Artico: “Alessandria ormai è casa mia”
Prima di partire per il ritiro di Salice Terme, il bomber dei Grigi passa a trovarci in redazione, per una chiacchierata senza steccati: il calcio, i progetti futuri, la passione per la montagna e per la politica
Prima di partire per il ritiro di Salice Terme, il bomber dei Grigi passa a trovarci in redazione, per una chiacchierata senza steccati: il calcio, i progetti futuri, la passione per la montagna e per la politica
Fabio, come tifosi abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo quando hai firmato per restare un altro anno in Grigio…
Veramente gli anni sono due, ti dò questo scoop. E in realtà a me piacerebbe fermarmi ad Alessandria e in società anche alla conclusione dell’attività come calciatore, non ne ho mai fatto mistero. Vedremo naturalmente, ma insomma io a questa maglia sono proprio affezionato, la sento mia.
Anche ad Alessandria città ti senti così legato? Sai, noi alessandrini tendiamo all’autocritica, ad esaltarne gli aspetti meno positivi…
A me Alessandria piace, ci sto bene, e vorrei metterci radici. Tieni conto che ho avuto, con questo mestiere, una vita da vero giramondo….
Proviamo a ripercorrerla insieme….
Guarda, io sono mezzo valdostano (e Aosta è l’altra mia città infatti, insieme ad Alessandria) e mezzo torinese. Dopo un anno da ragazzino nelle giovanili del Torino, sono stato quattro anni nella Juve. E a 17 anni ero in panchina in prima squadra, e mi allenavo con Baggio, Tacconi e tutti gli altri campioni di quegli anni. Poi un infortunio brutto, un anno difficile, e la scelta della Juventus di cedermi alla Pro Vercelli. Fu un loro osservatore, in realtà, a richiedermi, e ripartii dalla D. Ti assicuro, dopo aver intravisto la serie A, a vent’anni ripartire dai dilettanti fu un trauma.
Invece a Vercelli ci stai quattro stagioni…
Sì, una in D e tre in C2. Considera che lì il tecnico Codogno mi “inventa” attaccante: io fino ad allora avevo sempre giocato a centrocampo. Piedi buoni, ma anche tanta corsa: mi paragonavano a Tardelli, per intenderci. Non a Baggio. Comunque a Vercelli vivo una bella esperienza, ma non sono ancora del tutto convinto, tanto che, nell’estate del 1997, medito di smettere, o meglio di passare al calcetto. Mi avevano offerto un ingaggio nella squadra di Torino, mi avrebbero anche trovato un lavoro. Mi dicevo: “dai Fabio, molla tutto e fai una vita normale”.
E invece?
Invece si fa avanti l’Empoli, e mi ritrovo, sia pur solo per qualche mese, in serie A. Dove faccio in tempo ad esordire davvero, per poi essere però ceduto al Giulianova, in C1. Ed è una buona stagione. Anche se il vero “boom” è quello dell’anno successivo, a Reggio Calabria. Centravanti titolare in B, un sacco di goal, un tifo calorosissimo, e la promozione in A.
Ci sono su Internet anche dei video e delle tue interviste di quell’anno. Si vede che ti divertivi. Come mai non restasti a Reggio?
Il mio cartellino era proprietà dell’Empoli, che fece scelte diverse. E da lì cominciarono alcune stagioni, per lo più in B con qualche discesa in C1: Terni, Pescara, Piacenza, Ferrara, Messina…..
Un emigrante di lusso insomma. Con famiglia al seguito?
Sì, con moglie, e poi anche figli, in giro con me per l’Italia, a fare anche sacrifici. Valigia sempre pronta, conoscenza di persone sempre diverse, e quindi spesso per forza di cose rapporti un po’ superficiali. Oggi Noel, il maschio, ha 13 anni, e Zoe, la bambina, ne ha 11. La gente spesso mitizza la vita del calciatore, che in effetti è pure un mestiere pieno di privilegi, anche perché confina con il gioco, soprattutto quando hai vent’anni. Però ci sono disagi notevoli: primo fra tutti, almeno per me, la difficoltà a portare avanti un percorso di studi serio. Io ho frequentato l’Itis, e neppure l’ho completato. E’ il mio più grande rammarico, e il motivo per il quale, se mio figlio di dicesse: “papà, voglio fare il calciatore professionista” cercherei di scoraggiarlo, o comunque di farlo riflettere bene.
