Massimo Poggio, il cinema, il teatro e la “sua” Alessandria
Reduce dal suo ultimo film 6 giorni sulla terra e svestiti i panni del professor Enea Pannone ne I Liceali, lattore de Il Compleanno, ci racconta dei suoi prossimi lavori a teatro e del suo amore per Alessandria "
Reduce dal suo ultimo film ?6 giorni sulla terra? e svestiti i panni del professor Enea Pannone ne ?I Liceali?, l?attore de ?Il Compleanno?, ci racconta dei suoi prossimi lavori a teatro e del suo amore per Alessandria "
Parlaci, allora, di questo ultimo lavoro che, a livello di genere cinematografico, si differenzia abbastanza dalle esperienze precedenti…
Si, si tratta di un film uscito nelle sale italiane (in pochissime, a dire la verità) a giugno di quest’anno, con la regia di Varo Venturi. E’ un film strano, perché parla di cose fantascientifiche – in maniera molto tecnica – , però c’è tutto un aspetto psicologico. Un film, per me, forse un po’ diverso dai precedenti, però è stato molto divertente farlo! E’ sicuramente un film coraggioso, perché fare un lungometraggio di questo genere con le risorse che si hanno in Italia, non è proprio semplice. Insomma, ho trovato il progetto interessante e ho sposato la causa!
E poi, un’altra tua anima è la televisione…
Che te dà da magnà…
…che ti porta nelle case degli italiani, ti fa diventare “quello della porta accanto”. Tra gli ultimi lavori “I liceali”. Mi chiedo, quanto ti somigli, ad esempio, Enea Pannone, il professore del liceo “Mamiani” di Roma.
Enea Pannone in realtà mi somiglia molto. In questa serie, ho proprio cercato di fare qualcosa che fosse abbastanza vicino a me. Poi, per altri versi, è invece lontanissimo: fa l’insegnante di matematica e fisica in un liceo… cose di cui io non so niente, perché non ho studiato abbastanza per conoscerle. Però nel rapporto con i ragazzi ho tentato di mettere me davanti, cercando di avvicinare il personaggio a quello che sono, a come concepisco la vita, a come mi piace affrontare i problemi. Ad esempio, ho fatto in modo che Enea si muovesse in bicicletta – una delle mie grandi passioni – e a Lucio (Pellegrini ndr) ho detto: “Questo qua si deve muovere in bici! E quando c’è la storia dell’occupazione sarebbe bello se facessero le corse in bicicletta nei corridoi”.
Si, diciamo che è abbastanza vicino, come persona, a quello che sono io.
Peccato che non ci sarà una quarta serie…
Ah, quindi è una notizia definitiva? Si, si.
Parliamo, allora, dei tuoi prossimi progetti. Cos’hai in “cantiere”?
Più che in cantiere, direi in uscita, ho due lavori.
Uno è un film – presentato al Festival della Fiction Italiana a Roma – girato l’anno scorso a Trieste, per la regia di Liliana Cavani. Si tratta di un lavoro fatto per la televisione che fa parte di una serie di quattro film che hanno come tema comune la violenza sulle donne. Un progetto di Claudia Mori per Rai Fiction che coinvolge registi quali Liliana Cavani appunto, Margarethe Von Trotta e Marco Pontecorvo. Nel film intitolato “Troppo Amore”, di cui sono uno dei protagonisti – nella parte del molestatore -, si parla di stalking. E’ un’opera molto drammatica e molto forte che ha avuto davvero una bella accoglienza anche da parte dei giornalisti e del pubblico alla presentazione di Roma.
E poi c’è la serie, che si intitola “Che Dio ci aiuti”, con Elena Sofia Ricci. E’ prodotta da Lux, ed è – anche se tutti dicono di non dirlo ma secondo me è vero – Don Matteo al contrario. Io sono una specie di commissario messo un po’ da parte e la mia storia si intreccia con quella della suora (Elena Sofia Ricci, appunto) che ha un passato losco. Questa ovviamente è una commedia, molto divertente, per famiglie.
