Allarme tagli sulla sanità: “l’infantile va salvaguardato”
24 mila accessi lanno al pronto soccorso, con l8% di ricoveri. Il Cesare Arrigo è la seconda struttura regionale per attività e qualità, ma i tagli colpiscono anche qui, e non mancano apprensioni sul futuro. Ne parliamo con il dottor Fernando Pesce, direttore della struttura
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Affreschi alle pareti, “casette” e giocattoli ovunque, nell’atrio un bambino biondo che canticchia in attesa di una visita. Dottor Pesce, bastano 5 minuti per capire che questo è un ospedale “diverso”..
E’ così, perché diversi sono i nostri pazienti. Che poi peraltro vanno dai 600 grammi ai cento chili, nel senso che curiamo dai neonati prematuri fino ai diciottenni. Ed è un po’ un’anomalia, perché ad esempio strutture come il Regina Margherita di Torino, o il Gaslini di Genova, hanno pazienti la cui età arriva a 14 anni. Qui comunque siamo aperti 24 ore su 24, e il nostro pronto soccorso registra 24 mila accessi l’anno, di cui l’8% si trasformano in ricoveri. Pensi, per avere un parametro, che l’intero ospedale civile Santi Antonio e Biagio fa 47 mila accessi al pronto soccorso. L’ambulanza a noi dedicata è della Croce Verde ed è attrezzata con la culla per il trasporto del neonato-prematuro in emergenza. Viene utilizzata per il servizio di trasporto protetto che effettuiamo oltre che per la nostra azienda per tutti i punti nascita del Quadrante Alessandria-Asti e quindi: Novi, Acqui, Tortona, Casale, Asti e su richiesta anche da altri centri nascita del Piemonte
Facciamo un passo indietro dottore: “l’ospedalino” di Alessandria ha una storia più che secolare, giusto?
Certo: la struttura nasce per intuizione e volere di un comitato d’iniziativa capitanato dal dottor Cesare Arrigo, primario chirurgo all’ospedale civile di Alessandria, che si rese conto già allora di quanto fosse necessario, per la città e per un territorio pù vasto, poter contare su un centro specializzato nella cura dell’infanzia. Stiamo parlando del 1886, anno di fondazione di questo ospedale, che, aperto all’interno del Civile, il 15 giugno 1890, fu successivamente intestato ad Arrigo, dopo la sua morte, nel’aprile 1902. L’attuale localizzazione dell’ospedale nasce da un atto di generosità privata, nel 1914, della famiglia Borsalino/Usuelli, che finanziò l’investimento. Da allora direi che “l’ospedalino” è entrato nel dna degli alessandrini, nel loro bagaglio culturale. Qui dentro, da piccoli, almeno una volta ci siamo passati tutti, come pazienti. E oggi siamo, per numero di ricoveri e attività, il secondo ospedale infantile del Piemonte dopo il Regina Margherita di Torino. Con il quale operiamo peraltro in stretta sinergia, così come abbiamo ottimi rapporti di collaborazione con il Gaslini di Genova, dove personalmente ho anche lavorato per 16 anni, prima di rientrare qui come direttore della Divisione di Pediatria nel 1997.
Torniamo all’oggi: si percepisce un po’ di incertezza tra voi addetti ai lavori. A cosa è dovuta? Non è che gli alessandrini rischiano di perdere anche una struttura sanitaria di eccellenza come questa, vero?
Mah, spero davvero di no, sarebbe davvero una scelta penalizzante per un territorio vasto. Consideri che su di noi si riversa non solo l’utenza di tutta la provincia, ma che arrivano anche i bambini della Lomellina, di Asti, talvolta anche di Alba. Insomma: non sono tante le strutture in grado di offrire un’assistenza davvero di qualità, approfondita e capace di coprire sostanzialmente tutte le patologie infantili. E il bambino è fragile: bastano poche ore per far precipitare il quadro clinico, talvolta in maniera irreparabile. Per questo è essenziale che il territorio regionale sia presidiato con equilibrio: certo, per ragioni di razionalizzazione di costi si potrebbe anche stabilire che tutto viene concentrato a Torino. Ma poi cosa succederebbe?
Ma esiste questo rischio?
Non lo sappiamo, come lei ha percepito viviamo in un clima di incertezza. Subiamo, come tutte le altre strutture sanitarie peraltro, gli effetti dei tagli di risorse, in termini di riduzione del personale, che via via non viene sostituito. Abbiamo al momento in organico, considerato tutto il presidio pediatrico comprese le attività ambulatoriali, le terapie intensive, e il pronto soccorso 48 medici, e circa 112 infermieri. Ma due primariati sono al momento scoperti, e servirebbero più infermieri, tant’è che qualche “doppio turno” di servizi non essenziali è stato sospeso. I posti letto attualmente sono complessivamente circa 60, più 13 day hospital, e la nostra offerta sanitaria è davvero completa, e riesce a coprire sostanzialmente per intero le tante patologie cliniche infantili. Dalla pediatria alle malattie infettive, dalla neuropsichiatria infantile alla chirurgia pediatrica, dalla diabetologia alle malattie intestinali, a molto altro.
