Santa Rita e i fedeli con la rosa in mano
Domenica il consueto rito. Padre Angelo ricorda il piccolo Tommaso
ALESSANDRIA – Un viavai di persone con la rosa in mano. Accade sempre così, in questo periodo, in centro ad Alessandria, dalle parti della chiesa di Nostra Signora di Loreto, in via Plana, consueto teatro delle celebrazioni per Santa Rita, evento che si consuma ogni anno il 22 giugno, giorno della morte della santa originaria di Cascia. La funzione principale arriva al culmine di un triduo di preghiere, sempre molto frequentato.
Ma è la domenica il giorno clou, quelle delle rose bianche, blu, arancioni… da vendere e fare benedire, come i rosari, della cui distribuzione si occupa, ormai dal 1993, la signora Antonia: “Col ricavato finanziamo l’attività della nostra chiesa” dice. Una mano all’organizzazione arriva anche da giovani volontari, come Chiara, che racconta cosa succede, in questi, in questa piccola realtà alessandrina che, però, a maggio rinvigorisce improvvisamente, grazie (anche) a una santa che, ha spiegato padre Angelo, ha avuto una vita costellata di sofferenze, “ma l’amore per Dio l’ha sorretta tra tanta disperazione”.
Da qui la metafora delle spine (la sofferenza) e della rosa (la speranza) che, tra leggende e miracoli, “giustifica” il legame tra la santa e il fiore che caratterizza questo mese. Padre Angelo ha tratto spunto per salutare il piccolo Tommaso, che se n’è andato pochi giorni fa, a soli quattro anni.
Santa Rita, secondo la consuetudine, si occupa dei “i casi impossibili”, aiutando chi, in preda alla disperazione, cerca sostentamento nelle parole, nelle azioni, nei pensieri o nelle speranze.
La storia e il miracolo
In un inverno particolarmente rigido della metà del XV sec, entrò in una fredda casa umbra una donna, a seguirla una scia di dolce serenità, pronta a rinfrescare una sua parente molto anziana e dolorante, a causa, anche, di una ferita sulla fronte lasciata da una spina della corona di Cristo.
Ormai ella era prossima alla morte. Non aveva forze per camminare e perciò chiese, alla giovane donna di recarsi nell’orto poco distante dall’abitazione paterna a Roccaporena, a pochi chilometri da lì, per cogliere una rosa e due fichi, prima di morire volle apprezzarli ancora una volta.
La donna, qualche giorno dopo, nel pieno freddo invernale si recò dove le fu richiesto, sapendo di compiere una buona azione nell’eseguire una volontà, nonostante l’effetto di questa fosse, in quel determinato periodo dell’anno, irrealizzabile. Rose e fichi si apprezzano col caldo, non al freddo. La sua certezza fu nel trovare un terreno di color biancastro. E così avvenne, o almeno inizialmente lo credette. Giunta all’orto vide neve su neve, dagli alberi fino al colle più lontano che il suo occhio riuscisse a percepire. Non ne fu meravigliata, sospirò, sorrise e decise di tornare indietro. Bastò un solo passo, quando la donna notò che fra tutto il freddo candore, su di un ramo secco spuntava una rosa, simbolo del trionfo primaverile, e poco distante da lì, un albero al quale erano appesi dei fichi ben maturi, pronti per essere mangiati.
La donna si fronteggiò con il mistico di questa sua parente, o meglio il miracolo delle rose e dei fichi di S. Rita.
Questo prodigio, attribuito alla monaca agostiniana e che fu “solo” una delle sue grandi azioni virtuose, condizionò la sua futura iconografia, infatti la sua rappresentazione suole essere accompagnata dal dolce fiore: la rosa.