E poi c’è il teatro, che ti vede impegnato proprio in provincia…
Si, ultimamente stiamo portando in giro lo spettacolo “Quella sera al Vel d’Hiver” – che abbiamo rappresentato un po’ di volte in Alessandria, da poco a Valenza – sulla storia del bandito e del campione (Sante Pollastro e Costante Giradengo). Il Teatro di Alessandria, che è in una situazione abbastanza disastrosa,
ma lo porteremo nelle vicinanze, anche se fuori provincia, a Milano, una vicino a Piacenza, una a Nizza Monferrato, da novembre fino a gennaio.
Questo lavoro, con Gualtiero Burzi e Davide Iacopini, è nato, in realtà, come uno studio per i “Martedì dell’Ambra” e poi da li si è evoluto. E da questo è nata un po’ l’idea di proseguire, di raccontare altre storie. Proprio in questa direzione, a me che sono un ciclista appassionato, piacerebbe portare avanti altri progetti come lo spettacolo, in dirittura di arrivo credo ad aprile, su Luigi Malabrocca. Famoso perché correva per la maglia nera, per arrivare ultimo. Mi piacciono questi lavori perchè si racconta di qualcosa o qualcuno che è nato qua che è vissuto qua, personaggi di cui, troppo spesso, non si ha memoria.
Quindi vivi molto Alessandria?
La vivo abbastanza, perché è un lusso che – diciamo – mi posso permettere. A questo punto della mia – chiamiamola – carriera, non è più obbligatorio che io stia a Roma. Per cui posso permettermi anche di stare qua e godermi una qualità della vita che ritengo migliore. Pur essendo una città triste (fra virgolette) dove è difficile far accadere le cose, credo sia meglio di Roma dove è tutto dispersivo, tutto complicato.
E’, poi, interessante stare qui, perché il fatto di avere un po’ di notorietà rende più facile fare delle cose. E siccome ce ne sono di cose da fare in questa provincia, anche se non sembra, o ce ne sarebbero moltissime, allora mi piace rimanere per provare a portarle avanti, per raccontare questa città, questa realtà di cui si è un po’ persa la memoria, o che comunque si tende un po’ a lasciare da parte.
A Roma gli spettacoli come quelli di cui mi sto occupando ora, non si possono fare… e allora, potendomi mantenere con il cinema o la televisione, nei momenti in cui sono più tranquillo, mi soddisfa dare spazio a certe storie del nostro territorio.
Sei ancora molto legato alla tua città…
Finchè vivi qui, entri in uno strano meccanismo di cose tale per cui ti sembra tutto molto impossibile. Quando te ne allontani riesci ad avere una visione diversa di quello che accade, quindi ti viene anche più semplice pensare o creare delle cose, qualunque esse siano.
Poi, qui, ho le persone a cui sono più legato, la mia famiglia, la mia fidanzata… Roma la vivo giusto a livello lavorativo.
Sta per riapre la Scuola dei Pochi – quest’anno nella sua sede storica – ma la situazione del teatro di Alessandria resta allarmante…
Una situazione davvero drammatica, ma non amo stare a crogiolarmi nel fatto che una cosa non vada bene. Nel disagio, questo può essere stato (e continuare ad essere) un modo per scoprire altri spazi teatrali, da questo punto di vista una bella opportunità, anche per cercare un po’ di andare oltre.
Resta il problema che l’attività teatrale, o in generale artistica, viene considerata dalla classe dirigente una cosa superaccessoria, non tra le priorità, non una cosa così urgente, anche se il teatro dà lavoro, oltre a creare un importante “ambiente culturale”. La cosa che a me dispiace molto – per esempio rispetto al Teatro di Alessandria, ma a prescindere dalla questione dell’amianto – è che si è sempre dimenticato quanto il teatro sia un luogo, al di là del fatto che uno possa diventare attore di professione, che svolge un importante ruolo di aggregazione sociale.
Senza contare che la realtà che ruota intorno al teatro ha dato la possibilità a me, ma non solo a me – ci sono davvero tanti attori e registi di Alessandria – di entrare a far parte di questo mondo.
Il tuo inizio è stato proprio alla Scuola dei Pochi. Com’è nata questa passione?