E qui apriamo la parentesi su Artico intellettuale, e uomo politicamente impegnato…
(sorride, ndr). Intellettuale sicuramente no, ma mi piace frequentare le librerie, come anche gli alessandrini sanno, e leggo un po’ di tutto. Impegnato politicamente? Guarda, se la mettiamo sul piano dei valori, sicuramente sì, anche se oggi guardando alla situazione del Paese, e pure a come sono messi i partiti, sono confuso, come credo tanti italiani. Però mica mi nascondo: vengo da una famiglia operaia torinese, mio nonno era un partigiano, ho valori assolutamente di sinistra. E un po’ di disagio a vedere come è ridotto questa Italia lo provo, ti confesso…
Ma non sei mai stato un Lucarelli: niente magliette di Che Guevara in campo o pugno chiuso insomma…
No, non è nel mio carattere, e ho sempre cercato di tenere distinte le mie idee e il mio lavoro. E poi Lucarelli, che è comunque un grande, questo atteggiamento poteva permetterselo a Livorno, dove era ed è un simbolo, e che è una città particolare. Io ho fatto sempre il giramondo….
Torniamo appunto al tuo percorso di bomber: com’è che ad un certo punto scegli Alessandria?
Allora: nel 2004, a 31 anni, decido di dare una svolta e un po’ di stabilità alla famiglia. Ci trasferiamo ad Aosta, dove ho tutt’ora un’attività di costruzioni, e cerco un ingaggio in zona. Tra l’altro la montagna è da sempre la mia più grande passione, e vivere da quelle parti ti consente di viverla con intensità. Finisco così a giocare ad Ivrea, in C2: un anno paradossale, professionalmente pessimo, con un presidente che imponeva il figlio in squadra come titolare fisso. Girando, ti capitano anche queste esperienze. Seguono comunque due anni alla Pro Patria, in C1. E nell’estate del 2007, quando già sto pensando di smettere, succede questa cosa bellissima….
Ossia?
Mi chiama un grande professionista, Stefano Braghin, e mi parla di un progetto ambizioso per rilanciare una piazza importante come Alessandria, e riportarla tra i professionisti, e al livello che merita. Poiché è della partita anche un altro mio caro amico, Stefano Zappella, e come allenatore c’è Iacolino, che già mi aveva allenato per tre anni nelle giovanili della Iuve, decido di accettare. E sono stati, lo dico sperando di non passare per ruffiano, quattro anni splendidi: i tifosi sanno che parlo sul serio. E mi sembra giusto ricordare il presidente Bianchi, che è stato il protagonista di questo rilancio.
Nell’ultima stagione siete stati eroici: abbiamo sfiorato la B, praticamente solo con voi in campo, senza stipendio e senza una società alle spalle. In città girano aneddoti di tutti i tipi…
Quasi tutti veri credo. Veltroni ha dimostrato tutta la sua inconsistenza, e speriamo davvero non ci lasci in regalo penalizzazioni troppo gravi. In ogni caso, ora una società solida alle spalle c’è, e con forte radicamento alessandrino. Il che è fondamentale. Il gruppo è già di 15 giocatori, e credo che con 5 o 6 buoni innesti saremo competitivi in Prima Divisione. Anche se, con già due punti di penalità, più altri eventuali (facendo gli scongiuri), è chiaro che la salvezza sarà il nostro primo obiettivo.
Tu hai girato tanto: anche altrove hai trovato una politica così invasiva rispetto alla squadra di calcio cittadina?
Francamente no, o almeno non in forma così esplicita. La squadra di calcio è un patrimonio della città, e quindi trovo anche giusto che i politici facciano la loro parte per salvarla, in caso di gravi difficoltà. Però qui in questi ultimi anni siamo arrivati a livelli davvero difficili da comprendere. Tra l’altro, e non è fatto marginale, dal cilindro di certi politici alla fine sono usciti sempre personaggi che abbiamo misurato tutti, nel loro valore effettivo. Compresi potenziali acquirenti dei mesi scorsi, che immagino ricorderete. Insomma, una pena. Ora davvero speriamo di aver girato pagina, perché Alessandria e gli alessandrini si meritano una società solida e seria.
Fabio, dacci lo scoop finale: a quando Artico sindaco?
(ride divertito, ndr). No, dai, mi sembra presto. Non conosco bene la politica alessandrina, se non per gli intrecci di questi anni con il calcio, di cui abbiamo appena detto. Però sicuramente la politica mi interessa, ha un ruolo essenziale della nostra società e condiziona la vita di noi tutti: demonizzarla in blocco è sbagliato…Lasciami il tempo di studiarla un po’ meglio, e ne riparliamo.