Infantile: “anche a domicilio, sempre al fianco di pazienti e famiglie”
La dottoressa Maria Odone è stata per 35 anni chirurgo pediatra al Cesare Arrigo di Alessandria. Con lei parliamo di minori con patologie croniche gravemente invalidanti e oncologiche specie in stadio terminale, e di quanto sia importante il legame e la cooperazione tra ospedale e genitori. Con un cenno allappuntamento dell8 ottobre sulle cure palliative
La dottoressa Maria Odone è stata per 35 anni chirurgo pediatra al Cesare Arrigo di Alessandria. Con lei parliamo di minori con patologie croniche gravemente invalidanti e oncologiche specie in stadio terminale, e di quanto sia importante il legame e la cooperazione tra ospedale e genitori. Con un cenno all?appuntamento dell?8 ottobre sulle cure palliative
Lo facciamo, dopo l’intervista con il dottor Fernando Pesce, direttore della struttura, incontrando la dottoressa Maria Odone (nella foto), chirurgo pediatra all’ Ospedale Infantile “Cesare Arrigo” sino all’inizio di quest’anno, e tuttora in prima linea, sia pur da volontaria dopo il pensionamento, sul fronte della cura e dell’assistenza ai piccoli pazienti, e alle loro famiglie. Con la dottoressa Odone, “memoria storica” del Cesare Arrigo, abbiamo conversato a lungo, concentrandoci soprattutto sulle esigenze dei bambini malati di cancro, di malattie croniche specie dell’apparato digerente e altre devastanti patologie. E ci auguriamo sinceramente di riuscire a trasmettere anche solo una parte della passione, della delicatezza e dell’intensità emotiva che emergono dalle parole dell’intervistata, ma anche e soprattutto dal modo di pronunciarle, e di raccontare.
Dottoressa, cos’è per lei l’ospedalino di Alessandria?
Mah, dire tutto forse è banale, ma giudichi lei: ci sono entrata per la prima volta, come studentessa, nel 1975, e come medico dopo la laurea conseguita nel 1976. E sono ancora qui, sia pur da pensionata e con un ruolo diverso. L’ho visto crescere nei decenni: da struttura a valenza provinciale con pediatria, chirurgia e pronto soccorso, a quel che è oggi, ossia un centro di vera eccellenza, in grado di curare tutte le purtroppo vastissime patologie che possono colpire un essere umano dai primi giorni di vita all’adolescenza, avvalendosi di plurispecialità avanzate, quali la rianimazione, l’ortopedia, la neonatologia. Naturalmente al Cesare Arrigo non siamo tuttologi, e interagiamo strettamente con altri ospedali di alto livello e dotati di strumentazioni e specializzazioni adeguate, come il Regina Margherita di Torino e il Gaslini di Genova, il Centro Tumori di Milano. Ma davvero questo è il punto di riferimento per i minori con problemi di salute di mezzo Piemonte.
Lei è un chirurgo pediatra, ma mi pare di capire che si è dedicata, via via, a percorsi di cura e assistenza di bambini con patologie particolarmente gravi, e degenerative, come i malati di cancro, quelli affetti da gravi malformazioni , specie dell’apparato digerente ed i malati cronici e cerebropatici: un lavoro delicatissimo..
Sì, un lavoro che richiede il massimo di sensibilità e disponibilità, verso i pazienti e verso le loro famiglie, che spesso sono le vere figure eroiche. Perché devono farsi carico di situazioni drammatiche, anche di lungo periodo, e che richiedono il loro coinvolgimento quotidiano. Il medico, per quanto si possa e debba rendere disponibile, non potrà mai sostituire i genitori, o comunque i famigliari del paziente. Noi cerchiamo di essere sempre reperibili telefonicamente, e se un bambino con una patologia grave deve fare diverse visite specialistiche presso di noi, ad esempio, ci organizziamo per far coincidere tutti i controlli e spesso valutiamo collegialmente il risultato delle indagini e quindi il programma di cura. Ma il ruolo dell’assistenza domiciliare è essenziale, e per quanto lì il medico e l’infermiera ci possa essere ogni tanto, è chi vive al fianco del malato giorno e notte a fare la vera differenza. Infatti è proprio nell’addestramento dei genitori o caregiver che ho impegnato molte energie e tempo (per altro ampiamente premiato dai risultati sul lungo periodo).
