L’epidemiologa: «Ecco perché vivere vicino al polo chimico può essere rischioso»
Arpa Piemonte pronta a proseguire lo studio, ma il mandato degli enti non arriva
SPINETTA MARENGO – A Spinetta si registra un incremento del rischio di ammalarsi (riguardo a certe tipologie di tumore, e non solo) rispetto ad altre zone della Provincia di Alessandria e della regione.
Quindi, ci si ammala e si muore di più ma non si sa ancora il perché. Lo dice lo studio epidemiologico svolto da Arpa e Asl Al. I motivi che hanno portato all’attuale criticità ambientale andranno cercati con appositi studi, ma la ricerca è ferma ai box. Epidemiologi e tecnici non hanno ricevuto mandato per proseguire. Uno studio di «livello alto» che ci spiega l’epidemiologa di Arpa Piemonte, Cristiana Ivaldi.
Qual è il lavoro eseguito?
“Ne abbiamo presentato uno i cui risultati secondo noi davano indicazione che era necessario fare ulteriori approfondimenti, per una definizione migliore dell’esposizione e degli effetti. Abbiamo svolto uno studio osservazionale di tipo analitico dove lo sperimentatore non interviene sullo scenario, osserva la realtà per quella che è e a quella applica poi dei metodi d’analisi di tipo analitico, che nella piramide del valore degli studi è di alto livello.
Si può arrivare a definire causa-effetto?
Il nesso causale è la cosa più difficile da dimostrare in epidemiologia. Quando parliamo di malattie cronico-degenerative che comprendono sia le patologie tumorali che tutta un’altra serie di malattie croniche si parla di incremento di rischio. Si tratta della probabilità di sviluppare una malattia”.
Quindi cosa succede?
“Quando io faccio uno studio epidemiologico come questo, uso delle misure di rischio. Cioè, dico che c’è un rischio aumentato in percentuale di sviluppare una determinata malattia.
Quale ruolo giocano i Pfas?
A Spinetta abbiamo considerato una popolazione che è esposta a una serie di sostanze che si sono avvicendate nel tempo. Non dimentichiamoci che quell’area è gravata da un pesante carico di pressione ambientale da tanto tempo. Quindi, quello che avviene è una sommatoria di esposizioni, ciascuna delle quali ha la sua specificità. Ciò spiega anche perché ci sono incrementi di patologie variegate, perché ognuna risponde ai suoi determinanti.
Quali sono le vie di esposizione esaminate?
Abbiamo considerato l’esposizione da emissioni, per definire l’arco di ricaduta. Però sappiamo che l’altra modalità è attraverso l’acqua”.
Qual è il ventaglio di inquinanti?
“Teniamo presente che evidenziamo incrementi per alcune patologie. Noi andiamo a vedere dei determinanti che sappiamo essere presenti in quell’area a livello di sostanze chimiche e per quanto presente nella dichiarazione che è stata fatta per l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale), le dichiarazioni tecniche che il polo chimico ha rilasciato per le autorizzazioni per l’ampliamento di autorizzazione, che è quello per cui è nato questo approfondimento sullo stato di salute della popolazione. Sappiamo che ci sono tutte queste sostanze e abbiamo cercato di ragionare sugli incrementi di rischio delle patologie e se per queste erano noti incrementi correlati con quelle sostanze”.
I Pfas possono incrementarne alcune?
“Abbiamo riscontrato una serie di aumenti a carico dell’apparato cardiovascolare, ad esempio. E quindi, nella catena fisiopatologica, sicuramente l’aggiunta di alcuni fattori di rischio quali ad esempio il colesterolo, perché l’intercolesterolemia è riconosciuta essere uno dei fattori di rischio per le patologie cardiovascolari. Stessa cosa dicasi per le patologie tiroidee: sono in relazione con alcune alterazioni di certi assi ormonali che a loro volta vengono modificati da alcune sostanze che entrano nel ciclo endocrino. La catena causale è complessa, perché magari si altera un pezzo dell’equilibrio dell’organismo e l’inizio della patologia parte proprio dall’iniziale alterazione”.
Pfas: i cittadini potrebbero averne percentuali nel sangue?
“Anche a noi piacerebbe scoprirlo, se ci dessero la possibilità di avviare uno studio di biomonitoraggio. Sarebbe proprio la determinazione che saremmo interessati a fare”.
Perché non l’avete fatto?
“Abbiamo dato la disponibilità. Avevo già detto che avremmo presentato una proposta di disegno di studio e che eravamo pronti a metterci a disposizione dal punto di vista delle nostre competenze epidemiologiche ambientali”.
Chi deve autorizzare?
“Non è tanto un’autorizzazione, quanto piuttosto un mandato. Perché, per uno studio del genere (importante e impegnativo sia dal punto di vista delle risorse umane che dei costi), ci deve essere qualcuno che mette a disposizione le risorse economiche”.
Senza mandato non potete muovervi?
“Come epidemiologo, visto che trattiamo le popolazioni, è chiaro che ci deve essere un mandato istituzionale”.
Visto l’immobilismo, Arpa Piemonte potrebbe forzare la mano?
“Noi non siamo politici, siamo un organo tecnico-scientifico. Quello che le posso dire come epidemiologo dipendente di Arpa è fare al meglio il mio lavoro e dare la maggiore evidenza possibile ai dati che abbiamo trovato. Come Dipartimento di Alessandria, per quanto riguarda la componente più ambientale, abbiamo cercato di dare risalto e abbiamo sottolineato in tutte le occasioni istituzionali quanto fosse necessario. Credo sia un dovuto cui nessuno si può sottrarre, perché comunque c’è una popolazione che solleva delle domande ed è giustamente preoccupata”.
Che differenza c’è tra voi e medici del lavoro?
“Ognuno fa la sua parte istituzionale e professionale. Faccio l’epidemiologo, il nostro studio è pensato mettendo in campo livelli di sofisticazione di analisi veramente molto complessi dal punto di vista metodologico”.
Nello studio erano compresi i lavoratori?
“Li abbiamo esclusi volutamente. Questa popolazione è stata depurata di tutte le persone che potevano portare con sé un’esposizione di tipo lavorativo”.
In epidemiologia che differenza c’è tra uomo e donna?
“È un dogma assoluto fare sempre l’analisi per genere. Perché sappiamo, soprattutto per alcune patologie, che ciò comporta diversità nel manifestare patologie. Ce ne sono alcune che si manifestano di più nelle donne, altre più negli uomini a parità di esposizione. Perché la fisiopatologia di alcune sostanze può essere diversa tra l’una e l’altro. Studi sperimentali dicono che proprio su certe sostanze tra quelle che noi abbiamo analizzato ci potrebbe essere una differenza nella risposta in termini di malattia, perché certi apparati sono diversi e quindi la manifestazione di patologia si evidenzia in modo maggiore o minore a seconda del sesso. Gli ormoni legati al genere hanno sempre un ruolo importante in molte malattie”.
Più ci si avvicina al polo chimico, maggiori sono le criticità. È pericoloso abitare lì vicino?
“È rischioso. E non ho usato a caso il termine. Abbiamo evidenziato degli incrementi di rischio. Ovvero, c’è una relazione inversa tra la distanza dal polo e l’aumento di alcune patologie”.