Il punto però è capire quali sono le reali intenzioni della riforma di cui si sta parlando, ma “a carte coperte”. Insomma, non sappiamo nei particolari qual è il progetto di riorganizzazione e quali strutture verranno potenziate e quali chiuse o ridimensionate, e questo non contribuisce a creare serenità.
In provincia esistono altre pediatrie, all’interno dei diversi ospedali di zona?
Non al Santi Antonio e Biagio, ma in altri ospedali del territorio sì. Ci sono piccole strutture a Novi, Acqui, Casale, e più consistenti ad Asti e Tortona. Ora, la riorganizzazione dei presidi sanitari non è fra i miei compiti, ma non posso esimermi dall’esprimere la mia opinione almeno sul comparto che conosco a fondo. E posso tranquillamente affermare che per curare bene le patologie infantili servono risorse, competenze, tecnologie, macchinari. Non ci si improvvisa, ed è controproducente per tutti tenere in piedi strutture nei fatti inadeguate.
Lei cosa farebbe?
A mio avviso servono, su scala regionale, quattro centri davvero di eccellenza pediatrica, che ci sono già, e andrebbero potenziati. E sono il Regina Margherita di Torino, il Cesare Arrigo di Alessandria, e poi le strutture analoghe di Novara e Cuneo. Per il resto possono essere attuati dei ridimensionamenti tenendo presente che una SOC di Pediatria per poter affrontare pazienti di un certo impegno deve prevedere un organico di 6 medici + il responsabile della SOC con adeguato personale infermieristico altrimenti può di fatto svolgere solo attività ambulatoriali di consulenza o Day Hospital.
Razionalizzare i costi, dottore, però magari si può anche qui da voi. Oppure siete già davvero “all’osso”?
Sul fronte del personale le ho già risposto, e credo davvero che serva crescere, non tagliare. Non le nascondo, invece, che da parte di una parte dell’utenza c’è talora un abuso dei nostri servizi sanitari. Lei, ad esempio, quante volte è stato al pronto soccorso nella sua vita?
Certamente una volta da adulto. E credo una volta da bambino, intorno ai tre anni, proprio qui da voi…sono in media?
Beh, diciamo che c’è una fascia di popolazione che la media la fa alzare parecchio. Ci sono genitori che portano qui il bambino ogni volta che ha 37,2 di temperatura, o che si è sbucciato un ginocchio. E il bello è che sono sempre gli stessi, e ne conosciamo nome e cognome. Ecco, forse basterebbe studiare un percorso di ticket per gli” utilizzatori frequenti/ impropri”, ovviamente escludendo chi ha patologie serie e riconosciute. In quel modo si decongestionerebbe parecchio l’attività di tutta la struttura.
Spesso si dice: portiamo la sanità sul territorio, direttamente a casa del malato. Per i bambini può essere una soluzione?
Posso dirle che già oggi i giovani pediatri di fresca specializzazione sono assai più “tentati” dal percorso di medico Asl di base, che non dall’esperienza ospedaliera. Pare brutto da dire, ma la realtà è che guadagnano di più e svolgono un lavoro meno disagevole dei loro colleghi che lavorano in corsia. Nel senso che l’assistenza a domicilio c’è solo in certi orari, non c’è nei festivi, e via dicendo. E poi lei capisce bene che a casa del bambino malato può andarci un medico, non uno staff di specialisti che lavorano in sinergia, e con attrezzature adeguate.
Una mano importante vi arriva dal volontariato?
Assolutamente sì. A partire dalla Fondazione Uspidalet, che è operativa da due anni, e che raccoglie fondi e risorse, anche attraverso il 5×1000 sulla dichiarazione dei redditi i nostri assistiti sono anche da anni efficacemente aiutati dall’associazione AVOI (associazione Volontari Ospedale Infantile). Ma è tutto il volontariato, come rete di persone piene di entusiasmo ed altruismo, a consentirci di tenere in piedi molte attività ludiche e di adeguamento degli ambienti ai fabbisogni del bambino.
Dalla decorazione dei muri di questo ospedale, che lei ha visto all’ingresso, alle attività ludico ricreative offerte ai nostri piccoli pazienti, e indispensabili per far sì che la permanenza di un bambino in ospedale sia possibile, e accettabile. Di fatto diverse associazioni come il Rotary, il Lions e tanti privati e gruppi periodicamente offrono generosi contributi che ci sono di forte aiuto. Fino poi al contributo sul fronte, ad esempio delle cure palliative pediatriche, ossia dei trattamenti indirizzati alle fasi terminali delle malattie oncologiche, metaboliche e neurologiche. Al riguardo stiamo preparando un progetto/evento, “Le cure palliative in pediatria: la care tra ospedale e territorio”, che si terrà qui ad Alessandria sabato 8 ottobre. Se ne stanno occupando il dottor Cremonte e la dottoressa Odone, e sarà un’importante occasione di confronto e aggiornamento, indirizzata sia agli addetti ai lavori che agli esterni.
Di questo importante appuntamento certamente torneremo a parlare nelle prossime settimane.