“Curare al meglio i minori malati cronici è un dovere”
Sono centinaia i bambini che, sul nostro territorio, necessitano di cure palliative in ospedale e a domicilio. Il dottor Maurizio Cremonte, neuropsichiatria infantile al Cesare Arrigo di Alessandria, ci parla dellimportante convegno in programma sabato in città
Sono centinaia i bambini che, sul nostro territorio, necessitano di cure palliative in ospedale e a domicilio. Il dottor Maurizio Cremonte, neuropsichiatria infantile al Cesare Arrigo di Alessandria, ci parla dell?importante convegno in programma sabato in città
Dottor Cremonte, partiamo proprio dal convegno di sabato: perché è così importante?
Perché è davvero l’occasione per fare il punto della situazione su un tema di assoluta centralità per tutti, come le cure palliative per i pazienti minorenni, e per ragionare tutti insieme su un traguardo ambizioso e raggiungibile, ossia la creazione di una rete strutturata di intervento, cura e assistenza che faccia interagire i diversi soggetti che operano sul nostro territorio, arrivando anche ad attivare un paio di letti “pediatrici” presso l’Hospice Il Gelso, ossia la struttura per i pazienti adulti diretta dalla dottoressa D’Amico. Sabato avremo ospiti importanti, che ci illustreranno modelli che funzionano, italiani ed esteri. E sarà un momento formativo importante per tutti noi che, a vario titolo, operiamo nella filiera dell’assistenza ai minori malati cronici.
E’ un tema delicato e doloroso, ma raccontiamolo bene: di quante persone stiamo parlando, prima di tutto? Non sono casi così rari, come ci illudiamo che sia…
Purtroppo no. Soltanto nel mio settore di competenza, ossia quello delle patologie croniche del sistema nervoso, il Cesare Arrigo di Alessandria ha in cura stabilmente circa 500 piccoli pazienti: tra loro più di 100 sono affetti da gravi patologie neurologiche e necessitano di cure “palliative” costanti. Attenzione: non stiamo parlando necessariamente di malati terminali: si può anche vivere molti anni in questa condizione di assistenza necessaria e continua, che naturalmente non può essere solo ospedaliera, ma è soprattutto domiciliare. E consideri che noi siamo il punto di riferimento non solo di tutta la nostra provincia, ma anche di parte del Piemonte. Con la presenza sul territorio, poi, di una struttura di eccellenza come il Piccolo Cottolengo di Tortona, i nostri pazienti arrivano praticamente da tutta Italia.
E di cosa hanno bisogno?
Di tutto. Vede, le cure palliative inizialmente erano intese come assistenza ai malati oncologici terminali. E tutt’ora in quell’ambito sono fondamentali. Ma ci sono tanti malati neuropsichiatrici, ad esempio, non necessariamente a fine vita, ma che di assistenza costante hanno bisogno comunque. E sono rare tra l’altro strutture di ricovero permanenti per questi soggetti, sia extra che intraospedalieri: noi stessi abbiamo difficoltà a ricoverare questi pazienti nei nostri reparti per acuti, e come le dicevo uno dei prossimi obiettivi è quello di predisporre almeno un paio di letti, naturalmente separati e con struttura ad hoc, all’interno dell’hospice Il Gelso. Ma il 95% dell’attività di assistenza va svolta al domicilio di questi malati, in un rapporto di assoluta collaborazione e comprensione tra famigliari, personale medico e sanitario, volontari. Una filiera dell’assistenza che necessita di competenze, specializzazione, aggiornamento continuo e anche risorse. Ma va capito, da parte di tutta la comunità (e in primis da chi ha il potere e il dovere di decidere sugli investimenti) che un minore adeguatamente assistito è un risparmio enorme per tutti, in prospettiva: oltre naturalmente ad essere un dovere per una società civile.
Questo significa, concretamente, doverci essere sempre, perché un malato di questo tipo non può e non sa aspettare. Come fate?
Personalmente lavoro qui da 22 anni, dopo un periodo al Gaslini di Genova e all’estero. E posso dire sinceramente che senza passione ed entusiasmo non si può fare questo mestiere. Il mio cellulare è acceso 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno, anche quando sono in ferie. Perché non saprei fare altrimenti, e perché so che, per i miei pazienti e le loro famiglie, sapere che sono sempre contattabile rappresenta una garanzia psicologica in più.
