, appassionati di performances d’avanguardia, si entusiasmano per come la mitica compagnia “Zingaro” riesce a trasformare i cavalli in autentici attori. Altri – e qui si alzano le barricate – conservano un fanciullesco incanto nei confronti del circo tradizionale (e magari, ahi!, anche dello zoo).
Certo, dagli anni novanta i fantastici canadesi del “Cirque du Soleil” hanno conquistato il mondo con una spettacolarità esclusivamente basata sul corpo umano. Il “Nouveau Cirque” è diventato un genere teatrale apprezzato tanto quanto la danza contemporanea. I più raffinati impazziscono per il “Cirque Invisible” di Victoria Chaplin e Jean Baptiste Thierrée, due sublimi pazzi che “costringono” (pensate la crudeltà!) un gregge di oche conigli caprette a viaggiare con loro in roulotte.
Anche in nome di queste meravigliose alternative, è giunto il momento di decretare la morte del circo tradizionale? Il circo vero, “il più grande spettacolo del mondo”, quello di P.T. Barnum (1810/1892) che inventò le tre piste; quello degli elefanti, le creature più tenere della terra; quello delle storiche scuole russe e cinesi; quello degli Orfei e dei Togni, quello di Massimiliano Nones che con le sue tigri fu il primo domatore a vincere il Festival di Montecarlo; quello che possiamo considerare l’unico spettacolo, ormai, in grado di offrire un po’ di infantile meraviglia all’onnisciente popolo degli internauti.
Sempre uguale a se stesso, questo circo è sempre stato capace di riformarsi. Sono scomparse le attrazioni “selvatiche”, stanno scomparendo gli scimpanzé musicisti e i barboncini vestiti di pizzo. Le critiche agli animali in gabbia sono sempre esistite. In effetti, per secoli gli animali di circo hanno subito lo choc della cattura, la detenzione in spazi insostenibili, sistemi di addestramento crudeli, e abbattimenti sommari. Non è più così. I metodi di addestramento si sono avvicinati all’etologia e al rispetto del comportamento animale, alla valorizzazione della sua naturalezza. Ormai ciascun animale di circo ha una natura di cattività da almeno quattro-cinque generazioni, con scambi e forme di riproduzione fra i vari gruppi addestrati, da un continente all’altro. I domatori sono degli artisti che fanno rivivere sulla pista un Eden reale e insieme fiabesco. Vogliamo che i nostri bambini lo possano vedere solo nei cartoni animati oppure facendosi portare da papà in Kenya?
Anche per gli animali accetto convintamente l’armamentario della modernità: norme europee, controlli, certificazioni. Ma credo che pochi amino gli animali come la gente di circo; e non solo perché si tratta di risorse di lavoro, ma perché non si può vivere con gli animali se non si ama, senza proclami ecologistici, la natura. Il contadino che abitava vicino a mia nonna (nella cui odorosa stalla entrai come se mi incamminassi verso il Gran Burrone) amava la sua coppia di buoi certamente più di sua moglie. Erano i tempi in cui gli argini riuscivano a tenere la pioggia.