Quando ho iniziato a fare la Scuola dei Pochi, non ero mai stato a teatro in vita mia, non sapevo nulla di quello che è il teatro. Facevo il metalmeccanico – cosa che ho fatto per 5 anni -, e avevo bisogno di fare un’altra attività. L’anno precedente aveva frequentato la scuola mio cugino – Aldo Ottobrini – e sono andato a vedere il saggio di fine corso. Quando ho visto lo spettacolo il mio pensiero è stato: “Questi qua si divertono un casino!”, e così ho deciso di iscrivermi.
Dopo una prima fase di scuola c’era una selezione simbolica – che voleva un po’ farti capire che il teatro era una cosa seria – e ricordo Francesco Parise che mi disse: “Secondo noi vai bene però stai attento perché questo è un contesto in cui ci si deve divertire, ma ci sono delle regole, dei ruoli, tutta una serie di cose da rispettare.” …e li io ero anche un po’ abbacchiato, mi aspettavo mi mandasse a casa… e poi mi ha detto “Si, però puoi andare avanti”.
…e poi la scuola a Torino…
…e Luca Ronconi – che all’epoca non sapevo neanche chi fosse…
…e poi tutta una serie di avvenimenti che mi hanno portato avanti in questa strada. Diciamo che con il senno di poi, la casualità è abbastanza importante, però – e di ciò sono abbastanza convinto – bisogna creare le condizioni per cui la fortuna trovi facilmente a che attecchire.
Dai un consiglio ai ragazzi che vogliono intraprendere questa strada…
La cosa che mi preme dire è che non è facile, non è facile per niente. Non è come una serie di trasmissioni televisive – come i talent show vari – ti inducono a pensare. Può succedere anche questo – per carità – però bisogna studiare tantissimo, applicarsi tanto, e avere molta pazienza. Non è una cosa immediata. Bisogna fare dei sacrifici, essere un po’ disposti a tutto.
Io sapevo che la recitazione era la mia priorità, e visto che i miei genitori mi avevano detto: “Vuoi fare l’attore, fatti tuoi” – lavoravo d’estate, raccoglievo la frutta, facevo il volontario dei vigili del fuoco, volantinaggio, per potermi pagare la scuola di recitazione a Torino d’inverno.
Ma anche se così non fosse stato, indipendentemente da quelli che sono i costi, c’è una questione di impegno, di studio.
Al tempo stesso, però – e questa è la cosa curiosa di questo lavoro – vale anche il contrario. Perché è un mondo pieno di fenomeni che sbucano fuori dal nulla e sono straordinari. E’ un lavoro in cui vale molto anche l’estro, l’indole, quello che uno ha di innato. Per cui può anche accadere che c’è chi, pur non avendo studiato e non avendo frequentato scuole, ha questo talento fortissimo, e prende il tuo posto. Quando ci si trova ad avere a che fare con questa situazione, bisogna essere forti della propria direzione.
Mi viene in mente una frase di Carlos Casteneda (“Gli insegnamenti di Don Juan”) che dice (non testualmente):
“…quando fai una cosa, non devi mai pensare se arriverai dove pensi di arrivare. La cosa fondamentale è che devi sapere di essere nella giusta direzione. Poi quello che accade non dipende esclusivamente da te, ma se tu sai di essere nella giusta direzione, tutto scorre e continua e prosegue.”
Bisogna essere fermi e determinati ma anche molto elastici, essere sempre pronti a cambiare idea.
Quando mi sono diplomato alla scuola di Torino, ad esempio, dicevo: “Io la televisione non la farò mai”, e invece la cosa che in qualche modo mi ha dato una grande svolta professionale è stato proprio quando sono andato a fare “Un posto al sole” a Napoli. E’ stato un lavoro importantissimo perché mi ha insegnato il rapporto con la macchina da presa e tutta una serie di dinamiche televisive (poi cinematografiche) che non conoscevo.
Da ogni esperienza, da quello che stai vivendo in quel momento lì, devi cercare di trarre un frutto che in qualche modo ti servirà per il dopo… e chissà dove andremo…