Quindi viene bombardato di telefonate, giorno e notte?
Al contrario. Mentre esiste una fascia di genitori che vedono nei figli malattie più o meno immaginarie, e magari abusano del nostro Pronto Soccorso, in genere chi ha in famiglia un minore con malattie vere, gravi, sa gestirli ed autoregolarsi con grande sensibilità e discrezione. A volte basta un sms, per sapere che ci sei. E io rispondo sempre in tempo reale. In casi gravi ed estremi, poi, è essenziale sapere che il medico c’è, anche a distanza, e può magari interagire con il collega di un altro ospedale, nel prendere decisioni anche definitive.
In tutto questo, dottor Cremonte, qual è il ruolo di Avoi?
Essenziale. Avoi è nata nel periodo della tragica alluvione del 1994, ed ebbe tra l’altro all’epoca un ruolo essenziale, con i suoi volontari, di fronte ad un’emergenza vera e drammatica. Una decina d’anni fa, poi, si è costituito il “gruppo oncologico”, che è formato da sanitari e non, tutti comunque specializzati nell’assistenza a domicilio a bambini e adolescenti malati di tumore in fase terminale, e alle loro famiglie. Perché, mi creda, se questi sono momenti terribili sempre e comunque, quando muore un bambino, o un adolescente, il quadro è ancora più delicato. Bisogna saperci essere, ma anche farlo in punta di piedi, e valutando caso per caso le modalità e le esigenze, anche e soprattutto psicologiche, del malato e dei suoi famigliari. Serve una grande capacità di ascolto dell’altro. Consideri che i volontari Avoi sono complessivamente una cinquantina, ma gli appartenenti al “gruppo oncologico” circa 15: proprio perché ci vuole una predisposizione, e una preparazione, non comune. Sono però esperienze che aiutano davvero a crescere, e a dare un senso alla propria esistenza.
Dottor Cremonte, chi entra all’ospedalino avverte però, e per fortuna, un clima quasi da asilo, con bambini che ridono (e piangono, come sempre succede), giocattoli, stanze e casette colorate…
Il gioco è essenziale per un bambino: un piccoletto che non gioca, urla, esplora il mondo circostante è un bambino che non sta bene. E comunque la degenza ospedaliera di un minore, di pochi anni soprattutto, è impensabile senza un contesto anche ludico. Per questo è essenziale ospitare i nostri pazienti in un contesto adatto, e consentire loro, grazie ai nostri volontari, di avere momenti di svago e di divertimento. E qui ancora Avoi, ma anche altre associazioni, sono assolutamente determinanti. Così come vorrei ricordare l’importanza delle donazioni, che ci consentono ogni anno di acquistare macchinari e apparecchiature.
Concludiamo tornando ancora un momento sul convegno di sabato: la partecipazione è aperta a tutti?
Assolutamente sì, compatibilmente con il numero di posti. So che per quanto riguarda gli addetti ai lavori (a cui il convegno consentirà naturalmente anche di acquisire crediti formativi) abbiamo praticamente già il tutto esaurito: ci saranno medici di base, pediatri, medici ospedalieri, personale tecnico-sanitario, psicologi, volontari. Ma naturalmente è attesa, e gradita, la partecipazione anche di famigliari dei pazienti, o semplicemente di persone interessate a scoprire questo universo, per poi magari cominciare a dare una mano, di cui c’è sempre bisogno. Mi fa piacere sottolineare che il convegno di sabato sarà preceduto, venerdì sera alle 21 da un concerto in Duomo (gentilmente messo a disposizione dal Vescovo di Alessandria, S.e.r. Monsignor Versaldi, che ringraziamo) della Polifonica di Serravalle Scrivia. E sia il concerto che il convegno sono dedicati a due figure importanti: il dottor Dante Besana, primario di Neuropsichiatria del Cesare Arrigo deceduto pochi mesi fa, e Cassien Nshimiyimana, il ragazzo che ha vissuto quasi vent’anni prima qui all’ospedalino, poi al Centro di Riabilitazione Borsalino, e che era diventato un amico di tutti noi.