Accostare morte e giovinezza sembra quasi innaturale, e si pensa subito agli incidenti, in primis quelli d’auto. E invece esistono anche realtà diverse…
Purtroppo sì. Ma non sempre le malattie gravi portano alla morte del paziente, per fortuna. Ci sono casi di patologie che danno insufficienza di funzioni fondamentali: ad esempio insufficienza respiratoria per malattie neuromuscolari e insufficienza intestinale. Mi sono occupata molto di pazienti con difficoltà nutrizionale. Ossia bambini e ragazzi che non riescono ad ingerire cibo e bevande in maniera normale, per bocca. E bisogna ricorrere, appunto con il supporto essenziale della famiglia, a forme di alimentazione artificiale: che non passano dall’intestino, nel caso di malati il cui intestino appunto non funziona. E in quel caso si va direttamente in vena, con infusione di flebo particolari. Oppure, se il problema è ad esempio nell’apparato di deglutizione, si ricorre ad un sondino che dal naso porta il nutrimento allo stomaco e, se il problema persiste, si confeziona una gastrostomia (ossia abboccamento dello stomaco alla parete addominale).
In entrambi i casi, immagino non si vada avanti a lungo però…
Si sbaglia, per fortuna. C’è un caso, certo abbastanza particolare, di un mio paziente con intestino inutilizzabile praticamente dalla nascita, che ha una vita diurna normalissima, e a 23 anni sta tra l’altro per laurearsi. Esce, studia, ha una vita normale. Certo, la notte deve sottoporsi, a casa, ad una nutrizione endovenosa, una sorta di dialisi per crescere e nutrirsi. E soprattutto nel caso di bambini, sono i genitori a doversene occupare.
Dottoressa, parliamo di oncologia, e cure palliative. Sabato 8 ottobre, qui ad Alessandria, c’è un appuntamento importante….
Sì, in quella data, a distanza di 9 anni da un analogo momento formativo, si terrà un importante incontro di approfondimento, dal titolo “Le cure palliative in pediatria: la care tra ospedale e territorio”. L’obiettivo è fare il punto della situazione, incontrarci e guardare avanti, sensibilizzando sia gli addetti ai lavori, che la popolazione. Perché questi sono drammi che possono colpire tutti, e credo sia necessaria la massima solidarietà, con la possibilità per chi se la sente di dare concretamente una mano: naturalmente ognuno anche in base alle proprie competenze: si tratta di percorsi di assistenza delicati.
Il volontariato dell’Avoi (Associazione Volontari Ospedale Civile), presieduta dal suo collega Maurizio Cremonte, è da questo punto di vista un fiore all’occhiello. Come vanno le cose?
Bene, anche se risorse e tempo non sono mai abbastanza. Siamo una cinquantina di volontari, e si va dai medici e paramedici alle insegnanti in pensione, dai poliziotti alle casalinghe, agli operai. Il filo rosso che ci lega è la disponibilità verso il prossimo in difficoltà. I malati oncologici sono senz’altro una patologia di peso importante ed in aumento, ma oggi molte patologie croniche, gravemente invalidanti possono essere tenute nella stessa considerazione, e necessitano di un livello di assistenza, anche domiciliare, molto elevato e qualitativo. Infatti negli ultimi anni sono emerse in maniera significativa anche altre patologie: dalla distrofia muscolare nelle sue varie forme, ai bambini cerebropatici. Questi ultimi, sia chiaro, ci sono sempre stati. Ma con una certa dose di cinismo e fatalismo li si è sempre abbandonati alle famiglie, nella migliore delle ipotesi: c’è stata una sorte di abbandono sia sociale che scientifico. Oggi abbiamo capito che la sanità può e deve aiutare anche loro, e che serve naturalmente una sinergia stretta fra cure ospedaliere e assistenza a domicilio. Percorso integrato a cui il Cesare Arrigo di Alessandria crede ormai da tanti anni, e su cui credo che, risorse permettendo, intenda continuare a puntare.
C’è un aspetto, dottoressa Odone, che mi colpisce e incuriosisce. Immagino ci siano casi in cui questi pazienti malati, crescendo, sopravvivono ai loro genitori o parenti. In quei casi che succede?
Sì, ci sono anche questi casi, sia pur non numerosissimi sul piano statistico. E anche questo aspetto psicologico, ossia “che succederà di mio figlio se io muoio prima di lui” genera nei genitori davvero un’ansia che va compresa e gestita, facendo loro capire che non sono soli. Comunque per queste particolari situazioni esistono, per fortuna, ottime strutture specializzate, istituti a gestione pubblica, o privata convenzionata, spesso anche gestite da personale religioso. In provincia ne abbiamo un bell’esempio, ed è il Piccolo Cottolengo di Tortona. Una realtà eccellente, che accoglie minori in difficoltà da tutta Italia.