Migranti: “grazie per l’ospitalità e se potete, fateci lavorare..”
Il gruppo di 20 nordafricani in fuga dalla Libia alloggia allOstello di Santa Maria di Castello. Proviamo a conoscere un po meglio le storie di questi ragazzi, grazie alla guida di Giuliano Brazzo, responsabile della struttura
Il gruppo di 20 nordafricani in fuga dalla Libia alloggia allOstello di Santa Maria di Castello. Proviamo a conoscere un po meglio le storie di questi ragazzi, grazie alla guida di Giuliano Brazzo, responsabile della struttura
E’ un desiderio comune a quasi tutti i componenti del gruppo, quello di lavorare: un po’ probabilmente anche per mostrare la propria riconoscenza nei confronti di chi li sta aiutando, ma soprattutto perché si tratta in effetti di persone giovani, e “affamate” di futuro. Giuliano Brazzo, responsabile dell’Ostello di Santa Maria di Castello, li conosce e segue quotidianamente dal loro arrivo, e non ha dubbi: “si tratta di persone con percorsi diversi, e di diverse nazionalità, ma che grazie all’esperienza estrema e tragica che hanno vissuto stanno facendo squadra, si aiutano tra loro, e hanno una gran voglia di integrarsi, e di non essere di peso. Sono disciplinati, si attengono ai regolamenti, e non danno davvero nessun problema. Un’esperienza ben diversa, ad esempio, da quella che ci toccò 11 anni fa con il gruppo di 158 curdi”.
Il più vecchio del gruppo di nordafricani ha 38 anni, mentre i ventenni sono più d’uno. Sono originari dell’Algeria (3), del Bangladesh (6) e della Nigeria (11), e fra loro ci sono anche due coppie sposate. Quindi complessivamente 18 uomini e 2 donne. “Lavoravano tutti in Libia – spiega Brazzo – e sono arrivati a Lampedusa insieme, a bordo di un barcone che si è rovesciato, causando la morte di tre persone. Non parlano naturalmente volentieri di questa tragedia, come della loro vita precedente: hanno bisogno di guardare avanti”.
La storia di uno di loro, tuttavia, è emblematica, e può forse servirci a meglio comprendere lo scenario da cui i profughi stanno scappando. Mario (chiamiamolo così, per riservatezza) ha 25 anni, metà dei quali trascorsi in fuga dalla guerra, etnica e di religione. La sua famiglia è cattolica, e i musulmani gli hanno ucciso il padre e due fratelli. La mamma ha voluto che lui si rifugiasse in Libia, dove se non altro poteva vivere in pace e mantenersi, lavorando. Ma il conflitto lo ha raggiunto anche lì, e lui avrebbe voluto tornarsene a casa: la madre però, al telefono e in lacrime, lo ha implorato: “scappa, vai in Europa: preferisco non vederti più, ma sapere che hai un futuro. Qui ti ucciderebbero subito”. Questi, spesso, sono i tragici percorsi di vita che spingono queste persone a rischiare la vita su un barcone diretto a Lampedusa, senza sapere cosa succederà domani.
“Ora per tutti – spiega Brazzo – il traguardo è la carta verde, che dovrebbe consentire loro di muoversi tranquillamente all’interno dell’Unione Europa. Sicuramente nel frattempo staranno con noi tre mesi, un periodo che cercheremo di utilizzare nel migliore dei modi. Innanzitutto sottolineo che sono tutte persone assolutamente sane, sottoposte a controlli accurati dalla Croce Rossa sia durante le loro tappe precedenti, sia qui ad Alessandria. Ogni 5 giorni abbiamo i controlli medici, mentre naturalmente passano di qui costantemente anche le forze dell’ordine. Ma, ripeto, la situazione è assolutamente tranquilla”. Cosa hanno scoperto questi ragazzi finora di Alessandria? “Non molto in verità – continua il responsabile dell’Ostello –, anche se sono molto curiosi. Ogni pomeriggio, comunque, vanno a giocare a calcio nel campetto del Provveditorato, qui dietro. Non ho ancora scoperto però se nel gruppo si nasconde un campione, magari un giocatore da Grigi. Ad oggi so solo di un paio di piccoli stiramenti, ma robetta da poco”. I profughi sono seguiti e assistiti costantemente da tre operatori/mediatori culturali, e fondamentale è il contributo della Casa di Cura Borsalino, che fornisce il servizio di prima colazione, pranzo e cena. “Al momento – ribadisce Brazzo – siamo noi come Ostello e la Casa di Cura a sostenere tutti i costi, che dovrebbero esserci rimborsati dal Ministero degli Interni. E’ molto importante però il percorso di collaborazione che stiamo cercando di costruire in queste settimane con Comune, Provincia e altri enti. Questi ragazzi hanno bisogno di tutto: corsi per imparare l’italiano, corsi di avviamento al lavoro (sono tutti molto motivati), e in prospettiva un cambio d’abiti autunnale per settembre, di cui stiamo già parlando con la Caritas”.
Quasi tutti i ragazzi del gruppo sono religiosi praticanti: 9 sono cristiani evangelici, e vanno a Messa nella chiesa di via Don Bosco. Gli 11 musulmani, invece, pregano internamente all’Ostello, rivolgendosi verso la Mecca. E i rapporti con gli altri ospiti della struttura? “Ottimi – conclude Brazzo -: hanno naturalmente camerate separate, ma non creano nessun tipo di disagio agli altri nostri clienti, che anzi sono incuriositi e mostrano di apprezzare le finalità di un progetto di ospitalità partito forse un po’ all’improvviso, ma a cui stiamo dando credo una forma importante e qualitativa. Questi ragazzi se lo meritano”.