Gig Economy: un “lavoretto” da 800 euro all’anno…e senza tutele
La ricerca sulla provincia di Alessandria realizzata dalla Uil e dall'Università del Piemonte Orientale, grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria ha fatto emergere un fenomeno in espansione, che fa riferimento soprattutto alla fascia di età 19-34, con un titolo di studio di media superiore o inferiore, ma che non da alcuna garanzia o tutela e che è mal retribuito con una media di poco più di 5 euro all'ora. Un incentivo al lavoro sommerso, se non si norma
La ricerca sulla provincia di Alessandria realizzata dalla Uil e dall'Università del Piemonte Orientale, grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria ha fatto emergere un ?fenomeno in espansione, che fa riferimento soprattutto alla fascia di età 19-34, con un titolo di studio di media superiore o inferiore, ma che non da alcuna garanzia o tutela e che è mal retribuito con una media di poco più di 5 euro all'ora?. Un incentivo al lavoro sommerso, se non si ?norma?
ECONOMIA E LAVORO – Gig Economy, l’economia del “lavoretto”: quale è la sua incidenza sulla provincia alessandrina?Quali i soggetti che ricorrono a questo tipo di occupazione, dove la mediazione tra domanda e offerta avviene su delle piattaforme on line? E infine quali sono gli aspetti positivi e quali quelli negativi di questa nuova forma di occupazione? Le risposte a queste tre principali domande e quindi una analisi del fenomeno è stata realizzata dalla Uil insieme all’Università del Piemonte Orientale, grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.
Un lavoro che è un “unicum” nel panorama provinciale, sviluppato attraverso dei questionari ai quali hanno risposto oltre 2000 persone. Di questi si sono prese in esame le risposte “affermative”, ovvero di coloro che utilizzano queste piattaforme on line per cercare lavoro e che hanno una esperienza da “gig worker”. “Una ricerca difficile – come ha confermato la professoressa Fabrizia Santini, docente di Diritto del Lavoro all’Upo – sia per la diffidenza della gente, ma soprattutto per la mancanza ancora di consapevolezza degli utenti su come operano queste piattaforme”. Il risultato è significativo perchè mostra “un ordinamento, quello italiano, che non è ancora pronto ad affrontare una realtà come quella del lavoretto, come viene definito. Ma che in realtà come dimostra la ricerca diventa sempre più forma di sostegno e di reddito per molti, con ricadute sotto l’aspetto previdenziale e in generale di tutele fiscali da non trascurare”.
Una paura che era stata già evidenziata dal sindacato oltre un anno fa, “con il convegno da Jobs Act a Jobs App, innovazione o ritorno al passato?” come ricordato dal segretario della Uil, Aldo Gregori. “Il 25% delle persone che ha risposto con una esperienza di gig economy al 90% si è detta non tutelata. La nostra preoccupazione sta proprio nella mancanza di ‘norme’ che regolamentino questa forma di lavoro, sempre più diffusa e sulla quale in Italia siamo all’anno zero”.
Ma da questo studio, quale è l’identikit del “gig worker”? “Principalmente un giovane, di fascia di età 19-34 anni (oltre il 68%), con un titolo di media superiore o inferiore che in prevalenza cerca occupazioni a breve periodo, soprattutto consegne a domicilio, pet-sitter, lavori creativi (come grafica e web), lavori domestici per avere una integrazione ad altro reddito (o nel caso di studenti per avere i classici soldini per sfizi o vacanze). Ma quasi senza tutele da parte di queste piattaforme e con un compenso medio di 800 euro l’anno, che si traduce considerando che si dedicano dalle 2 alle 4 ore a questi tipi di lavoro, in un compenso medio orario di 5,43 euro”.

Non c’è disparità tra i sessi: la metà sono maschi e l’altra metà femmine. Anche se si differenziano le percentuali se si specificano le fasce di età: infatti sulla fascia 19-34 il sesso maschile è il 77% rispetto al 56 di quello femminile. Che cresce e aumenta notevolmente nella fascia 55-67: qui le donne che in caso di “necessità” fanno ricorso al lavoretto sono il 7,8%, mentre gli uomini si attestano su una percentuale dell’1,24%. Stessa linea di principio per la categoria dei “disoccupati”: i maschi che si registrano su queste App sono solo l’8% mentre le donne quasi il doppio (16,51%).

Un quadro della “gig economy alessandrina” che è un “sassolino buttato nello stagno” ma che potrebbe mettere le basi affinché qualcosa a livello nazionale, normativo – e magari con qualche confronto con paesi europei che hanno già cercato di affrontare questa nuova tipologia occupazionale – si muova.
